Muccino zuccherino, sconsigliato ai diabetici

 di ANDREA ALOI*

In confronto al micidiale spottino di 120 secondi sulle bellezze della Locride ordito a giugno da Klaus Davi, gli otto mielosi minuti del corto “Calabria, terra mia” firmato da Gabriele Muccino ha uno svantaggio: pare sia costato un botto (1.700.000 euro) e un vantaggio: non fa pubblicità comparativa e sviolina a dovere senza infilarsi in provocazioni costruite apposta per fare schiamazzo (nel ramo, Klaus Davi è un vero furbetto). 

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Per dire, ecco un sottotesto su foto di Riviera Romagnola dei velenosi due minuti di giugno: “Oggi con il dilagare dell’epidemia del nord Italia non sarà più possibile praticare una cultura di massa del turismo con un sistematico sfruttamento del suolo e un impatto ambientale devastante”. E via con immagini di mare calabrese incontaminato, con rinforzo della dose precedente di “denuncia”, in particolare delle nordiste “politiche ambientali e sanitarie suicide”. Ciò che, proclamato dal pulpito di una Regione con Sanità commissariata da dieci anni e maglia nera secondo Lega Ambiente per inquinamento marittimo, è un pelino contraddittorio. Una bombetta costruita ad arte per creare il caso.

Muccino si è provvisto invece di una dose maxi di glucosio e ha ideato-sceneggiato-diretto un filmino, interpretato da Raoul Bova e dalla sua affascinante compagna spagnola Rocío Muñoz Morales, che al massimo può essere sconsigliato ai diabetici. I due bellissimi vivono un incanto d’amore sfarfallando tra mari di un verde marziano carico, coltivi di bergamotto, arance (tutte tonde, specifica con orgoglio lui, in veste di chaperon nella terra natìa) e isolati paeselli popolati da contadini con ciuco e figuranti con coppola d’ordinanza appena noleggiati da un set di Dolce & Gabbana o di “Baarìa” di Tornatore. Colori sovraccarichi e scene mescolano l’implausibile fiabesco dei film sull'imperatrice “Sissi” starring Romy Schneider, certi fondali da musical hollywoodiano anni Cinquanta (cfr “Brigadoon” di Vincente Minnelli) e il Mulino Bianco barillesco. Con l’aggiunta - ormai resa obbligatoria dalla convenzione di Ginevra - delle riprese morbide dall’alto, il solito, abusato “Game of Drones”.

La Calabria risveglia le emozioni e non dimentica i sensi, un primo piano di Raoul e Rocío, appena velati da una tenda in pizzo, suggerisce gli istanti beati di un pre o post copula. E Bova, di minuto in minuto, assomiglia sempre più al bonazzo strappamutande che barcheggia su un mare assoluto contornato da rocce primordiali nello spot dell’“Acqua di Giò" firmata Armani. Del resto pure Muccino è una nostra celebrata griffe e in “Calabria, terra mia” offre solidissimo mestiere. Peccato che dopo quattro minuti di estasi con fico in mano e nostalgia alla sopressata, ci si senta soffocare. Forse è il picco glicemico, forse sono battute tipo queste: “Io da qui non me ne vado più” (Lei); “E io ti amo” (Lui).

In capo a sei minuti il corto è al capolinea, seguono due incongrui minuti per titoli di coda e credits che manco alla fine di “Guerre Stellari”. Il tutto ammannito in magna pompa anche al Festival del Cinema a Roma. Evviva.

*ANDREA ALOI (Torinese impenitente, ha lavorato a Milano, Roma e Bologna, dove vive. Giornalista all’Unità dal ‘76, ha fondato nell’ '89 con Michele Serra e Piergiorgio Paterlini la rivista satirica “Cuore”. È stato direttore del Guerin Sportivo e ha scritto qualche libro) 


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