Montecristo, incontro con l'isola ritrovata

di BRUNO MISERENDINO*

Una montagna di granito, in mezzo al mare. Solo roccia, poca vegetazione, e colori che cambiano dal grigio al giallo ocra a seconda del tempo. Quando ti avvicini in barca e inizi a vederne contorni e nervature, Montecristo incute timore. Così dura e misteriosa, persino  inspiegabile. Diversa da tutte le altre sei isole dell’Arcipelago toscano, che uniscono asprezza e dolcezza, colline rocciose e verde: lei sembra la sorella inafferrabile, nata e cresciuta arcigna. Capita, nelle famiglie numerose. Anche la collocazione, distante da tutto e tutti, la fa sembrare un avamposto: è in mare molto aperto, 25 miglia a sud dell’Elba, e a metà tra l’Italia e la Corsica, dove il Tirreno si allarga. Fateci caso: se con una bussola si guarda dritti a sud con quella rotta la prima terra che si incontra è l’Africa.

Quindi, dipende da quel che vi aspettate. Se volete natura vera e aspra o capire come si vive da eremiti, Montecristo, da 50 anni riserva naturale integrale, è il posto giusto per voi. Dal 2019 è un po’ meno inaccessibile e vale la pena approfittarne. Perché non è solo l’isola del famoso conte e del tesoro che non è mai stato trovato,  è un posto unico dove arrampicandovi non vedrete quelle piccole tracce umane, mozziconi di sigaretta, minuscoli pezzi di carta o di plastica, che si vedono persino nei sentieri più curati delle Dolomiti o della Svizzera. Non ci sono insediamenti, tranne due piccoli edifici ottocenteschi e la Villa dei Savoia, destinata per decenni a residenza di caccia del Re. Da tempo non ci sono più custodi fissi, ma solo operai e giardinieri occasionali e una coppia saltuaria di carabinieri del Reparto Biodiversità. Se non arrivano studiosi, d’inverno può restare disabitata per settimane. Di fatto gli unici esseri stanziali sono le capre. Questa solitudine, che ha segnato da sempre la storia dell’isola, dà una sensazione strana, perché nel Mediterraneo di posti così non ne esistono.

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Se volete questo, la spesa e le regole rigide e un po’ limitanti per l’escursione, vi sembreranno accettabili. Le visite, iniziate tre anni fa dopo mezzo secolo di isolamento quasi totale, sono a numero chiuso, con partenze da Piombino e da Porto Azzurro all’Elba, secondo un calendario prestabilito dall’Ente Parco dell’Arcipelago toscano. Si fa tutto online sull’apposito sito e quest’anno, sarà per via del Covid e della voglia di evadere che ha preso tutti, le prenotazioni sono aumentate a dismisura. E’ anche salito il prezzo (da cento a centoventi euro a persona), che in pratica copre solo il trasbordo su una piccola motonave veloce e l’accompagnamento delle guide. Il resto, mangiare e bere, e sacchetti per i rifiuti, dovete portarlo voi, perché come è ovvio a Montecristo non esistono bar, ristoranti, alberghi. Per le necessità impellenti si usano i bagni della barca.  Ci sono tre percorsi possibili e si viene selezionati in base alle attitudini. Ma in realtà sono tutti sentieri facili, la difficoltà dipende da lunghezza e dislivello e dalla voglia che si ha di camminare. Le guide sono brave, attente e preparate, e danno risposta a ogni domanda, storia, geografia, geologia, botanica, leggende.

 Io e mia moglie Valeria siamo andati nel marzo del 2019 partendo dall’Elba, ma non era la prima volta che vedevamo Montecristo. Insieme l’avevamo osservata a lungo navigando dalla Corsica all’Argentario e passandole vicino per quanto si può (un miglio). Così l’abbiamo vista in quella parte e in quella prospettiva che nemmeno ora si può vedere. Se c’è un limite alle escursioni è questo: si arriva a cala Maestra, l’unico approdo di Montecristo, e una volta sbarcati tutto si svolge in poche ore su percorsi a terra in una parte limitata dell’isola, tra la Villa dei Savoia, il Belvedere, il Monastero. Tutto molto bello, ma forse servirebbero più sentieri. O più tempo. Manca, per motivi ambientali, il classico giro dell’isola in barca che permetterebbe di ammirare i sedici chilometri di costa, una meraviglia fatta di grotte, anfratti e imponenti liscioni di granito che si inabissano in mare. Una barca che naviga a bassa velocità a due-trecento metri dalla costa, una volta ogni quindici giorni, provocherebbe danni irreparabili all’ecosistema marino? Consegno la domanda agli esperti.  

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Per la verità manca anche di potersi fare un bagno nell’acqua limpida e chiara della spiaggia di Cala Maestra. Quando siamo andati era marzo e nessuno ne sentiva il bisogno. Però nelle escursioni della tarda primavera e dell’estate il calore delle rocce di granito mette a dura prova il fisico e al ritorno non poter fare nemmeno un tuffo in quell’acqua così invitante diventa una tortura cinese. A essere sinceri io un bagno a Montecristo l’ho fatto. Quando l’ho raccontato alle guide mi hanno guardato con sospetto come se fossi uno di quei vip impuniti che nelle notti d’estate eludono la sorveglianza e si ancorano con la barca nella parte più nascosta dell’isola, tanto per poter dire di aver fatto il bagno nel paradiso proibito. Ma gli ho spiegato che quel bagno l’avevo fatto nel lontanissimo settembre del 1970, un anno prima che Montecristo diventasse riserva naturale. Sì, avevo 19 anni e ora ne ho 50 di più. Ma ricordo come fosse ieri l’impagabile emozione di vedere con la maschera quelle lingue di granito che entrano nel mare e sprofondano nell’abisso.

Intendiamoci, i frutti dei 50 anni di completo isolamento di Montecristo si toccano con mano, non sono un privilegio riservato agli studiosi e ai biologi marini: le acque sono limpide, molto più che in qualunque altra parte del Tirreno, il mare è pescosissimo (nonostante qualche tentativo di pesca di frodo) e persino la mitica Foca Monaca sembra si sia riaffacciata. A terra si vede il lavoro per conservare l’ambiente, le piante autoctone vengono ripiantate e protette da reti di metallo perché se no le capre se le mangiano, resistono i lecci secolari che stanno in alto tra le rocce, e c’è stata una complessa derattizzazione, accompagnata da polemiche, che però sembra aver dato frutti.  E’ ovvio che per i turisti non ci sia niente. Non sono previsti. Alla fin fine gli unici che l’isola l’hanno trovata perfetta sono sempre stati solo i monaci e gli eremiti. Per chi cercava solitudine, silenzio e contemplazione l’isola offriva tutto: l’acqua, che sgorga miracolosamente a mezza montagna, la valle di cala Maestra dove si può coltivare quel poco che serve, la selvaggina, un mare pescoso. E il nulla intorno.

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Infatti il primo illustre che l’ha abitata è stato nel V secolo d.C. il monaco eremita San Mamiliano, che scappava dalla Sicilia inseguito dai pirati. Fondò il Monastero, i cui resti si vedono nella più bella (e faticosa) delle tre escursioni possibili. E’ da lì, davanti alla vista del mare a perdita d’occhio, che si capisce quanto l’isola sia particolare, con quel suo essere solare e aspra allo stesso tempo. Il Monastero ne incarna la storia  ed è anche il luogo delle leggende sul famoso tesoro (che come vedremo hanno un fondo di verità). Ha resistito a vari assalti, ma ha vissuto anche contrasti religiosi. Nel 591 papa Gregorio Magno mandò l’abate Orosio a ristabilire la disciplina, perché i monaci avevano iniziato a seguire la regola cenobitica di Pacomio. Non era facile venirlo a sapere, ma la navigazione è sempre stata, fin dalla preistoria, un’attività molto più praticata di quanto s’immagini. Quindi le notizie giravano. Infatti a Montecristo, chiamata Oglasa dai greci e Montegiove dai romani,  ci sono tracce di passaggi non solo dei romani, ma anche di popolazioni molto più antiche. Le prime risalgono addirittura al V millennio a.C. . Quanto al Monastero, assaltato dai Saraceni nell’VIII secolo, ebbe il suo periodo più florido a partire dal IX secolo d.C., quando si introdusse la regola benedettina. “Ora et labora”, il motto sembra perfetto per descrivere la vita dei monaci a Montecristo.  La prosperità durò cinque secoli, anche se nel 1237 i benedettini, per volere del Papa Gregorio IX, vennero sostituiti dai camaldolesi. Finì tutto nell’agosto del 1553 ad opera del pirata turco Dragut, il più sanguinario di tutti, terrore non solo dei monaci ma anche di tutto l’Arcipelago. Da allora l’isola rimase disabitata, tranne le brevi soste dei pirati e una lunga e curiosa storia di eremiti moderni e di piccoli tentativi di colonizzazione falliti. Il Gran Ducato di Toscana, a cui l’isola era passata, concedeva pochi permessi, qualcuno tentava di avviare coltivazioni, ma falliva e veniva espulso. L’unico segno di questi tentativi sono due piccoli edifici a Cala Maestra, che servivano ai custodi quando c’erano e ora ospitano  Museo e Infopoint dell’Ente Parco.

Di fatto l’unica vera costruzione è la cosiddetta Villa dei Savoia, che ha una splendida terrazza e bei giardini, ma che in realtà fu edificata a metà dell’ottocento dallo scozzese George Watson Taylor, barone di Strichen, quando acquistò l’isola per 50mila lire. Era il primo di una serie di ricchi nobili convinti di aver trovato l’Eden. Trasformò Cala Maestra in un’area verde con giardini terrazzati e specie esotiche (tra cui l’ailanto che distrusse molte specie endemiche) e costruì la sua dimora che ora viene chiamata Villa Reale, dato che in seguito fu ceduta ai Savoia e usata da Vittorio Emanuele III come residenza di caccia. L’Eden di Watson durò poco. Degli esuli italiani a Londra, passati di lì per andare ad arruolarsi al sud con i garibaldini saccheggiarono e devastarono la villa per ostilità politica contro il barone scozzese. Il quale chiese risarcimenti così esosi che il Governo italiano di fresca costituzione preferì riacquistare l’isola nel 1869 per 100mila lire. Tentò di avviarci una colonia penale, destino comune di tutte le isole dell’Arcipelago. Ma lì l’esperimento fallì dopo dieci anni.  Montecristo cacciava tutti, tranne i monaci o i ricchi nobili che si innamoravano di lei.

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 Ad esempio il marchese Carlo Ginori Lisci di Firenze che la affittò nel 1889 e la trasformò in una riserva di caccia personale. Ristrutturò la Villa e fece stabilire sul posto tre famiglie di contadini e poi invitò poeti, musicisti (anche Giacomo Puccini), nonchè il re Vittorio Emanuele III, a cui alla fine concesse l’uso esclusivo. Dall’inizio del Novecento Montecristo vide solo qualche giardiniere del Re, che veniva di tanto in tanto, ma in sostanza l’isola era deserta e abbandonata. E lo fu ancora di più dopo le devastazioni della guerra (la Villa reale fu spogliata di tutto durante il secondo conflitto).

Ma per un’isola cosa ci può essere di peggio dell’abbandono? La speculazione. E’ l’ultimo capitolo, per fortuna a lieto fine. A partire dagli anni sessanta, le bellezze e la solitudine dell’isola iniziarono a fare gola. Il Demanio aveva concesso i diritti di gestione a una società romana, la Oglasa (l’antico nome di Montecristo) che tentò di trasformare l’isola in un paradiso per soli ricchi. Era tutto pronto, ma sui giornali scoppiò una sacrosanta polemica. Benedetta stampa. Per bloccare la speculazione e le polemiche, lo Stato italiano non trovò altra strada che istituire il 4 marzo 1971 la Riserva naturale integrale. Fine dei giochi. Certo, da quella data e per 50 anni Montecristo è diventata “l’isola che non c’è”, un patrimonio a disposizione dei naturalisti, ma sottratto al godimento dei cittadini. Si può discutere se sia stata la soluzione migliore, ma l’isola, questa è una certezza, è stata salvata. Le visite a numero chiuso di oggi sembrano il giusto compromesso. Nel 1977 è entrata nella rete delle Riserve Biogenetiche del Consiglio d’Europa e fino a tre anni fa gli unici visitatori sono stati studiosi e scienziati italiani ed europei. Ci hanno abitato in modo stanziale solo le famiglie dei guardiani, che hanno raccontato in libri e racconti la loro esperienza. Se l’isola affascina, bisogna leggerle. Sono testimonianze che descrivono bene cosa vuol dire trovarsi soli e lontano da tutti su un’isola deserta e impervia. Quando i venti soffiano e il mare s’ingrossa, l’Elba e il continente appaiono lontanissimi, e Montecristo fa paura. Eppure tutti l’hanno amata.

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E’ vero, quando scende la sera su Cala Maestra e il mare si fa nero, può salire lo sgomento. Non ci sono luci all’orizzonte, tanto meno sull’isola. Bisogna essere tranquilli dentro. Quando siamo andati due anni fa, il capitano dei carabinieri forestali che aveva in quei giorni il controllo sull’isola, ci raccontò un episodio di qualche anno fa. Avvenne che si trovarono soli per 15 giorni due carabinieri e uno dei due ebbe una crisi di follia. Iniziò a distruggere archivi e computer, staccò il generatore, minacciò con la pistola il collega, che calata la notte dovette nascondersi in alto sulla montagna in attesa dei soccorsi che arrivarono molte, molte  ore dopo. Un film dell’orrore. “E’ sempre meglio essere in tre”, è stata la conclusione del capitano, “ci si fa più compagnia e le tensioni si controllano meglio”.

E il famoso tesoro? Dev’essere l’aspetto misterioso dell’isola, la sua solitudine, ad averne alimentato la leggenda. Resa celebre dal romanzo di Dumas, il Conte di Montecristo, l’isola un grande tesoro forse l’ha avuto davvero, nascosto nel Monastero di San Mamiliano. Nel corso dei secoli, viste le frequenti visite dei pirati sull’isola, pare sia stato trasportato in continente in un luogo più sicuro. A Sovana, in Maremma, nel 2004 fu trovato nella locale e omonima chiesta di San Mamiliano un tesoro risalente all’età della morte del Santo, che avvenne in continente e non sull’isola. L’equivoco deriverebbe dallo scambio dei siti. Tutti cercavano il tesoro sull’isola, ma le ricchezze raccolte dai monaci (pare frutto di donazioni ecclesiastiche) erano già al sicuro altrove, dove i pirati non arrivavano. Dumas non fece che riprendere le antiche leggende, rendendole immortali.

 Ma andando a Montecristo è difficile pensare al tesoro. L’unico tesoro è l’isola stessa, il suo silenzio, le rocce che si inabissano. Bisogna solo andarci in punta di piedi e rispettarla. Lì nemmeno le capre amano i turisti.



BRUNO MISERENDINO (Nato a Roma nel 1951, inutile laurea in Storia, insegnante e poi giornalista all’Unità per 33 anni, inviato di politica per troppo tempo e per questo pre-pensionato felice. Amo la musica, anche se il violoncello non se ne accorge, alle città preferisco montagne, deserti e mare. Prima o poi andrò a vivere all’Elba. Ma devo sbrigarmi)

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