Necropoli di Fossa, la Stonehenge d'Abruzzo
In Abruzzo non viene in mente di visitare una necropoli - a meno di essere appassionati - perché la presenza di borghi antichi, montagne importanti e del mare hanno sicuramente la meglio in termini di attrazione. Eppure ci sono diverse importanti aree archeologiche importanti nella regione: tra queste la Necropoli di Fossa, altrimenti detta “la piccola Stonehenge”, per i tanti piccoli Menhir ritrovati.
Il sito archeologico è a soli 14 km dall'Aquila, fu scoperto nel 1992 in maniera del tutto casuale, durante la rimozione del terreno per la realizzazione di una struttura industriale. Gli scavi, iniziati nei primi anni del 2000 e seguiti dal funzionario di zona della Soprintendenza Vincenzo D’Ercole, sono stati ripresi solamente nel 2010 e nel 2019, restituendo oltre 600 sepolture. E’ uno dei luoghi del cuore riconosciuti dal FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) e è stato riaperto al pubblico dal 26 giugno 2021 nei fine settimana estivi.
La necropoli è poco frequentata, e la visita normalmente si svolge seguendo un percorso obbligato e attrezzato co passerella e pannelli didascalici. Per questo è bene non farsi sfuggire le iniziative dedicate, come ‘Salvalarte’ di Legambiente Abruzzo: una campagna nazionale avviata più di vent’anni fa per attirare l’attenzione delle istituzioni sul degrado dei monumenti. Il vantaggio è la guida di una archeologa che fornisce spiegazioni particolareggiate. Nell’occasione oltre alle autorità locali ed ambientaliste c’è il comandante del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, sezione presente in Italia dal 1969 che si presenta all'estero come modello soprattutto nel recupero di reperti spariti. Una convenzione dell’UNESCO del 1970 ha previsto l’istituzione di questo corpo speciale a tutela del patrimonio culturale in ogni stato membro.
La storia della Necropoli, la fase più antica
Per arrivare bisogna superare il centro abitato di Fossa di un paio di chilometri e seguire la strada che costeggia il progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) costruito dopo il sisma del 2009. La necropoli era quasi certamente connessa all’abitato protostorico di Monte Cerro e successivamente alla città romana di Aveia. Oggi all'Aquila il nome Aveia si associa all’azienda di dolci ‘l’antica Aveia’ nata 42 anni fa proprio a Fossa e poi trasferitasi nel comune limitrofo di Ocre. I suoi biscotti, cioccolato e liquori sono diventati uno dei simboli del capoluogo.
La necropoli è un’area di oltre 2000 metri quadrati e i Vestini che la costruirono erano un popolo italico che viveva nell’area centrale della penisola, dal Gran Sasso al mare Adriatico. Avevano un ordinamento politico monarchico - come suggerisce l'iscrizione incisa sul Guerriero di Capestrano, uno dei manufatti iconici dell’Abruzzo: "Me bella immagine fece Aninis per il re Nedio Pompuledio". Ai tempi dell’impero romano l'area ebbe scarsa rilevanza perché non era strategica dal punto di vista militare. Gli abitati erano sulle cime dei colli, i luoghi sepolcrali in pianura, caratteristica comune a tutti i borghi d’Abruzzo. La città romana di Aveia presentava un insediamento alto, probabilmente monumentale, e uno basso bagnato dal fiume Aterno.
Lo stato di conservazione della necropoli è eccezionale perché a partire dal IX secolo a.C. in avanti le continue esondazioni del fiume sigillarono in profondità questo tesoro di archeologia. Ci sono sepolture diverse tra loro e si percepisce chiaramente l’evoluzione della storia nelle sue forme e nei costumi. Un po' macabro a dirsi, ma come lo stile e le forme cambiano per l’abbigliamento e gli ornamenti, così si modificano gli usi anche per l'ultimo saluto.
I tumuli sono i luoghi di sepoltura più antichi e dovevano apparire maestosi ed identificabili. Sono di varia grandezza a seconda dell’età e dell’importanza del defunto, che veniva deposto in una cassa di legno al centro di una zona delimitata da grandi lastre - crepidine - e ricoperto da terra, sassi e erba fino a creare una collinetta artificiale di un diametro tre i 3 e i 25 metri.
Soltanto nei tumuli maschili si trovano delle enormi pietre poste all'esterno della parte occidentale della tomba, in ordine crescente e di numero variabile da sei a otto. L’ultima pietra, la più grande, era seguita da una pietra obliqua poggiata direttamente sulla crepidine. Non si conosce con certezza il significato di questi Menhir, probabilmente una sintesi allegorica del ciclo della vita, dalle lastre più piccole dei primi anni a quelle più grandi della maturità fino ad arrivare alla stele reclinata a rappresentare la morte. Non hanno nulla a che fare con i Menhir del nord Europa.
All’interno delle tombe sono stati ritrovati oggetti della vita quotidiana: rasoi rettangolari in bronzo, armi in ferro, lance e spade per quelle maschili e in quelle femminili oggetti per la cura del corpo come gioielli, collane e cinture ma anche una tazza attingitoio, l’antenata del tastevin da sommelier, perchè probabilmente spettava alla donna occuparsi del vino e versarlo a tavola.
I Menhir verranno poi sostituiti da stele antropomorfe vere e proprie, statue legate a singoli personaggi di rango come il Guerriero di Capestrano. Nel VI secolo a.C., i tumuli vengono sostituiti dalle sepolture in fosse scavate nel terreno, e non per il venir meno dell’importanza delle sepolture. Infatti ai piedi del defunto veniva costruito un ripostiglio di pietre in cui contenere un bucchero con le offerte.
La fase ellenistica
Nel periodo ellenistico avvennero grandi cambiamenti e una diversa tipologia di sepoltura: le tombe a camera più imponenti, ipogee e accessibili attraverso un dromos. Venivano edificate delle vere e proprie stanze con soffitto e lastre in pietra. Su tre pareti veniva gettata la terra fino a ricoprirle e la porta d’accesso veniva lasciata scoperta. Erano le sepolture di famiglie dell’aristocrazia di Aveia cui la necropoli era collegata da una via sepolcrale a quota molto più alta rispetto alle tombe.
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I corredi non presentano più armi ma oggetti di vita quotidiana. Il più prezioso è il letto funebre della tomba 520. Una struttura in osso, avorio e intagli con raffigurazioni di Dioniso, delle Menadi e di Ercole, oggi esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti. Il letto funerario veniva costruito con ossa di grandi animali, buoi o cavalli, lavate, essiccate e preparate per l’intaglio di raffigurazioni mistiche. In ultimo venivano poste su strutture in legno e il defunto vi veniva adagiato fino alla morte del successivo membro familiare, poi spostato nell’ossario di famiglia all’interno della tomba. Questa consuetudine introdotta dalla Grecia verso la seconda metà del II secolo a.C. trovò in Abruzzo un grande riscontro.
(foto web Regione Abruzzo letto funerario ricostruito)
Solo successivamente, con l’affermarsi della supremazia romana, si diffuse l’uso dell’incinerazione accanto a quello dell’inumazione. Le ceneri del defunto vengono deposte all’interno di un’olla di terracotta chiusa da un coperchio di ceramica, facendo così declinare la consuetudine di deporre oggetti di corredo.
riferimenti
www.comunedifossa.it › SANArcheologia
parcodellanecropolidifossa@gmail.com
*GABRIELLA DI LELLIO (Sono aquilana e sorella minore di
nascita. Mi sento ottimamente a Roma e meno a L' Aquila dal terremoto del 2009.
Ho insegnato lingua e letteratura inglese nel Liceo Scientifico della mia
città. Sono maestra di sci perché amante della montagna e della neve. Mi piace
la fotografia analogica in bianco e nero, che ho ripreso a fare dopo trent'anni
e a cui intendo dedicare il mio tempo. Sono cresciuta nella FGCI e nel PCI fino
alla “deriva occhettiana")
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