Mani magic e le ceneri di Chatwin/ 1

di MANUELA CASSARA' e GIANNI VIVIANI* 

Il Mani, questo sconosciuto. Dagli italiani, almeno. Perché per gli anglosassoni, gli scandinavi e gli onnipresenti tedeschi, da tempo è sulle rotte migratorie e vacanziere. A riprova, i charter stagionali e il gran numero di pensionati che hanno cercato, e trovato, nel Mani,  il loro posto al sole.

Anche noi lo cercavamo, un posto al sole.

All’inizio volevamo qualcosa di esotico.Di esotico e di lontano. Di molto lontano.

Eravamo stati a Santo Domingo, da dove eravamo scappati, depressi dalla tristezza patetica che pervadeva quei condomini frequentati da italiani in fuga dalle loro vite. Più o meno oneste.

Avevamo preso in considerazione il Costarica, che sarà pure la Svizzera del Centro America ma offriva due opzioni estreme: una, vivere come eremiti in stile Mosquito Coast, magari con anaconda stanziale nel dehor,  l’altra segregarsi in condomini per pensionati abbienti, guardati a vista da vigilantes armati.

Quindi scartato anche il Guanacaste.

Avevamo fatto poi un salto in Madagascar, anch’esso non proprio dietro l’angolo, va a vedere che a Nosy Bè troviamo una casetta fronte mare che viene via con poco? Dopo una notte inquietante, tenuti svegli dal suono dei limitrofi tamburi di un rito vodoo, dopo aver preso atto della povertà estrema della popolazione, dopo aver visto il contrasto con i villaggi Alpitour, e lo sfruttamento di quei poveri cristi d’indigeni, avevamo deciso che non era il caso di dare il nostro, seppur piccolo, contributo al colonialismo.

Essendo abbastanza incoscienti, eravamo partiti alla larga.

Tornati a più miti consigli, ci eravamo detti: ma se rimanessimo nei paraggi mediterranei, così tanto per andare più sul sicuro?

Arrivo a Patrasso P1jpeg(Patrasso     foto di Gianni Viviani)

Scartato il Sud d’Italia, primo perché siamo esterofili, poi per i costi esosi delle proprietà vicino al mare, scartata la Spagna perché inflazionata da un’ indiscriminata proliferazione turistica, evitata la Francia costiera perché cara ammazzata e molto edificata,  manco presa in considerazione la Slovenia e tutte le neo nazioni sulla costa adriatica, rimaneva la Grecia.

Così avevamo incominciato a ragionarci sopra: chi ci conosce si stupirà, ma noi ci ragioniamo sulle cose, mica siamo quei faciloni proni ai colpi di testa che tutti s’immaginano. Le isole più grandi, ci siamo detti, sono costose e già colonizzate dagli italiani; quelle piccole sono troppo isolate, raggiungerle è un problema d’estate, in bassa stagione non se ne parla. Tutte soffrono di una stagionalità ridotta, e per noi che non siamo propensi all’eremitaggio non vanno bene. Invece quella bella, vasta propaggine del Peloponneso, che sempre Grecia è, offriva maggiori possibilità. Collegato dal ponte sull’istmo di Corinto, il Peloponneso era raggiungibile da Atene in aereo, e in nave, macchina al seguito, da Brindisi o da Ancona, con attracco a Patrasso.Il mare di Ritsa P1jpg

(Il mare di Ritsa       foto di Gianni Viviani)

L’avevamo girato, per benino, nel 2003 e ci aveva affascinato. Ce ne eravamo innamorati, ci era rimasto dentro, soprattutto il Mani, una regione aspra, rurale, scoscesa, coltivata a ulivi, dove le capre s’inerpicano per terreni impervi che raggiungono un mare color cobalto, in ampie insenature riparate dal vento. Perché qui il Meltemi scarseggia. E anche questa era una garanzia. Se non sei un velista.



Certo non era la Grecia da cartolina, quella iconografica con le case bianche, le sedie azzurre, i mulini a vento, i vasi di gerani e le bouganville.

Ma vantava inverni miti, le famose mezze stagioni, un’accessibilità tutto l’anno, costi abbordabili, panorami mozzafiato, mare roccioso e cristallino. E aveva dalla sua la Storia, il Peloponneso, che riportava alle glorie di Sparta, ai miti di Achille, Paride, Menelao, all’Iliade, alle rovine di Micene e di Olympia, al tempio di Epidauro, alle magnifiche vestigia bizantine, chiesette isolate nel nulla, la scenografica cittadella fortificata di Mistra. In più si mangiava bene, con un menù che andava oltre la greek salad, il souvlaki e l’ubiqua moussaka. Un menù contadino, ruspante. Si trovava persino il pesce che, sembrerà strano, sulle isole capita che scarseggi, perché preferiscono venderlo sul continente.

Del viaggio fatto nel 2003, nonostante ci fossimo goduti le bellezze di Napflia, Elafonissi e Monemvassia,  mi era rimasta impressa Kardamili.  Dove non ci eravamo nemmeno fermati. Ricordo molto chiaramente di aver pensato, mentre ci dirigevamo verso Patrasso, percorrendo l’unica strada che la traversava: “carino qui!”. Si vede che era scritto.

Kardamili dallaltojpg(Kardamili        foto di Gianni Viviani)

Nel 2006  ai sessanta mancava ancora qualche anno, ma eravamo sempre più insofferenti, tutti e due, alle piccole grane quotidiane e lavorative. Era arrivato il momento di darsi una mossa, di mettere le basi per il cambio vita. Nonostante le precedenti delusioni, eravamo determinati a trovare un posticino per viverci, anche a tempo pieno.

Dopo aver smanettato sul web un paio di giorni, non proprio una ricerca capillare, avevamo contattato due agenzie immobiliari, fissato gli appuntamenti, fatto il check in per Atene, affittato una macchina, e a fine giornata eravamo a Kalamata, nostra base operativa. Oggi raggiungere Kardamili è una passeggiata; con l’autostrada, da Atene, ci vogliono due ore e mezza.  In piena estate, se dio vuole, e non sempre lo vuole, nel piccolo aeroporto di Kalamata atterrano numerosi charter dal nord Europa e i voli diretti, anche dall’Italia, di Ryan Air, Easy Jet ed Aegean Airlines. Il perché è semplice, sono arrivati i russi con i loro dobloni, frequentatori del prestigioso e molto costoso Westin Resort di Costa Navarino, lato Est del Golfo di Messenia:  Spa, campo da Golf, ristorante firmato, ci va anche Ronaldo con la famiglia.

Ma all’epoca arrivare richiedeva una certa dedizione: cinque ore di estenuanti tornanti di montagna, perché l’autostrada si fermava a Corinto.

Korinto Canal P1jpeg

(L'istmo di Corinto     foto di Gianni Viviani)

La cosa però non ci scoraggiò. E fu così che, essendo una coppia di creature fiduciose, in una bella mattinata di ottobre ci innamorammo a prima vista di un terreno senza acqua, elettricità e telefono e, sorprendendo noi stessi e ancor di più la volpona dell’Agenzia immobiliare, dichiarammo all’unisono: sì, lo voglio.

Due firme, un assegno e quell’appezzamento, con i suoi dieci ulivi malandati e un numero molto maggiore di pietre e sterpaglie, a 3 chilometri da Kardamili ma con una vista mozzafiato sul golfo di Messenia e con alle spalle la maestosa piramide del Profeta Elia, sarebbe diventato casa. Intorno il nulla, se non coltivazioni di ulivi e una profumata macchia mediterranea che si arrampicava sulle pendici del Taygeto. Quel Taygeto, così dice la Storia, dove le madri spartane abbandonavamo i loro neonati meno dotati.No, non li buttavano da una rupe, come hanno tramandato certe malelingue. Li lasciavano lì, carinamente a morire di freddo, alla mercé delle bestie feroci. Poco inclini alle smancerie, scarse per spirito materno, le Spartane non si accomiatavano dai figli in partenza per la guerra con un “mi raccomando, copriti e abbi cura di te” ma con un tombale“ o torni con lo scudo o sopra”.

Sarà per l’atavico DNA condiviso con i suddetti Spartani, ma i Manioti, ancor oggi, sono un popolo tosto, territoriale e pugnace, che si è addolcito con il turismo ma rimane inizialmente guardingo, per poi accoglierti con calore e amicizia. Fino a qualche decennio addietro erano gente ancora più battagliera e sospettosa, molto territoriale, incline alle faide tra famiglie, arroccate in singoli torrioni, costruiti originariamente per respingere gli attacchi saraceni, sparsi su quei promontori rocciosi.

La casa di Paddy P1jpg(La casa di Paddy       voto di Gianni Viviani)

Nel suo libro diventato ormai un classico, “Mani, Viaggi nel Peloponneso” pubblicato nel 1958, Patrick Keigh Fermor ricostruisce, persino con una eccessiva dovizia di nomi e particolari, le vite delle tante famiglie che hanno abitato questo territorio selvaggio e isolato. Scrittore, conoscitore di classici greci, viaggiatore, avventuriero, nonché cavaliere dell’Impero Britannico,  Fermour arriva a Kardamili  quando era possibile farlo solo per mare o a dorso di mulo, da Kalamata. Detto Paddy dagli amici, tra cui Bruce Chatwin - su cui torneremo più tardi - Fermor, con la moglie Joan, se ne innamora e si fa costruire un’affascinante villa isolata, circondata da un giardino selvaggio, nella baia di Kalamitsi, punteggiata da cipressi, davanti ad un mare turchese con la sua caletta personale. La proprietà alla sua morte, nel 2011, passa alla Fondazione Stravros Niarcos e viene affidata alle cure del Museo Benaki di Atene. Dopo un’attenta e costosa ristrutturazione degli spazi e del parco, oggi viene affittata per eventi e soggiorni a noti personaggi della cultura, scrittori, artisti, pittori. 

Il regista Richard Linklater, per dirne uno, l’ha usata come location di Before Midnight, l’ultimo film della trilogia in tempo reale con Ethan Hawke e Julie Delphy. Devo dire che mi aveva commosso, la trilogia, primo perché i personaggi invecchiavano con me, Before Sunrise e Before Sunset erano stati girati a distanza, ognuno, di otto anni; poi perché i due protagonisti si vedono entrare nel mio stesso supermercato, a Kardamili. Fanno la spesa proprio dove la facevamo noi. Sono soddisfazioni. Basta poco e una si sente protagonista. Una si sente orgogliosamente locale.

Ma che fine ha fatto, qualcuno potrà domandarsi, la nostra casetta costruita con così tanta spregiudicata incoscienza e altrettanta innocenza? Dopo averci tenuto compagnia per dieci anni, dopo aver ospitato cari amici e creato ricordi, dopo averla curata e amata, reso rigogliosa quella pietraia, smadonnando per la mancanza d’acqua periodica, investendo soldi e sudore nel creare un giardino di oleandri, cipressi e piante indigene, l’abbiamo a malincuore, dolorosamente venduta, nell’autunno del 2017.Kalamata P1jpg

(Kalamata           foto di Gianni Viviani)

Ma torniamo ancora una volta a Paddy. Fermor aveva una governante: Lela. La sora Lela, l’avevo soprannominata io, da romana irriverente. Lela è morta da pochissimi anni, ed era un’istituzione, a Kardamili. Se ne stava lì, seduta, per ore, da sola, sulla sua austera seggiolina impagliata, vestita di nero, una Irene Papas avvizzita, davanti alla Taverna sul mare, sotto le viti, tra i profumi dei capperi e del melograno. Non serviva ai tavoli, non parlava una parola d’inglese, ti salutava al massimo con un breve cenno del capo, dopo anni ti gratificava con un sorriso, ma teneva d’occhio tutto. Da Lela’s conveniva prenotare per assicurarsi un tavolino fronte tramonto, che qui sono spettacolari, ed era meglio andare a cena presto, che già alle 8,30 gli stifados e i fagioli gigantes scarseggiavano. Ad occuparsene, dopo la morte della madre c’era, e immagino ci sia tutt’ora, George, un omone biondo, occhialuto, gentile ma pure lui riservato, titolare anche del piacevole, shabby chic Notos Hotel,  che domina l’ampia spiaggia di Ritsa. Spiaggia di ciottoli dove suo fratello Stavros gestisce Elies, una taverna con studios in affitto, immersi tra ulivi e cipressi, con tanto di spiaggia dedicata. Ci si sdraia sotto i bianchi ombrelloni, ci si avventura nel limpido mare turchese, magari ci si ristora con un café frappé e poi, alle due o giù di lì, ci si trascina fino a sotto gli ulivi per gustare il metro di Greenwich di tutte le moussaka,  i calamari fritti più croccanti dell’universo, la melitzanosalata più perfetta che abbia mai mangiato. Se sembro esagerata, provare per credere. Menù greco classico, a mezzogiorno, che la sera diventava fusion, tra l’italico e il creativo, con piatti di pasta cucinata ottimamente. Dopo due settimane, con tutto l’amore per la cucina ellenica, a volte si cercano sapori più nostrani.

A Kardamili, a Maggio, con date variabili, ma non quest’anno causa Covid, si tiene il Jazz Festival che propriamente jazz non è, che è anche folk e country, e che diventa un evento diffuso, che dura quattro/cinque giorni, che si svolge e coinvolge i ristoranti, la piazza centrale, i kafenion e le taverne della cittadina.

Vicini di casa P1jpg

(Vicini di casa        foto di Gianni Viviani)

Kardamili è una delizia. Ma i paesini dei dintorni possono essere affascinanti. Tseria arroccata in alto sulle prime pendici del Taygeto, spesso nascosta dalle nubi, dove i più volenterosi possono deliziarsi con un trekking tra gli ulivi; Prosilio con la sua bella chiesa bizantina; il porticciolo di Kytries con il suo mare limpido e le sue taverne piedi nell’acqua, letteralmente.

Inerpicandosi in direzione Exohori, altro paesino senza pretese, lo si supera e ci s’inoltra per un sentiero piccino, si passano alcune casette semi abbandonate e si arriva a una chiesetta bizantina, seminascosta, anch’essa senza pretese. E’ un luogo umile, segreto. Ma è qui che Bruce Chatwin, lo scrittore giramondo, colui che aveva fatto dell’irrequietezza il suo stile di vita, amico di lunga data di Paddy frequentatore seriale e amante di Kardamili, che pure tanto aveva esplorato e viaggiato in giro per il mondo, da Uluru alla Patagonia, nel 1989, in questo piccolo sperduto campo d’ulivi, davanti a questa povera chiesetta,  ha scelto di fare spargere le sue ceneri.  E se questa non è una garanzia per venire a conoscere quest’angolo di Paradiso, non so che altro possa esserlo.


*MANUELA CASSARA’ (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto) 

*GIANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram

e.... clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter