MOSTRE - "Animals", così McCurry cerca (e trova) l'anima

di MANUELA CASSARA' e GIANNI VIVIANI*

Non credo che abbia bisogno di presentazioni, Steve McCurry. Di certo non nel nostro giro di amici, che spesso coinvolgiamo nel visitare una delle sue tante, svariate e ripetute mostre, perché a casa nostra McCurry è un mito, il mentore a distanza del beneamato fotografo, compagno di vita, di tanti viaggi e racconti che facciamo in tandem, io con le parole, lui, più immediato ed emotivo, con le immagini.

Scoperto che il 27 di Novembre iniziava la tanto pubblicizzata mostra "Animals",  alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, ci siamo presentati puntuali all’apertura, in una grigia mattinata che faceva confondere nella bruma ovattata la sagoma dell’elegante edificio voluto da Filippo Juvarra.


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(Il cervo di Stupinigi)


Poco più di dieci chilometri dal centro città di Torino,  ma arrivarci era stato più farraginoso del dovuto, perché così era piaciuto al mio Google Maps, che sembra godere nel farci fare improbabili “giri di Peppe”. Felici di aver appena rinnovato la nostra regionale tessera  di abbonamento ai Musei, l’abbiamo perciò presentata con baldanzoso orgoglio, previo controllo di temperatura, documenti e Green Pass, all’imperturbabile signorina alla casa, che ci ha sussurrato, soave:

 “E così sono 24 euro, prego”.  “Ma scusi, ma abbiamo la tessera dell’abbonamento… “ E lei, implacabile, gelida, fattuale: “Senza la tessera sarebbero stati 28”. 

Diciamo che la cosa non mi ha ben disposta e sono entrata con un atteggiamento che potrei definire ipercritico, anche se, e lo ribadisco, io amo Steve McCurry.  E anche il beneamato fotografo; anche lui, comunque, era seccato. Ma non con Steve, mai con Steve.  Mica è colpa di Steve se ti fanno pagare un esoso biglietto, senza peraltro nemmeno applicarti lo sconto per anziani che, diciamolo, almeno quello, ci spetterebbe di diritto. Invece...


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Il percorso si snoda nelle antiche cucine, luogo affascinante, ma che avrebbe richiesto un’illuminazione più accorta, perché quei faretti sparati sopra le foto, e lo si evince dalle nostre, non le mettevano certo in buona luce.   Bisognava provare a schermare con la mano quel punto luce invadente, un po’ come si cerca di fare in macchina, quando ci si dirige a ponente, in un pomeriggio assolato. E comunque non bastava. 

"Animals" nasce nel 1992 ed è già anche un libro, perché McCurry è prolifico, sia in fatto di foto sia di libri.  Sessanta scatti scelti tra le migliaia di immagini catturate in giro per il mondo.

A fare da innesco, il reportage in Kuwait e Arabia Saudita, quando McCurry si era recato nel Golfo per documentare i devastanti effetti, soprattutto ecologici, che in guerra ne avevano distrutto il territorio. Scene da Apocalipse Now, i pozzi in fiamme, la terra bruciata di uomini e cose, gli animali e i cammelli sperduti, smarriti, carbonizzati, gli uccelli incatramati. McCurry ne ha ritratto la solitudine,  ne ha colto la disperazione con dolorosa, grafica partecipazione.  Un reportage che gli farà vincere il World Press Photo di quello stesso anno.


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Sono foto analogiche, mi fa notare il fotografo che mi accompagna: “Sono tutte sgranate, non hanno quella nitidezza a cui ci ha abituato il digitale. Quella c’è in unica foto, scattata a Cuba nel 2010, dove vedi persino la grana della pelle, e il pelo dei cavalli”.  Parla lui, che viene dalla gavetta, dalla camera oscura, dai rullini sviluppati e a volte irrimediabilmente cannati, dai contact sheets guardati con la lupe, quel lentino che ti permetteva di controllare faticosamente i più piccoli dettagli; lui che amish fotografico non è mai stato e che si è da subito felicemente convertito al digitale. E oggi, ma che non si sappia in giro, persino alle foto scattate col cellulare.  

McCurry è stato ovunque. Honduras; Uzbekistan; India soprattutto l’India, il Nord, il Sud, il deserto a Est e Ovest; Burma, quando non era ancora Myanmar; l’Afghanistan, quello martoriato di Kabul e  Kandahar; la Cambogia, l’Indonesia… vuoi per il National  Geographic, in missione o per seguire la sua passione, basta guardare il brevissimo filmato dove si racconta un pochino: “Il viaggio non è tanto arrivare a destinazione, quanto il tragitto”. Le parole forse non sono esattamente queste, ma il senso sì, e non vi ricorda, per caso, un po’ Itaca, quella magnifica poesia di Costantino Kavafis?  Era stata il mio vademecum giovanile. Vivere, non solo arrivare.   “Bisogna alzarsi - prosegue Steve - allerta e attenti a cogliere ogni segnale, pronti a seguire ogni segno e a non farsi scoraggiare…”.  


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“La fa facile”, si lamenta il beneamato che, quando viaggia, è sempre frustrato perché è sempre convinto di aver perso lo scatto da Pulitzer.

In quei pochi minuti scorrono i ritratti, una carrellata di varia umanità, che non sono inseriti nella mostra: primi piani magnifici, tridimensionali, questi sì fatti con super macchine digitali, che raccontano la storia e l’anima di quei soggetti sconosciuti, la dolcezza su quei volti di bimbi, la purezza su quei visi di adolescenti, l’umanità rassegnata su quelli degli anziani provati dalla durezza della vita. Pochi minuti, bellissimi. Li avrei rivisti in un eterno loop.  

Quando li rende soggetto, gli animali, McCurry li umanizza: il macaco seccato che guarda in camera con cipiglio irritato, interrotto durante il suo caldo bagno termale in quel di Nagano, in Giappone; il buffo tricheco curioso, dai baffi gelati, che sembra sorridere al fotografo; il gorilla pensoso, dall’aria sognante, colto nella giungla della foresta africana; lo sguardo rassegnato del cane pastore di razza Kuchi, mentre è portato al combattimento tra cani, peraltro proibito in Afghanistan.


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Poi ci sono, forti e intense, alcune tenere, altre drammatiche, le interazioni tra l’animale, compiacente compagno comunque partecipe e solidale, e l’umano. E tra i due è spesso quest’ultimo a non dare segni di umanità. Tutto rivelato dagli sguardi:

Lo sguardo morto del ragazzino di Kandahar, in mano un kalashnikov e accanto il suo lupacchiotto, lui invece vivace e attento, tenuto al guinzaglio con una catena di ferro.

Lo sguardo ceruleo e fisso del ragazzino uzbeko, più biondo di un bavarese, uguale a quello, altrettanto sbarrato del suo amichetto babbuino, appollaiato sulla spalla. Gli sguardi opachi, identici e privi di vita nonostante l’esperienza di uno e la giovinezza dell’altro, di nonno e nipote a Marsiglia, e quello annoiato del loro cagnolino spelacchiato. Storia di una famiglia dove manca la gioia.  Gioia che invece ti arriva, guardando la foto del benevolo nonno cammelliere, con i suoi due nipotini, poverissimi, stracciati, impolverati, tutti che sorridono felici.


Le colombe della pacejpeg


E’ vero, ci sono anche gli scatti che Gianni definisce costruiti,  spesso glielo imputa a McCurry. Lo ama, ma non si fida. Dice che alcuni sono troppo perfetti per essere casuali: la giovane mamma cambogiana e il suo bimbetto dormienti sull’amaca, una scena di pace apparente perché sotto di loro passa, sinuoso e minaccioso, un serpente. Ora, possibile, proprio in quel momento?; La perfezione  della composizione con la ragazza in chador dorato circondata da bianche colombe, una addirittura posata sulla testa,  talmente miracolosa che un sospetto sfiora anche me. Probabile, possibile,  difficile! Certo lui è malfidato,  ma i trucchi del mestiere li conosce.


Quello sguardo di mortejpeg


"Animals" comunque  è questo e molto di più.  Ognuno sicuramente ci vedrà altre cose, si emozionerà per altri scatti. Se amate la fotografia, se siete viaggiatori affascinati da mondi lontani, se v’interessano l’umanità e la diversità dei vostri simili, ecco: questa mostra fa per voi; storie di vita colte in un click, scatti che trovano l’anima del soggetto, che  Mc Curry  incontra sul suo cammino, e  che ci regala.

*MANUELA CASSARA’  (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto)

*GIANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)



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