Miracolo a Latina, fra pianoforti e romanze

di FABRIZIO FUNTÒ

Era da poco venuto a mancare Gianfranco Plenizio, un musicista e compositore raro e prezioso, un gigante. Ma anche un socio di una impresa strana e unica nel suo genere, denominata “Verba”.

Discutendo con sua moglie Flavia, amica di sempre e quasi-sorella, su come organizzare tutto il patrimonio musicale che le era rimasto, lei disse irrevocabile: “Gianfranco mi diceva che l’unico a cui avrebbe lasciato le sue carte è un direttore d’orchestra di Latina, Claudio Paradiso”.

“E come mai?” — le chiesi subito.

“È l’unico di cui si fidasse. Sta organizzando un archivio di musicisti italiani e penso di contattarlo”.

Così venni a sapere —quasi in sordina e a mezza bocca — dell’impresa titanica del “Maestro” Claudio Paradiso, a Latina. Lo scrivo fra virgolette, perché a lui, Paradiso, non piacciono questi titoli. Mentre a Gianfranco piaceva sottolineare che solo due categorie di professionisti in Italia si possono fregiare legalmente del titolo di “Maestro”: quelli di scuola, e quelli di musica. Gli altri — a suo dire — erano tutti abusivi.

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Paradiso arrivò a casa di Flavia Schiavi, in un pomeriggio di sole, con un camioncino e due operai. Flavia aveva messo su una piccola task-force per inscatolare qualche tonnellata di materiale musicale, e aveva passato un paio di mesi a riordinare e elencare (non catalogare) il tutto, e a ricomporre i faldoni. Gianfranco era di una precisione svizzera, e ciò nonostante la sua scomparsa aveva lasciato molti lavori a metà, molte carte sparpagliate, occorreva dare loro un ordine.

Così, piano piano, con l’apporto di tutti, decine di scatoloni vennero inghiottiti dal camioncino, scarrozzati sui carrelli  che incessantemente, in qualche ora, svuotarono l’archivio delle Romanze Italiane. Ne aveva raccolte più di 20.000. Mai avrei creduto che ve ne fossero tante. Invece ne saltano ancora fuori a centinaia.

Il “Maestro” Paradiso, un cherubino sorridente di una tenacia micidiale!

Flavia aveva trattenuto qualcosa con sé non ancora rimesso a posto, promettendo a Paradiso di portarglielo a Latina di lì a poco. Quando fu il momento, mi chiese di accompagnarla in macchina, dandole una mano a portare gli ultimi quattro o cinque scatoloni.

Per noi, che portiamo Gianfranco nel cuore — al di là del suo riconoscimento come un grande della musica contemporanea e di colonne sonore cinematografiche — si trattava di un dolce peso e di un incarico ben lieve.

Ma perché a Latina? Proprio a Latina? Che succede laggiù? 

                                                                                             *   *   * 

Quello che ci si spalancò davanti agli occhi, quando entrammo nella porticina di ferro del DMI di Latina, ci apparve subito miracoloso. Quasi indescrivibile.

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Ed è una delle tante storie sconcertanti di questa Italia ricolma di risorse impensabili e quasi mai valorizzate come meriterebbero. Mi sentivo come un Aladino nella grotta dei tesori. Concedetemi due minuti per riorganizzare le idee, e poi provo a spiegarvi. Ma vi dico subito che devo fare appello a tutta la vostra immaginazione e — qualora non l’aveste — vi direi di fare una puntata lì, un giorno o l’altro, per rendervi conto di persona.

Dunque, provate a rappresentarvi mentalmente due hangar paralleli, che anticamente servivano da magazzini del sale. Enormi, centinaia di metri. Solo una piccola parte è attualmente occupata dal DMI, il resto è in ristrutturazione. In uno spazio del genere, un pianoforte a coda da gran concerto sembra il giocattolo di Schroeder, il pianista amico di Charlie Brown. A perdita d’occhio, ci sono scaffali che contengono libri, manoscritti, nastri, CD, ma soprattutto spartiti, e spartiti, e spartiti.

Come vi dicevo, il solo archivio di Gianfranco Plenizio conteneva in partenza più di 20.000 spartiti di Romanze Italiane, vale a dire le “canzoni” che venivano cantate nei salotti buoni e non dalla fine dell’800 fino alla invenzione del mangiadischi, negli anni ’60 del secolo scorso. Lì si raccoglievano i giovani per fare musica, incontrarsi, conoscersi, amarsi. Infatti, già da allora, cuor fa rima con amor, e la sensualità serpeggia nei testi come nelle note.

E tutti gli altri archivi?

Ebbene, accade per moltissimi musicisti italiani ciò che ho appena descritto per Plenizio. E per fortuna, accade a Latina. Incredibili talenti musicali, alla cui morte parenti ed eredi si sono ritrovati una montagna di “roba” musicale senza saper bene che fare. Spesso oggetti preziosi, unici e rari. Spesso testimonianze introvabili.

archivio_plenizio_romanze_01jpg(Archivio Plenizio, le romanze      foto di Fabrizio Funtò)

Inopinatamente si è diffusa la voce che c’era un Paradiso che — a spese sue — andava a recuperare tutto questo patrimonio per conservarlo, con un atto d’amore incredibile, in un unico posto che nelle sue intenzioni dovrebbe diventare la “Casa della Musica”. Per il momento si chiama “Dizionario della Musica in Italia”, DMI appunto.

E Claudio Paradiso, pur non essendo un nazionalista sfegatato (o un “sovranista”, come oggi si suole dire con un pessimo termine) ha capito che occorreva recuperare, archiviare e catalogare, per poi offrire al pubblico mondiale, la specificità della musica e dei musicisti italiani. Perché è una cosa a sé, con codici e richiami interni particolarissimi, nel contesto della cultura mondiale. E non da oggi: chi ne sa un po’, sa che già nel ‘700 la musica “italiana” aveva questa caratteristica in tutta l’Europa. Che, a quel tempo,costituiva il mondo che contava (e cantava).

Quindi parenti, amici, eredi di questi musicisti oggi sanno cosa fare di tutto questo patrimonio che — diversamente — sarebbe stato instradato al macero. E chissà quante cose negli anni abbiamo già irrimediabilmente perso.

L’impresa paradisiaca (perdonatemi l’aggettivo) data dagli inizi del presente millennio. Il Comune di Latina, fra alti e bassi, ha concesso dapprima i Magazzini del Sale al DMI, poi ha stanziato qualche fondo. Però si deve solo alla tenacia del suo fondatore se — goccia dopo goccia — il Ministero dei Beni Culturali dopo un decennio e più si è finalmente mosso per finanziare una Casa della Musica a Latina. Fondi che però, prima che diventino operativi, passano anni e anni — grazie ai gorghi delle mille e una trappole burocratiche.

Se penso che gli antichi romani impiegarono “solo” otto anni per costruire il Colosseo, mi viene un groppo alla gola. 

                                                                                            *   *   *

Ora ci sono tonnellate di materiale musicale negli archivi del Dizionario della Musica in Italia (www.dmi.it). E affluiscono con crescita esponenziale intere biblioteche, strumenti, archivi, nastri, dischi in vinile, di cui si contano già svariate migliaia.

Ma anche fotografie. E storie, e racconti di una potenza straordinaria, che il Paradiso ogni tanto pubblica. Ma ne restano a centinaia, letteralmente inedite. Non ci crede nessuno, ma sta avvenendo, silenziosamente, sotto i nostri occhi, nell’indifferenza generale, come purtroppo spesso accade per queste cose.

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(Biblioteca       foto di Fabrizio Funtò)

Un intero universo, stipato al caldo secco dei magazzini del sale, nel cuore di Latina.

E, in punta di piedi, infine arriva anche l’Europa.

Grazie a un finanziamento incrociato, sta per prendere forma un progetto di archiviazione globale… ma del solo lascito di Gianfranco Plenizio.

Già, perché incrociando gli sforzi di alcune università italiane, di ricercatori e di Fondazioni, di strutture universitarie dedicate all’informatica e di esperti musicologi, ci vorranno alcuni anni solo per catalogare esaustivamente tutto il patrimonio lasciato da Gianfranco, che ha scritto o diretto colonne sonore per più di 250 film (buona parte del cinema italiano, primario qualche volta, più spesso secondario a partire degli anni ‘60-70, da “Django” a “E la nave va” di Fellini), ha scritto composizioni originali apprezzatissime, ha diretto sperimentalmente dal vivo musica associata a film muti del primo novecento, come il Faust di Murnau (mai eseguita con successo, per via della discrepanza temporale fra musica e immagini sui lungometraggi riprodotti a manovella), ha creato musica per App multimediali, ha tenuto lezioni e concerti, ha scritto romanzi e racconti pregevolissimi, ha coltivato il fumo del sigaro (scrivendoci sopra da esperto) — insomma, una vita geniale da seguire passo passo in una miriade di rivoli.

Useranno Gianfranco Plenizio come prototipo Europeo, proprio grazie a questa ecletticità che consente di coprire quasi tutte le problematiche di archiviazione.

E poi si vedrà, per le restanti centinaia di grandi e piccoli talenti che hanno fatto della musica italiana un monumento nella cultura mondiale. E che stanno ora lì, a Latina.

E così ho chiuso il cerchio.

                                                                                            *   *   *

Una piccola nota finale. Personale.

Io sono molto più disperato di molti di voi. Perché — e lo dico con tutta l’arroganza e la prosopopea di questo mondo, volutamente, sapendo di commettere un odioso peccato di presunzione — io saprei come organizzare quegli archivi informatici. Che informatici non sono, o non dovrebbero essere. E lo dico da informatico: la concezione degli archivi attuale è completamente sballata. Soprattutto per quanto riguarda i giacimenti culturali, come quello del DMI di Latina.

La concezione attuale risponde a necessità specifiche, finanziarie, di controllo, che sono state elevate a categorie universali ed assolute.

Già, disgraziatamente saprei come riorganizzare una informatica adatta a trattare la complessità dei temi culturali, e non come se si trattasse di catalogare bulloni, come avviene oggi. Altrove, ho lasciato traccia di questo pensiero, che potrebbe trasformarsi in una tecnologia dirompente, in grado di scardinare le male pratiche odierne e di creare un tessuto culturale a disposizione dell’umanità intera, proprio perché il modello che ho sviluppato, con alcuni esempi pratici tangibili,  prescinde dalle migliaia di linguaggi che usiamo per esprimerci.dsc04900jpg

(I capannoni del Dmi     foto di Fabrizio Funtò)

Un pensiero nato da una piccola idea che aveva avuto Ludwig Wittgenstein, senza neppure immaginare che un giorno ci sarebbero stati i computer. Ma solida e funzionale. Che forse pochi hanno compreso, e nessuno aveva mai sviluppato. Come il DMI di Paradiso.

Per il momento, non c’è niente da fare. Chi potrebbe, non capirebbe. Forse, fra qualche secolo, qualcuno la riscoprirà.

E credetemi, allora me la riderò — dal posto che avrò finalmente raggiunto e nel quale mi sarò ottimamente reinsediato.

Da peccatore.


*FABRIZIO FUNTO` (Lecce, 1957. Filosofo pentito, docente mancato, è stato mandato subito a fare il guru della Realtà Virtuale e dell’Innovazione Tecnologica oltreoceano. Ci ha preso gusto. Ogni tanto tossisce qualche storia inattuale)

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