L’edicola di Calvi dell’Umbria

di NICOLA FANO

 

A Calvi dell’Umbria si possono di nuovo comprare i giornali. È una buona notizia: l’edicola aveva chiuso molti mesi fa. Più che un cancello aperto verso il mondo (quello lo apre la Rete), l’edicola è un ponte con il passato; un passato fatto di parole e di inchiostro. È incredibile come la carta sia diventata un oggetto d’antiquariato: incredibile per noi che siamo nati e cresciuti in mezzo alla carta.

Calvi dell’Umbria è un paese di mille e ottocento abitanti: l’ultimo lembo della provincia di Terni al confine con il Lazio. Un paese di origine medioevale arroccato su una collina: quando s’arriva in cima, guardando a sinistra si vedono i calanchi e le quinte alte, rapide e rabbiose della Sabina, guardando a destra le valli si allungano e si fanno dolci e morbide dell’Umbria. Terra di confine: l’unico comune umbro governato ininterrottamente, dal 1948 in poi, prima dalla destra democristiana e poi da Forza Italia e succedanei.

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(foto di Nicola Fano)

Perché trentacinque anni fa io sia andato a finire qui, ancora non l’ho capito: non me lo chiedo nemmeno più. Ora c’è una giunta civica d’ispirazione “democratica”:  la popolazione fieramente ostile a qualunque tipo di progresso e progressismo, ha storto la bocca quando è stato eletto il sindaco attuale.  Ma è l’unico – si chiama Guido Grillini – che abbia davvero fatto qualcosa per i calvesi:  ha sistemato l’acquedotto e le “isole ecologiche”, ha rimesso a posto le strade interpoderali e quelle asfaltate fuori dal centro del paese. Ha gestito molto bene l’emergenza Covid (per dire, nel periodo peggiore ogni sera venivano sanificate le strade del borgo): chissà se sarà rieletto. Speriamo.

Insomma, a Calvi ha riaperto l’edicola, anche se un’edicola in senso proprio non c’è mai stata. In paese ci sono tre negozi di alimentari, una merceria, una ferramenta e due bar. E basta. I giornali di solito li vendeva uno degli alimentari: ultimamente, era gestito da un ragazzo simpatico e di sinistra. Quando compravo l’Unità (quando ancora esisteva) mi guardava soddisfatto: «Finalmente qualcuno che vuol sapere le cose come stanno» commentava sottovoce. Poi ha dovuto chiudere e, per molti mesi, procurarsi un giornale è diventato un problema. Neanche a Montebuono, piccolo comune del reatino, il centro abitato più vicino, c’è una rivendita di giornali: bisognava arrivare a Magliano Sabino o a Otricoli dove ci sono vere e proprie edicole. Ma i calvesi sapete come sono: sono come i capresi con gli ischitani. Mi capitò un giorno, da ragazzo incauto, alla stazione superiore della funicolare di Capri commentare con un tizio del posto: «Che bella luce. Ischia, qui di fronte, sembra proprio a portata di mano». Il caprese mi guardò come fossi matto: «Ischia? Che cos’è Ischia?». Ecco, Otricoli si staglia sul poggio di fronte a quello di Calvi ma i rispettivi abitanti si ignorano educatamente: Otricoli? Che cos’è Otricoli?

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(foto di Nicola Fano)

Ora, per fortuna, i giornali si potranno comprare nel bar di piazza. Sì, si dice “di” piazza, non “della” piazza o “in” piazza. La piazza, a Calvi – come in tutti i borghi dell’antica Italia comunale – è un’entità filosofica. È quella che i tedeschi chiamano Heimat: la patria spirituale, una specie di circolo mistico nel quale i cittadini si riuniscono il giorno e la sera, d’estate e d’inverno, per ritrovarsi, per riconoscersi. Quando scoprii questo borgo – era il 1983 – era poverissimo: la gente di piazza viveva di piccoli lavori che andava a fare a Roma (muratori, trasportatori), la gente del contado, invece, viveva di piantoni (gli olivi). Tutti campavano con poco ma sempre con straordinaria dignità. La meravigliosa donna che scelsi come mia madre calvese – si chiamava Delfina – malgrado la sua condizione non certo agiata, ogni volta che andavo a trovarla aveva sempre qualche prelibatezza da offrirmi: che fossero i peperoni sott’olio (sono funghi selvatici che crescono nei boschi di qui) o tagli di maiale sotto sale. La sua pietanza che preferivo era il pane a mollo: ne andava matto anche suo marito Bruno e ogni volta che io li chiedevo anche per lui era una cuccagna. Una zucchina lessa nell’acqua con una fetta di pane sotto e un uovo in camicia sopra. E una bella spolverata di pepe e formaggio grattugiato in cima. Mi viene l’acquolina solo a scriverlo.

Oggi i calvesi sono benestanti: vivono delle rimesse dei figli che fanno i signori a Roma. D’estate, quando i benefattori tornano per qualche giorno a trovare i genitori, fanno tutti lo struscio in piazza: è lì che devono farsi riconoscere, far ammirare i braccialetti nuovi, le scarpe di marca, l’occhiale griffato. Ma questa propensione – chiamiamola così – all’identità comunitaria, da due/tre anni è cambiata. Lo slogan “prima gli italiani” ha fatto breccia e si è riconvertito in “prima i calvesi”. Noi ospiti romani (vado a Calvi, come detto, dal 1983, scelsi di sposarmici con la mia ex moglie, ne sono diventato residente sette anni fa, ci pago le mie tasse e di ciò sono pienamente soddisfatto) siamo appellati con dignitoso sprezzo gli «americani». Nel senso di stranieri. E lì, in piazza, da qualche anno i calvesi hanno smesso di salutarmi: ostentano distacco e superiorità. Non sono di piazza, è ovvio. Tanto più che vivo nel contado, un appartamentino di campagna in una frazione di sette case senza giardino e senza vista a valle. Americano, appunto. Quando chiesi ai miei simpatici vicini di vendermi un minuscolo pezzo di terra per coltivarci un ciliegio e tre piante di pomodori mi dissero con affetto: «La terra è bassa». L’hanno fatto per me.

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(foto di Nicola Fano)

Ma ora, finalmente, si tornerà a leggere i quotidiani. A Calvi dell’Umbria non c’è l’adsl Tim, nemmeno quella di grandi operatori privati: internet lo porta qui un piccolo imprenditore della zona che ha messo su due tralicci verso Magliano che riverberano un’adsl privata. Funziona benissimo e costa il giusto. Ma il ritorno alla carta stampata non è – io credo – una faccenda per la gente di piazza. L’apertura della rivendita presso un bar è stata propiziata dall’assessore alla cultura del Comune, Francesco Verdinelli: un romano (ops, un americano) che da quattro anni si batte come un leone per arricchire e diversificare l’offerta in estate come in inverno. Ha fatto esibire in piazza artisti di primissimo piano: quasi tutti hanno apprezzato, ma i fondamentalisti dell’Heimat calvese non hanno perso l’occasione per rumoreggiare e dar fastidio, seduti sulle scalinate della chiesa che chiude piazza come un fondale teatrale: «Basta co l’americani!» (a Calvi si parla uno sporco ternano).

In verità, Calvi dell’Umbria è uno splendido specchio dell’Italia: nel suo piccolo crogiuolo si possono vedere riverberati pregi e difetti dell’intero Paese. Un patrimonio culturale invidiabile (la struttura medioevale perfetta, un magnifico convento settecentesco disegnato da Ferdinando Fuga, un piccolo, prezioso museo donato da un collezionista mecenate, un presepe monumentale del Cinquecento), un bagaglio di tradizioni notevole (Calvi gravita intorno ai percorsi francescani ma celebra un curioso santo bambino, San Pancrazio, al quale dedica una sontuosa festa tra il religioso e il pagano) ma un sostanziale isolamento sociale perseguito con tenacia degna di miglior causa. Cattivi tempi corrono ovunque, in effetti, ma forse ora avete capito perché la riapertura dell’edicola a Calvi dell’Umbria è una buona notizia. Speriamo bene.


*NICOLA FANO (*1959. Vive tra Roma e Torino dove insegna all’Accademia Albertina di Belle Arti l’astrusa materia di Letteratura e filosofia del teatro. Da quarantacinque anni va a teatro quasi tutte le sere e, giacché è recidivo, alla storia del teatro ha dedicato i numerosi libri che ha scritto. Detesta il calcio, ma gioca a pallacanestro: quando smetterà di farlo, con ogni probabilità, morirà)  


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