Meraviglie del Gran Sasso da lago Racollo al Paretone, istruzioni per l'uso (difficile) d'inverno

foto e testo di STEFANO ARDITO* 

Nel cuore della Penisola c’è una montagna facile da vedere. Chi arriva da Roma all’Aquila in una giornata serena si trova davanti l’impressionante muraglia innevata del Gran Sasso. La gigantesca piramide bianca del Corno Grande sorveglia l’autostrada Adriatica dalle Marche fino al Molise. Le vette più alte del massiccio compaiono all’orizzonte dalle colline del Lazio, dal Conero e perfino dal Monte Amiata e dall’Umbria.


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(Assergi e il Pizzo Cefalone)


Accostarsi al Gran Sasso d’inverno, però, non è sempre facile. Sul versante di Teramo, il più spettacolare del massiccio, la stazione sciistica di Prato Selva versa in completo abbandono. Qualche chilometro più a sud, gli impianti e le piste dei Prati di Tivo sono fermi a causa degli investimenti sbagliati degli ultimi dodici anni, e delle furibonde liti tra le varie amministrazioni locali e i gestori.

Sul versante che guarda L’Aquila, meno ripido e più austero, le piste di discesa di Campo Imperatore hanno ripreso a funzionare dopo un inverno di stop per il Covid-19. A causa dei pochi fondi a disposizione della Provincia, e del disinteresse degli enti per il turismo invernale diverso dallo sci di pista, non vengono spazzate dalla neve la strada dal Passo delle Capannelle ad Assergi, e quella che da Santo Stefano di Sessanio raggiunge il Lago Racollo, sulla piana di Campo Imperatore.


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(Sciatori a Campo Imperatore)


Da Castel del Monte, l’antica roccaforte dei pastori, si sale a Fonte Vetica solo quando lo spazzaneve ha lavorato. Gli anelli per lo sci di fondo, battuti con passione da un gruppo di appassionati locali, restano spesso un miraggio.

Tra la Fossa di Paganica e Monte Cristo sono gli scheletri in ferro e in cemento di altri skilift in abbandono. Il paragone con il resto dell’Abruzzo, dove lavorano a pieno ritmo sia le piste da sci di Roccaraso e di Ovindoli, sia gli organizzatori di escursioni di Pescasseroli e dintorni, è impietoso.

A chi sa dove e come visitarlo, però, il Gran Sasso imbiancato continua a offrire delle grandi emozioni. Per chi arriva per la prima volta, d’inverno, l’esperienza più ovvia è salire in funivia da Fonte Cerreto, accanto al casello di Assergi della A24, fino ai 2130 metri di Campo Imperatore.

Oggi l’albergo che ospitò Mussolini è in restauro, ma basta allontanarsi brevemente dalle piste, verso l’Osservatorio astronomico, per affacciarsi su uno straordinario panorama dell’altopiano. Il rifugio Duca degli Abruzzi, quota 2388, sorveglia la zona dalla sommità di un facile pendio innevato.


La cresta della PortellaJPG

(La cresta della Portella)


Per salire al rifugio, che apre soltanto in estate, è però necessario usare la piccozza e i ramponi. Per continuare sulla cresta di neve della Portella, se non si ha esperienza di alpinismo, la soluzione migliore è rivolgersi a una delle tante e ottime guide alpine dell’Abruzzo, e camminare su quel crinale innevato con l’attrezzatura corretta e in cordata. Superato il tratto più aereo, si continua senza più difficoltà verso Monte Aquila, 2495 metri, che è un favoloso belvedere. Prima o dopo questa puntata ad alta quota, merita una sosta il borgo medievale di Assergi, con lo sfondo del Pizzo Cefalone.

Le ciaspole, o gli scarponi se c’è poca neve, vanno bene per salire a piedi, per un itinerario inconsueto, da Santo Stefano di Sessanio a Rocca Calascio, il castello più famoso dell’Abruzzo, che appare con lo sfondo della Majella innevata. Se la strada della Vetica è aperta, con un’altra camminata in piano si può costeggiare la base del Monte Camicia verso una miniera in abbandono e il solco del Vallone della Fornaca.


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(Santa Maria del Monte di Paganica)


Se è stata spazzata anche la strada del Racollo, una camminata di poco più di un’ora, con partenza dal rifugio accanto al lago, porta ai ruderi di Santa Maria di Paganica, una piccola abbazia cistercense in rovina nel cuore di Campo Imperatore innevato. Basta guardarsi intorno per capire perché Fosco Maraini, orientalista e alpinista, abbia paragonato ottantacinque anni fa al Tibet il più grande altopiano d’Abruzzo.  

Per raggiungere il versante opposto della montagna, invece di utilizzare il Traforo, suggeriamo di scavalcare il Passo delle Capannelle, e di continuare sulla vecchia statale che sfiora il lago di Campotosto, scende in vista del Monte Corvo, lascia a destra la valle del Chiarino e i suoi boschi (un altro magnifico spazio per scialpinismo e ciaspolate!) tocca minuscole frazioni come Ortolano e Aprati.

Da un bivio caratterizzato da un’enorme freccia gialla su un muro, e che la gente del posto chiama da sempre “lu frecciò”, una ripida salita a tornanti porta a Pietracamela, un magnifico borgo di pietra dominato dalle vette più alte del Gran Sasso.


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(Pietracamela)


E’ obbligatorio, prima di continuare, regalarsi una sosta per entrare nelle ripide viuzze del borgo, ammirare i portali di arenaria scolpita, affacciarsi sull’opposto versante sulla profonda valle del Rio Arno. Sei chilometri di strada più in su, a 1450 metri di quota, accolgono il visitatore gli edifici moderni dei Prati di Tivo, due seggiovie, la cabinovia che nel 2021 non è mai riuscita a funzionare.

Dall’alto, ripidissimo e roccioso, sorveglia la zona il Corno Piccolo, il “Cervino del Gran Sasso”, percorso in estate dagli arrampicatori di mezza Italia. D’inverno consigliamo di lasciare l’auto nel piazzale, calzare le ciaspole (ma se la neve è poca si va a piedi), e imboccare la strada che sale verso sinistra, nel bosco.


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(Il Paretone)


Due tornanti, e degli scorci panoramici verso i Monti della Laga, indicano che si è sulla via giusta, poi un tratto a mezza costa porta al rifugio Cima Alta, che spesso è aperto anche d’inverno. Ancora qualche minuto di cammino, e dal freddo della faggeta esposta a nord si passa sui dossi dell’Arapietra, pieni di luce e di sole.

Da una grande croce su un dosso, che si raggiunge in un’ora e mezza dai Prati, si ammira un incredibile panorama sul Paretone, la muraglia di roccia (e d’inverno, di ghiaccio) più alta dell’Appennino e dell’Abruzzo.


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(Sosta al rifugio Cima Alta)


Dall’altra parte, se non c’è nebbia, il Mare Adriatico scintilla alla luce del sole. Prima di tornare verso i Prati, il rifugio Cima Alta e il suo gestore, Francesco detto “Ju cambusiere” attendono escursionisti e scialpinisti per una sosta come si deve. I rifugi che vale la pena visitare non esistono solo sulle Dolomiti.            

 

 

*STEFANO ARDITO (E' noto ai camminatori per le sue guide dedicate ai sentieri dell’Appennino e delle Alpi. Giornalista, scrittore, documentarista, scrive per Il Messaggero, Meridiani Montagne, Plein Air e il sito Montagna.tv e Plein Air. Ha lavorato per Airone, Repubblica, il Venerdì, Specchio de La Stampa e Alp. E’ autore di circa 60 documentari, in buona parte trasmessi da Geo&Geo di Rai Tre. Tra i suoi ultimi libri sono Alpi di guerra, Alpi di pace, Premio Cortina Montagna 2015, e Alpini, finalista al Premio Bancarella 2020, entrambi editi da Corbaccio. Ha raccontato di Darjeeling e della cima più alta della Terra in Il gigante sconosciuto - Corbaccio, 2016 - dedicato al Kangchenjunga, e in Everest - Laterza, 2020 -, che celebra i cent’anni della prima spedizione britannica).


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