Napoli in penombra / 5 Il viaggio di Dante che comincia da Napoli

di VINCENZO CROLLA*

Ferroni al lettore tossico, inesausto cacciatore di storie, non diceva granché. Eppure il suono del suo nome, alle orecchie dell’umile libraio, insisteva, persistente come il canto estivo di una cicala.

A illuminare la scena qualche giorno dopo provvidero i suoi figli, ex liceali che sui suoi testi di letteratura italiana avevano sgobbato, e sudato, per anni.

Giulio Ferroni è stato titolare della cattedra di letteratura italiana all’Università “La Sapienza” di Roma; da quella cattedra ha prodotto una mole enorme di testi di letteratura italiana.

Ora, se voi siete titolari di una libreria compresa in 40 metri quadrati, se non gestite un megastore delle dimensioni di Feltrinelli, a rendere meno tristemente cupi i vostri bilanci di fine anno non possono che essere i testi scolastici: una “merce” perennemente snobbata dal lettore/libraio che ne osserva la consistenza solo dal versante puramente contabile, attribuendole buona (a volte eccellente) tecnica e redditività ma scarsa anima.

Come se il cattedratico non potesse avere altro sguardo che non fosse quello distaccato dello studioso che analizza - descrive e rimanda - storie, fatti, aneddoti e eventi alla stessa maniera dell’entomologo che osserva la vita e la morte di bruchi, farfalle e libellule.virgilio 1png

Con il suo libro  "l’Italia di Dante" Ferroni smentisce questo vieto luogo comune.

Il suo viaggio, un viaggio da pensionato, percorre l’Italia in lungo e in largo – da Roma a Firenze, da Benevento a Tagliacozzo a San Giovanni in Fiore, dal Piave al Tagliamento – avendo come bussola Dante Alighieri e la sua Commedia.

Un autentico meraviglioso “viaggio dei viaggi” che, sorprendendo, insieme, il lettore e il libraio, l’autore fa partire da Napoli; città che da Giotto a Donatello, da Vasari a Boccaccio, in tanti hanno percorso attraverso i secoli non senza lasciare il segno del loro passaggio. Dante forse no: lui, Napoli, forse non l’ha mai vista.

Eppure Ferroni è da qui, da Mergellina, che fa partire il suo viaggio dantesco.

Pochi altri luoghi, oltre Mergellina, sono tanto evocativi; pochi altri toponimi identificano la città come il suo mare, i pescatori, le canzoni che l’hanno immortalata accendendo la fantasia di tanti uomini e donne in giro per il mondo.

Ferroni racconta altro.

Il suo occhio guarda altrove; i suoi passi lucidano altre pietre.

A Mergellina, a ridosso della bella stazione che la modernità ha ridotto a triste simulacro, si trova il Parco Virgiliano, quello vero, spesso ignoto agli stessi napoletani che invece, impropriamente, dicono Virgiliano il Parco delle Rimembranze posto sul Capo di Posillipo.

Lì in un silenzio contemplativo, lungo il percorso che conduce in cima, l’occhio si riempie della sobria bellezza delle piante “virgiliane”: il faggio, il pungitopo, la ginestra.

"Qui cineres? Tumuli haec vestigia: conditur olim / ille hic qui cecinit pascua rura duces" ("Quali ceneri? Queste sono le vestigia del tumulo. Fu sepolto un tempo qui colui che cantò i pascoli, i campi, i condottieri").

Così, una piccola epigrafe marmorea ad opera dei frati del vicino convento di S. Maria di Piedigrotta, pone fine alla vexata quaestio se qui, in questo luogo mistico,  sia sepolto veramente Virgilio o se solo non vi sia, a ricordare il cantore di Enea, quel tripode al centro del cenotafio posto nel punto più alto del parco.

Un mistero come la vita e la morte stesse di colui che per i napoletani fu più mago che poeta. Quel Parthenias, il Verginello, che, fatto patrono della città, precedette nel ruolo l’altro verginello, San Gennaro che ancora tiene la sua mano benevola sulla testa dei napoletani.

Del mistero, uno dei tanti che aleggiano tra le pietre di Napoli (l’ultimo in ordine di tempo è quello che, nel 2014, individuò in Santa Maria La Nova il luogo di sepoltura di Vlad Tepes III voivoda di Valacchia, noto ai più come conte Dracula), d’altro canto si ammanta anche la storia delle ceneri di Leopardi che lì furono traslate dalla chiesa di San Vitale a Fuorigrotta.

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“Ma troppe cose è Napoli, spesso tanto distanti da Virgilio, da Dante, da Leopardi: eppure in questo luogo mi sembra di ritrovare lo spirito di tutti e tre i poeti, fraterni nella loro inconcepibile grandezza".

Così, come in una raccolta preghiera, conclude Ferroni la sua visita al Parco al Virgiliano.

Magari con un poco di tempo in più avrebbe potuto fermare la sua attenzione anche su quella mirabile opera d’ingegneria, la Crypta neapolitana, che esattamente da lì prende l’avvio e scavando il tufo della collina conduce da Mergellina a Fuorigrotta nei Campi Flegrei. Un’opera imponente per il tempo, che a lungo il mito ha voluto attribuire alle doti magiche del Verginello che, secondo una tradizione orale giunta fino ai giorni nostri, sarebbe stata realizzata dal mago Virgilio grazie alla potenza soprannaturale delle sue mani.

Nutrito lo spirito il bravo Ferroni avrebbe potuto considerare le esigenze del corpo e andare qualche centinaio di metri più in là, verso il mare. Dove nel mercatino rionale della Torretta ogni giorno si celebra il trionfo della cucina popolare di Nonna Anna, ultima regina di Mergellina per i pescatori del luogo.

Ma di questo, e della sua pasta e patate con la provole, magari si dirà un’altra volta.


* VINCENZO CROLLA (1947 - ancora vivo; ferroviere, dopo aver viaggiato per 25 anni a sbafo decise che poteva bastare. E comprò una libreria, per leggere a sbafo. Gli riuscì per altri 18 anni)


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