Lagonegro-Belvedere, un viaggio della memoria

di GIGI SPINA*

Un viaggio della memoria è preferibile farlo da soli.

Non per escludere qualcuno che è vicino, ma per includere chi è lontano.

Luoghi, innanzitutto, perché le persone, anche se non convocate, non tarderanno a farsi avanti, variabile indipendente, fantasmi evanescenti di un tempo che fu.

Il viaggio della memoria non è un ritorno, un nostos; è un’andata con il treno che parte per primo, come per il giovane Noodles. Un’andata verso il passato, che non si presenterà uguale a com’era nel passato.

Di viaggi nella memoria ne avrei molti in mente, da fare. Almeno uno, però, l’ho fatto, nel 2016, arrivando in treno da Bologna, dove tutto era ricominciato, e partendo in auto noleggiata da Salerno, dove tutto era finito per ricominciare; con me avevo una manciata di CD, scelti come colonna sonora adatta all’evento. Mi aspettava la Calabria, che foglieviaggi, grazie ai suoi redattori, fa scoprire o riscoprire al Resto del Mondo.

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(Rivello       foto di Gigi Spina)

La prima tappa fu Rivello,  un paesino della Basilicata appollaiato su una collina, a circa 500 metri sul livello del mare. Si esce dall’autostrada a Lagonegro, dove stazionano sempre nuvoloni fantozziani, ci sia il sole o già piova di suo. C’ero stato in un anno difficile da precisare, ma la differenza fra le due date possibili, ’66 e ’69, non è da poco: significa prima o dopo il ’68. Ero stato invitato da un geniale amico, artista, attore, poeta e poi antiquario salernitano, Agostino Rizzo, come pianista accompagnatore in uno spettacolo musicale, Café chantant. Non è che fossi proprio un bravo pianista, suonavo ormai a orecchio anche se avevo preso lezioni da mia madre, diplomata al Conservatorio, ma avevo il senso del ritmo e una discreta presenza scenica.


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Agostino raccoglieva amiche e amici, da quei circoli universitari salernitani che non ressero all’urto del ’68, con la passione del teatro. Io ero iscritto al Ridotto, il circolo più popolare, poi c’era la Scacchiera, della Salerno ‘bene’. Per la trasferta di Rivello lo spettacolo, che aveva già trionfato a Salerno, si tenne all’aperto, in una piazza che non sono sicuro di essere riuscito a ritrovare. Ricordo solo che c’era, al centro, un grande albero molto frondoso, albero che Agostino, con cadenza defilippiana, definì subito: “Cerzo, abb’rocrante!”. M’inventai, nello spettacolo, la figura del pianista pazzo, capelli scarmigliati, uno strano frac, saltellante da un’estremità all’altra della tastiera come in una gag di Charlot. Certo, se fu dopo il ’68, vuol dire che avevo ancora un briciolo di umanità ed empatia che mi consentiva di frequentare anche chi non la pensava come me, cioè chi non aveva le idee per definizione giuste e impermeabili a possibili critiche.

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(Rivello        foto di Gigi Spina)

A Rivello, nel 2016, mi aggirai per le stradine del paese, che mi pareva di vedere per la prima volta, cercando di recuperare luoghi e immagini di quella tournée per la quale non sono riuscito ad avere mai riscontri da nessuno dei partecipanti. Che me la sia inventata? Del resto, non mi ero preoccupato di conservarne qualche reperto fotografico.

Dopo un paio d’ore di vagabondaggio ero pronto a raggiungere la seconda tappa, Belvedere Marittimo, costa calabra tirrenica. C’era da percorrere la Valle del Noce, mitica strada statale - o provinciale? - 585 (route 585 farebbe fino, lo so), a curvoni agevoli, che fa scendere dal traffico autostradale e dagli annosi cantieri alle meraviglie del Tirreno, purtroppo rovinate da qualche edificazione turistica in più. A Belvedere Marittimo è nato mio padre, nel 1911. Mio nonno, Luigi Spina, a differenza di Autolico, il nonno di Odisseo, mi aveva trasmesso il suo stesso nome, anche se a sua insaputa. Era morto molto giovane, molto più giovane dei miei anni di ora: nel 1928, a 58 anni. L’unico dei nonni che non ho mai conosciuto. Mio padre, diciassettenne, visse per qualche anno da uno zio materno, direttore del Convitto di Maratea e compositore di un certo livello, lo zio Antonio.

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(L'isola di Dino      foto di Gigi Spina)

Maratea non rientrò, quell’anno, nel viaggio della memoria; mi rimane il ricordo di un’antica gita con mio padre, alla ricerca dei suoi ricordi e della lapide che celebrava lo zio Antonio. Lasciata Rivello, dunque, si scende verso la costa, incontrando per prima la molto chiacchierata isola di Dino, di fronte a Praia a mare, poi il borgo di pescatori di San Nicola Arcella, con case tipiche scavate nella roccia; ci abitava d’estate Giovanna Marini, che una volta incontrai, testa riconoscibilissima, in mezzo al mare, al largo di San Nicola. Poi, purtroppo, il pugno nell’occhio di Scalea (mi perdoneranno gli abitanti), cresciuta a dismisura per le ambizioni turistiche di molti campani e di disinvolti costruttori. Un altro isolotto, quello di Cirella, avverte di essere vicino a Diamante, l’avamposto di Belvedere nei miei viaggi di ragazzino in vacanza dai nonni e poi di adulto con famiglia. Da Diamante si può scegliere di fare la litoranea, passando per Santa Litterata, il primo mare di pesci e con un fondo caraibico che vidi da bambino, con la prima maschera. Da Cirella sembra partire la serie dei paesi raddoppiati, una parte sul mare e una sulla collina, fra cui il famoso paese distrutto dalle formiche, come dice la leggenda dei ruderi ancora visibili.

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(Il palazzo di famiglia       foto di Gigi Spina)

Arrivando dalla litoranea a Belvedere Marittimo, da non confondere con Belvedere Paese, Capo Tirone si presenta come l’antipasto dal sapore ancora tradizionale di un paese cresciuto su se stesso, che ha mantenuto però nel centro la struttura architettonica antica. Il palazzo, divenuto poi di famiglia, ma punteggiato da troppe morti precoci di parenti, ospitava le Poste, di cui mia zia era titolare. Dal retro dell’ufficio si entrava direttamente in casa. Per un ragazzino il gioco dei timbri era irresistibile, come anche sbirciare i treni che passavano di fronte al balcone della stanza da letto. Ne esiste ancora come testimonianza un video di circa tre minuti con passaggio di treno merci, monotono come può essere un treno merci, per il quale fui preso in giro per anni.

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(Belvedere marittimo, capo Tirone       foto di Gigi Spina)

A Belvedere Marittimo una mia zia fu maestra elementare, un’altra titolare delle Poste, un mio cugino fu imprenditore e sindaco. Memorie e Studi sulla città di Belvedere Marittimo, denominata Blanda dagli antichi, a cura del Prof. Comm. Vincenzo Nocito, si intitola un volume pubblicato nel 1951 dalla Premiata Scuola Tipografica Istituto Derelitti di Genova, segno delle migrazioni che conobbe la mia famiglia, in Liguria e in Argentina. Nella copia omaggio dedicata dall’autore a mio nonno materno, siciliano, che però aveva sposato una cugina di primo grado di mio padre, Spina anche lei, dunque, oltretutto Assuntina, ho gelosamente conservato l’appendice che mio nonno, Mario Arturo, spirito bizzarro, volle apporre al capitolo finale sugli ‘Uomini illustri’, componendo un elenco dettagliato di ‘Donne illustri di Belvedere Marittimo’, con soprannomi e specialità. La censura non lo colpì.

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(Belvedere paese               foto di Gigi Spina)

Mio padre ha fatto l’ultimo bagno nella sua città con i nipoti, figli di una sfortunata figlia, mia sorella Maria Clara, a 90 anni. Io ho preferito visitare Belvedere in incognito, da solo, senza preavvisare nessuno; vidi forse per la prima volta gli angoli di Belvedere, Marittimo e Paese, compreso il famoso castello aragonese, che ora deve subire l’assedio delle auto parcheggiate. Questa volta la macchina fotografica riuscì a catturare parecchio. Luoghi e non volti o azioni, come nei tanti super8, ora riversati in un dvd, che conservo. Le foto parlano da sole. Se ci fosse il sonoro, forse si sentirebbe l’esclamazione con cui venivo salutato quando, ormai da adulto, trascorrevo brevi periodi di vacanza a Belvedere Marittimo: “Maramaja, è arrivato lu figlio d’ don Ciccio Spaina”. Spaina, all’americana, quindi la route 585 ci stava bene!

Il mio viaggio del 2016 non si fermò a Belvedere Marittimo. Divenne, poi, viaggio amicale e professionale verso Cosenza e Arcavacata, con belle persone. Non più viaggio della memoria. E del centro storico di Cosenza, prima o poi, su foglieviaggi bisognerà raccontare.


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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