Napoli-Castellammare-Sorrento, la disfida della rotaia

di ANNALISA RAFFONE*


Parte 1:  Circumvesuviana, la regola.

«Pompei-Sorrento? Archeological site? Follow me, please. Trackthree, nottwo, pay attensciòn! Your stop is Pompei Scavi Villa dei misteri, train for Sorrento. Si me facite un' offerta a piacere … m’aggia pavà ‘e lezioni d’inglese!» L’omino apre un borsello vero finto LuìUittòn e gli occhioni azzurri spalancati, che emergono dalla mascherina dei due turisti stranieri attentissimi alla spiegazione di quell’ufficio informazioni abusivo ma efficientissimo, cercano nel portafoglio due spicci, tra il perplesso e il rassicurato.

circum 3jpg(Circumvesuviana      foto di Annalisa Raffone)

 Sì, perché quando arrivi a Napoli sotto piazza Garibaldi e le scale mobili ti accompagnano nella catabasi verso i binari della Circumvesuviana, se non sei pendolare con almeno vent’anni di esperienza ed esperto nel dribblare la folla, nello scegliere il tornello dove il biglietto non si inzocca facendoti perdere minuti preziosi, nel prevedere con perizia rabdomantica in quale punto del binario le porte si apriranno, onde consentirti di guadagnare subito uno dei pochi posti a sedere, allora sei spacciato e ti smarrirai in quella selva oscura di gambe, valigie, «Capo, accendini? Sigarette? Testimonianze?», perso nella babele di lingue e variazioni dialettali che declinano un unico accorato quesito: «For Sorrento… this is binario due?» «No, Miss, nun date retta, chill ‘o Surriento passa sempre 'o binario tre, trackthree, do youanderstand?».

circum 4jpg(Circumvesuviana      foto di Annalisa Raffone)

Il limite imposto dall’ostacolo linguistico rende tuttavia impossibile ragguagliare nel dettaglio sulle ardue prove che darwinianamente consentiranno solo agli individui più capaci di sopravvivere ad un viaggio in Circumvesuviana detta Circum,  e di adire un posto a sedere vicino al finestrino. Il destino e l’esperienza diretta forgeranno la tempra dei malcapitati turisti diretti a Pompei o in Costiera sorrentina; se sopravvivranno, avranno qualcosa da raccontare ai discendenti oltre alle foto della pizza e del mare. Gli indigeni, più scaltri e scafati, seminano agevolmente gli stranieri, lasciandoli nei corridoi, con le loro valigie ingombranti piene di etichette e la stessa sensazione di sicurezza di chi si è perso in una foresta del Borneo senza machete, sgusciando come capitoni alla conquista di un sediolino per appoggiare - metaforicamente, visto che non vengono lavati dagli anni Settanta - il viso al finestrino e perdersi nel paesaggio e nei pensieri.

circum 5jpg(Circumvesuviana     foto di Annalisa Raffone)

Il treno riparte da piazza Garibaldi, non è pieno come un tempo, quando si restava incastrati nei corridoi tra i fortori di corpi sudati, le ascelle pezzate che si mischiavano all’odore del caffè macinato del bar Mexico e del pesce di Porta Nolana. Il sole picchia sui sediolini, sulle case di mattoni e panni stesi che si intravedono tra il fitto di cespugli e alberi di fico, che odorano di caldo e di estate evocando un’illusione di refrigerio dentro le carrozze bollenti. All’improvviso la striscia blu del mare spunta da lontano, con l’orizzonte perso nella foschia che si intravede tra i vicoli che portano agli scavi di Ercolano. In piedi, a guardia dei bagagli, i turisti si incollano al finestrino, seguono con l’occhio la striscia blu che compare e scompare tra i palazzi, i prati bruciati dal sole e il verde selvaggio e abusivo che copre le case basse (abusive anch’esse).

circum 7jpg(Circumvesuviana     foto di Annalisa Raffone)

D’un tratto si voltano a sinistra: il Vesuvio è così vicino che sembra abbattersi da un momento all’altro sul treno e sulle case, formidabil sterminator, come diceva quel gobbo famoso. Una fermata della Circumvesuviana, a lui intitolata, ricorda che qui, nei pressi di Torre del Greco, Leopardi trascorse i suoi ultimi giorni, sull’arida schiena del Vesevo che insomma tanto arida non è a giudicare dalla marea di case che vi si arrampicano.

cvircum leopardijpg(Circumvesuviana     foto di Annalisa Raffone)

«Papà, ma la gente perché costruisce le case così vicine a un vulcano? E se scoppia e muoiono tutti?». Buonsenso infantile e abusivismo edilizio non sempre vanno d’accordo. Eppure, ciò che un occhio esterno recepisce come somma stranezza, per chi ogni giorno percorre la tratta, quel vulcano inzuppato come un babà in un mare di case, è parte del paesaggio che il treno traballando inghiotte e lascia dietro di sé, avanzando tra le stazioni chiuse e abbandonate, coperte dai graffiti e dai rovi: Via Viuli, Via del Monte, Sant’Antonio, che non sai mai se ti trovi a Torre del Greco o a Torre Annunziata, perché qui i confini tra i paesi si perdono tra i vicoli e i giardini.

A Torre Annunziata salgono un uomo con un bambino e un cane. Si piazzano con l’animale davanti a un donnone monumentale, con le braccia affrescate di tatuaggi, il volto sudaticcio e gli occhi infossati nel grasso. La donna alla vista del ferocissimo canillo fa un balzo, terrorizzata. «Liev’ stucaaaan! Lievstucaaaan! (Togli dalla mia vista codesto pericoloso canide!)». L’uomo, con un fazzoletto di carta a mo’ di mascherina, prorompe in un fiume di vocali strascinate come le ciabatte per casa, che la signora non sembra gradire perché, per tutta risposta, gli fa un colpo di tosse in faccia, cui il tizio replica con una poderosa sequenza coprolalica per poi levarsi in tutta fretta col bambino e il cane toporagno: «Jammunciàenn, chaest ten’ o corona vairusss! (Andiamo via! Costei di sicuro è positiva al corona virus!)».circum 8jpg(Circumvesuviana      foto di Annalisa Raffone)

Scendono tutti a Pompei Villa dei Misteri, la fermata di uno dei siti archeologici più grandi e famosi del mondo. Prima dell’emergenza COVID il treno si svuotava e si riempiva di giapponesi, tedeschi, inglesi rossi in viso, cogli immancabili calzini nei sandali e i vestiti leggeri anche a marzo, quando la maggior parte di noi è stretta nei cappotti e nelle sciarpe. Era divertente saggiare il proprio livello d’inglese dando qualche informazione rassicurante e nel contempo farsi qualche fetta di fatti d’oltreoceano, di vite diverse che un trenino metropolitano aveva messo assieme per un breve tratto, che poteva terminare alla fermata di Via Nocera a Castellammare o continuare fino a Sorrento, godendosi quel tratto di costa tra i cantieri di Castellammare, gli scorci di mare di Vico Equense, gli alberi di arance e limoni tra Meta di Sorrento e Sant’Agnello e le villette e i palazzi che si lasciano coccolare nel grande abbraccio del Vesuvio oramai lontano, in una terra dove anche l’inverno sembra viaggiare con ritardo sul treno delle stagioni. 


Parte 2: Ferrovia dello Stato, l'eccezione.


Capita tuttavia, che, quando qualche cataclisma si abbatte sulla Circumvesuviana, le folle di pendolari e studenti debbano ricorrere, un po’ a malincuore, ad un mezzo sostitutivo che dalle nostre parti si chiama ‘o treno d’o stat’, vale a dire il trasporto ferroviario di Trenitalia, che collega la città di Castellammare a Napoli tramite una linea servita da treni metropolitani di Trenitalia nell'ambito di un contratto con la Regione Campania. La tratta fa capo alla cosiddetta linea 2 che porta a Campi Flegrei.

Stato 1jpg(Ferrovia dello Stato      foto di Annalisa Raffone)

Per dare modo anche ai cosiddetti furastieri di comprendere l’entità del dramma che preme i cuori pendolari è d’uopo un po’ di storia di questa tratta ferroviaria.

La stazione di Castellammare di Stabia, inaugurata nel 1842, era la continuazione della famosa Napoli-Portici, la prima ferrovia italiana inaugurata nel 1839 sotto il Regno dei Borbone. Era adibita al trasporto passeggeri, ma anche al traffico di merci; il collegamento con la penisola sorrentina era assicurato da un tram che portava da Castellammare a Sorrento. Per circa un secolo fu l’unico modo per giungere a Napoli su rotaie, ma nel 1948, con l’inaugurazione della linea della circumvesuviana Torre Annunziata-Sorrento, il treno dello Stato vide man mano diradare non solo il numero dei passeggeri ma anche il traffico merci, in concomitanza con la decadenza dell’industria stabiese.

Stato porto dio torre annunziatajpg(Ferrovia dello Stato     di Annalisa Raffone)

La città si è nel tempo dotata di varie fermate della Circumvesuviana - gestita oggi dall’Ente Autonomo Volturno (EAV) per conto della Regione Campania in seguito a un decreto legge del 1997, in virtù del quale alle regioni era affidata la responsabilità del trasporto pubblico locale - che negli anni hanno consentito ad eserciti di pendolari, studenti e turisti di raggiungere Napoli o la Costiera in maniera efficiente e puntuale, surclassando la linea dello Stato che risultava meno comoda e meno frequente rispetto ad una Circum che, incredibile dictu audituque, fino a qualche anno fa poteva competere coi giapponesi quanto a puntualità. Poi, siccome pareva brutto che da queste parti qualcosa funzionasse, una serie di accidenti che meriterebbero trattazione a parte hanno adeguato il trenino metropolitano al trend generale del trasporto nazionale, gettando gli utenti in un vortice di disperazione tra scioperi, treni rotti e spariti, ritardi che tuttavia non hanno scalfito l’amore per un mezzo di trasporto in cui tra lavoro, studio e diporto si spende gran parte della loro vita.

stato Pietrarsajpg(Ferrovia dello Stato       foto di Annalisa Raffone)

E così, piegando la fronte al giogo della Necessità, il pendolare, attaccato al cordone ombelicale della Circumvesuviana, si serve obtorto collo del treno dello Stato, patendo crisi di abbandono e mancanza persino della pioggia che entra nei vagoni d’inverno. Preda di una specie di sindrome di Stoccolma, l’orfano della Circumvesuviana è pervaso da un inusitato senso di solitudine: nessuna banchina strabordante di persone col classico vottavotta (pigia pigia, ndr)  all'arrivo del convoglio, nessun turista smarrito che cerca il treno per Sorrento col rischio di essere spedito a Poggiomarino, solo uno sparuto gruppo di viaggiatori che si distribuisce lungo le carrozze e che viene inghiottito dal nulla. Nel vagone c’è solo lui e una lunga teoria di posti vuoti.

Stato centro direzionalejpg(Ferrovia dello Stato        di Annalisa Raffone)    

Superato il  disorientamento dovuto alla mancanza dei classici circumvesuviani, ovvero il tizio che vende i calzini, il drogato che chiede gli spicci, gli zingari in concerto con fisarmonica e tamburelli, l’orfano fatica ad abituarsi al silenzio circostante ma anche all’ aria condizionata non sparata a palla e a una generale parvenza di igiene che addirittura consente di appoggiarsi al vetro del finestrino e guardare fuori. Mentre il treno trascorre dalla ex periferia industriale di Castellammare alle volute di ferro verdi della stazione di Torre Annunziata, dopo palazzi decrepiti e antichi capannoni industriali in disuso, i vagoni percorrono la litoranea entrando nei porti, sulle spiagge, camminando sugli scogli assieme a bagnanti e pescatori, regalando una visuale insolita della costiera sorrentina che si distingue da lontano tra le palme e la sabbia nera delle spiagge di Torre Annunziata e Santa Maria la Bruna, il delizioso porto di Torre del Greco, le barche i lidi e le case, arrivando quasi a toccare quei pezzi di quotidiano che il treno attraversa ad una velocità che consente di rubare piccoli scorci di vita più o meno bella, più o meno ordinata.

statojpg(Ferrovia dello Stato      di  Annalisa Raffone)

È un viaggio silenzioso e comodo - ma le corse dirette si contano sulle dita di una mano - attraverso il mare e la storia, un film senza sonoro che si proietta dai finestrini: la storica stazione di Portici Granatello, il museo ferroviario di Pietrarsa, poi la periferia, le strade e le case battute dal sole, le gru del porto di Napoli che man mano diviene più nitida all’orizzonte e la scacchiera colorata dei container. Gianturco, ancora periferia, strade larghe e dissestate, rifiuti, ferraglia, i grattacieli del Centro direzionale, poi il buio di Piazza Garibaldi dove il treno arriva in perfetto orario. 

styato torrejpg(Ferrovia dello Stato          foto di Annalisa Raffone) 

La prima zaffata di aria calda di città estiva fa desiderare di risalire e arrivare fino ai Campi Flegrei e poi tornare indietro a bordo del treno che viaggia sul mare e gli scogli, in mezzo alla gente per sfuggire alla calca, al caos rutilante; per assaporare di nuovo la quiete pulita di un viaggio d’altri tempi. Privilegio che solo uno sciopero della Vesuviana poteva regalare e che attende di rinnovare le sue emozioni al prossimo disagio di mamma Circum.


*ANNALISA RAFFONE  (nata a Castellammare di Stabia nel 1975, vive a Roma ma il bisogno del mare, la mozzarella e la Juve Stabia la riconducono di frequente al natio borgo selvaggio. Ama il greco, la Juve e il Giappone)

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