Milano da mangiare, i primi trenta anni dell’Osteria del Treno  

di ANTONIO SILVA*

Solo un tipo scoppiettante come l’Angelo Bissolotti poteva trasformare un covo di pensionati in una golosa Osteria, senza sfrattare i ferrovieri pensionati che continuavano ad andare nella loro sede per le partitelle di scopa.

Ecco, lui scoppia: di energia, di ottimismo, di generosità e – porcocan – di iniziative che mi ci tira in mezzo.

Il primo scoppio è proprio all’inizio della storia. Che l’Osteria del Treno ci aveva ancora la “stuzzicheria” proprio nel titolo. E già si faceva fatica a parcheggiare in quel’ostis di via San Gregorio. Ma io andavo perché allora c’era la sua mamma dell’Angelo in cucina, ed era una festa riscoprire piatti e sapori. Con l’Angelo che mi ha presentato la sua mamma. Ma ero un cliente normale.

Poi mi è arrivato a scuola un professore craniaccio – allora di mestiere facevo il preside -  che in seguito è diventato direttore editoriale di una importante casa editrice. E questo qui - si chiama Marzio Zanantoni -, parlando così così, mi dice che lui e l’Angelo sono amici da una vita e ne hanno combinate di belle in riformatorio. Urka: nel senso che loro ci andavano come educatori o similquello. Il Zanantoni mi accompagna al Treno e anche io divento amico dell’Angelo. E’ la volta che faccio il salto: da cliente normale a dipendente. Nel senso dell’Osteria-dipendente, nonostante le difficoltà di parcheggio.

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Una sera sono lì a cena con un gruppo di amici quando entrano David Riondino e Paolo Rossi che avevano fatto uno spettacolo a Milano. Per dire la gente che capitava e ci capita lì en passant. Mica paglia. Ci faccio la mia porca figura. Non perché conosco il Riondino e il Rossi, ma perché si vede che sono proprio amico dell’Angelo. Che è appassionato di musica, soprattutto di musica popolare e che frequenta il Premio Tenco.

Intanto succede che viene pubblicata da Slow Food la Guida delle Osterie. Naturalmente il locale di Angelo entra subito in guida. E c’è una storia che all’Angelo non ce l’ho mai raccontata e adesso la scoprirà.

In quegli anni l’Osteria del Treno è diventata un locale importante. Mi verrebbe da dire trendy, ma poi il Gianni Mura, da lassù, mi cazzia perché uso le parole inglesi. Bisogna sapere che per stare nella Guida bisogna rispettare, oltre ai rigorosi standard di qualità, anche il costo indicato nella scheda per un pasto-tipo. Un bel giorno mi telefona il Carlin Petrini in persona, fondatore e presidente di Slow Food, e mi dice che ci sono lamentele che l’Osteria del Treno è cara e quindi mi dice di andare a controllare. Ho dovuto mettere in piedi tutta una manfrina per andarci una sera in cui non ci fosse l’Angelo. Perché, se mi vede, mi riempie di salumi e formaggi e delizie varie e mi fa pagare una cialada. Insomma, ci vado, in incognito, a cena con un amico, dopo aver faticosamente trovato parcheggio. Ordiniamo un pasto-tipo - che si intende un primo, un secondo, un contorno, bevande escluse – e ci stiamo alla grande nel prezzo indicato. Poi però mi guardo attorno e scopro l’inghippo. Nessuno si attiene al pasto-tipo: come minimo ci scappa l’antipasto e il dolce, e ti credo che sforano. Perché l’è dura, con tutto il ben di dio che c’è scritto sul menu, contentarsi del pasto-tipo. Riferisco il tutto al Carlin e L’Osteria del Treno continua a giganteggiare nella guida, nonostante le difficoltà di parcheggio.

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Ma adesso vi faccio schiattare di invidia. Ogni tanto ci mettevamo d’accordo, il Gianni Mura, il Gigi Garanzini e il sottoscritto, e ci si trovava all’Osteria. Ma sul tardi tardi, che è più facile parcheggiare. Si aggiungeva l’Angelo e siamo in quattro: ensemble perfetto per la scopa. Siamo solo noi quattro, nella Sala Liberty (che sarebbe il salone delle feste) tutta per noi, e mentre giochiamo arrivano sul tavolo carni, salumi, formaggi e bottiglie che ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi. E si fa mattina. Il problema è ricordarmi dove ho parcheggiato.

Un altro colpo l’ha fatto il mio amico Fabio Zanchi, quando se ne è andato da “La Repubblica”, perché lì non se lo meritavano uno così. Appuntamento dall’Angelo per un rinfresco: per fortuna non avevano ancora inventato l’apericena. Che poi non ci stava neanche: roba da fighetti. E’ diventato un apriticielo – eravamo in più di duecento persone -, a colpi di carni, salumi, formaggi e bottiglie che ho visto cose che voi umani.

Ma la più grossa me l’ha combinata cinque anni fa.

Io compivo 70 anni. Che è già un discreto traguardo, rivarci con tutte le difficoltà di parcheggio. Una sera il Gianni Mura, margnifone e capirete perché, mi dice – dopo aver scritto il pezzo sulla partita – andiamo a mangiare un boccone all’Osteria del Treno. Ciumbia. Entriamo e il Gianni si avvia deciso verso la Sala Liberty. Apro la porta, tutto buio. Dopo un attimo si accendono le luci e me mi viene uno s’cioppone che mi accascio su una sedia. Su in galleria ci sono schierate una ottantina di persone, tutti miei amici, che i miei figli hanno convocato lì senza farmi sapere niente e intanto dal palco della sala (sì, c’è anche un palco, per chi voglia esibirsi tra un piatto e l’altro) partono le canzoni di auguri. Perché, oltre agli amici “normali” chiamati dai miei figli, l’Angelo ha convocato anche i miei amici che cantano e suonano: ci sono i Favonio, il Luca Ghielmetti, il Ricky Gianco, l’Andrea Parodi, l’Alberto Patrucco, il Claudio Sanfilippo, i Sulutumana. E forse qualcun altro che mi è sfuggito. E suonano e cantano tutta sera intanto che sui tavoli arrivano le solite cose che voi umani. Alla fine canta e balla anche lui, l’Angelo. Canta e mentre canta saltella che’l par un magatell.

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La penultima è del 2017.

Ad agosto muore Nanni Svampa. Non hanno ancora finito di metterlo via, che mi chiama l’Angelo: dobbiamo fare qualcosa per il Nanni. E, sui due piedi, si inventa una “Cantata per Nanni Svampa”. Tira dentro il Roberto Brivio, il Luca Ghielmetti, l’Umberto Faini, il Gianni Mura, il Pietro Nobile, il Flavio Oreglio, l’Alberto Patrucco, il Folco Orselli, il Francesco Salvi, il Claudio Sanfilippo, il Nadir Scartabelli. Conduce Antonio Silva, che voglio vederti a gestire quella compagnia di matti.  Riva un sacco di gente, che non so come han fatto a trovar parcheggio, e si canta – e canta e balla anche ‘l magatell - e si parla del Nanni da metà pomeriggio a notte inoltrata. Intanto che sui tavoli sfilano le solite cose che voi umani.

L’ultima, la sto aspettando appena muore quel canchero del virus.

Ma sono solo degli scoppi. Perché è impossibile raccontare trenta anni di cose che voi umani. Soprattutto impossibile raccontare trenta anni e passa di amicizia, di emozioni, di goduria. E di difficoltà di parcheggio.

  

 

*ANTONIO SILVA (Ha insegnato storia e filosofia in diversi licei di Milano e provincia per quindici anni. Poi, per altri trenta, è stato Preside di licei classici e scientifici in Milano e provincia. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche - La Repubblica, il Sole 24 ore - discutendo i problemi della scuola italiana. Con un nom de plume ha gestito la rubrica "Il Giudizio Universale” sul settimanale di resistenza umana "Cuore". Dal 1976 è lo "storico" presentatore della "Rassegna della canzone d'autore - Premio Tenco", che si svolge ogni anno a Sanremo)

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