Le voci dalle università ucraine: "Questa guerra non è locale, Putin continuerà"

 di ANNA DI LELLIO*

Sullo schermo di zoom in formato galleria l’immagine di Natalia Kudriavtseva, giovane docente della Kherson Technical University, è la più impressionante. Il fondo è scuro e vuoto, il volto di Natalia pallido e impassibile. Kherson è occupata dalle truppe russe dal 3 marzo, e lei è in trappola. La ascolto mentre interviene nella tavola rotonda virtuale, “Voci dall’Ucraina sotto assedio,” convocata dalla Association for the Study of Nationalities, un’organizzazione internazionale che ogni anno a New York in primavera riunisce un centinaio di storici, politologi, linguisti e sociologi, per discutere la ricerca più interessante ed attuale su questioni come nazionalismo, identità, minoranze, ecc. 

Olga Onuch, docente all’Università di Manchester, presenta i partecipanti della tavola rotonda come star delle scienze sociali ucraine, giovani e bravi accademici, che sono sia testimoni oculari della guerra di aggressione della Russia sia sofisticati analisti. 

“Non c’è nessuna possibilità di evacuazione a Kherson – dice Natalia - nessuno è partito. I russi controllano l’intero territorio, hanno 17 battaglioni. Non permettono che arrivino rifornimenti di cibo, non c’è più pane. Non hanno bombardato tanto la città. E diverso nelle periferie, ma non sappiamo quanti civili siano stati uccisi. Non sappiamo come seppellire i cadaveri, ce ne sono diversi per strada. I russi non prendono neanche i corpi dei loro soldati. Ma se pensate che questa sia una guerra locale, vi sbagliate. Ci sono 15 reattori nucleari in Ucraina e la minaccia è per il mondo intero.”


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(Natalia Kudriavtseva)


Yuliya Bidenko insegnava alla Karazin University di Kharkhiv, ma è scappata a Kiev prima che i russi bombardassero, e distruggessero, il suo dipartimento di scienze politiche. Per lei non ci sono dubbi: “La Russia sta punendo la città di Kharkhiv, che è molto danneggiata dai bombardamenti, perché è una città integrata, è il modello della nuova identità civile dell’Ucraina. La Russia ha dovuto punire la minoranza russa di Kharkhiv che si sente ucraina.” 

Timofiy Brik, della Business School di Kiev, non è andato da nessuna parte, anzi, è rimasto in bagno. Infatti scherza perchè si collega da sotto la doccia, che gli funziona da bunker improvvisato. Contento di vedere i colleghi anche solo via zoom, non mostra alcun panico. “Io e la mia ragazza non siamo andati via, abbiamo le nostre famiglie, e poi volevamo fare i volontari nella resistenza. In fondo è razionale restare a Kiev, la metà della città è andata via, quindi abbiamo cibo e medicine in abbondanza. I primi giorni c’erano delle sparatorie per strada, c’erano sabotatori russi, ma c’è stata una forte reazione della gente. Abbiamo chiamato la polizia e ce ne siamo liberati.”


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(Yuliya Bidenko)


Yuliya, che studia il ruolo della società civile in Ucraina, interviene. “Noi lo sapevamo da sempre che esisteva una forte società civile, non esiste differenza tra le masse e la società civile in Ucraina. La riforma della decentralizzazione ha funzionato. Viviamo in un paese dove la gente ha fiducia nelle amministrazioni locali e nelle istituzioni. Tutti si sentono responsabili. Altro che Ucraina 'failed state'. Quella era propaganda russa alla quale l’occidente ha creduto. La prova che non era vero è il grande livello di coesione e la capacità della resistenza, sia dell’esercito che della gente.  Quando tutto sarà finito vedrete un’altra Ucraina. I sondaggi ci dicono che il 92% della popolazione è unita, e questo nella zona orientale, dove si dice che la gente sogna la Russia. Siamo una società europea a tutti gli effetti. Ma ora dobbiamo prima salvarci e preparare una strategia per prevenire futuri attacchi all’Ucraina.” 

Mariia Shuvalova, dell’Università di Mohyla a Kiev, è così giovane che ancora studia per il dottorato. La sua ricerca sulla letteratura di guerra è affascinante. È anche molto importante, come spiega, perché la narrativa della guerra può influenzare la guerra. “C’è una grande produzione di libri sulla guerra in Russia fin dal 2009. Parlano tutti di una guerra con l’Ucraina e di un rapido collasso del paese. Sono romanzi presentati a festival letterari, come quello di Kharkhiv, aperto solo a libri in lingua russa. Sono tutti libri che si trovano facilmente, che costano solo l’equivalente di un dollaro, e che presentano grosso modo due scenari. Uno, l’Ucraina è in uno stato di guerra civile, l’America interviene e crea più caos, e la Russia arriva a salvare tutti. Due, l’America ha cominciato la Terza Guerra Mondiale in Ucraina e la Russia interviene a salvare tutti. In genere, tutti questi libri presentano la guerra come inevitabile, e gli ucraini come passivi, non indipendenti, e sconfitti.”


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(Mariia Shuvalova)


Natalia lancia un messaggio accorato all’occidente: “Non fate l’errore di credere alla propaganda russa. Non parlate di 'Crisi in Ucraina'. Non c’è nessuna crisi qui, ma un’invasione. Non parlate di fratelli russi e ucraini, qui la gente odia Putin. Abbiamo una storia comune, ma non siamo le stesse persone. I russi non pensano di stare invadendo perché credono a questa propaganda. Credono che non hanno annesso la Crimea, l’hanno riunita alla Russia.”

Natalia, la sociolinguista, rincara la dose. “Nel sud est, regione che si suppone sia vicina alla Russia non solo geograficamente, c’è un forte movimento di base che si vuole liberare dal comunismo e dall’eredità dell’Unione Sovietica. Stanno cambiando tutti i nomi delle strade. Anche se parlano russo si sentono ucraini, guardano al futuro, all’Europa. Hanno orgoglio e fiducia nella sovranità ucraina, in un paese multilingue e multiculturale. Non sono pro russi perché non hanno identità etnica.” 

Tra questi giovanissimi accademici c’è Alexander Rodniansky, un consigliere del Presidente e membro della direzione della Oschchadbank, un economista in sabbatico da Cambridge. È il volto nuovo della leadership del paese. Prima della guerra si occupava della privatizzazione delle banche. Ora dice: “Niente più grande strategia finanziaria, oggi mi preoccupo che le banche restino in piedi, che i nostri impiegati siano al sicuro, che i russi non rubino i nostri soldi. Si dice che in tempo di guerra la moneta deve essere bruciata. Siamo lì. Se pensate che Putin è interessato al dialogo e alla pace siete naïve. Se l’occidente non si impegna ora, si dovrà impegnare dopo, perché il regime di Putin non scomparirà. Ha preparato questa guerra da tempo. Perché non l’abbiamo capito quando a differenza di tutti gli altri paesi del mondo non ha usato le riserve nazionali durante la crisi del covid? Le conservava per l’oggi, per proteggersi dalle sanzioni. Per fermarlo c’è una sola strategia ora: smettere di comprargli il gas e il petrolio, la cui vendita gli permette di finanziare la guerra.” 

 

 

*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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