LA RECENSIONE - Viaggi da raccontare…

DI GIGI SPINA*

Il trapianto del trauma, vita privata di Bernard Mergendeiler (Milano 1968) raccoglie le strisce di Jules Feiffer sulla american way of life sperimentata da Bernard. Ne facemmo uno spettacolo pionieristico a Salerno, con il Gruppo Zero, nel 1969, in piena era di contestazione. In una di queste strisce un amico racconta a Bernard di un incontro con una ragazza bellissima: primi approcci, stessi gusti, ragazza intelligente e sensibile, un’esperienza intensa e vera, una notte di amore, l’inizio di una vera storia. L’amico, però, si interrompe: E vuoi sapere a cosa pensavo durante tutto quel tempo? - Cosa? - Non vedo l’ora di raccontarlo ai ragazzi.

Ecco, il viaggio è un po’ questo o rischia di diventarlo: non vedo l’ora di raccontarlo a foglieviaggi. E meno male (meno male? Ma come ti permetti!) che stiamo viaggiando poco, così leggiamo di più libri di viaggi, come questi due dell’editore Damiani, che vi consiglio.

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titolo Piccolo alfabeto per viaggiatori selvatici autrice  Eleonora Sacco 
pagg. 272   prezzo   16 euro   ed.  Damiani


Eleonora Sacco racconta in ordine alfabetico, partendo da parole ben note e parole inedite, anche straniere, in tutto 39, fornendo un prezioso glossario finale e 17 foto originali che accompagnano le pagine. C’è un indice alfabetico e un indice ‘selvatico’ che raccoglie i lemmi in categorie diverse, comprese le etimologie e il ‘viaggia bene’. In un continuo mutare di paesaggio, umano e naturale, ma con la costante presenza di fidate compagne (e compagni) di viaggio, alla fine del libro ci si sente, come in ogni avventura, stanchi ma felici, non sazi né esausti, perché chi sa raccontare non ti esaurisce, neanche con le famigerate diapositive, ma ti fa venire la voglia di un attimo di riposo e di riprendere subito a viaggiare. Ho seguito il consiglio dell’Autrice, che nella indispensabile nota iniziale, scrive: «Se vi ispira una parola, potete iniziare a leggere quella e poi farvi guidare dalla vostra curiosità, esplorando in tutte le direzioni, perché non c’è un ordine preciso con cui leggere il libro».

Non so perché, anzi lo so, ho scelto subito Quarantena (pp. 222-230); forse perché comincia con una casa sull’albero che mi ha ricordato Il buio oltre la siepe, forse anche per quel riflesso di ‘selvatico’ che ho sentito spiegare dalla stessa autrice in una presentazione on line

e che preciserei come ‘non addomesticato’, cioè non contento della propria domus e delle proprie tradizioni, ma pronto a visitare, cercare di capire, e rispettare, case altrui. La selva è pluripopolata, anche se ‘oscura’, e in qualche modo è un continuo allenamento alla vita. La quarantena di Eleonora Sacco, un periodo lungo in una casa di campagna nelle colline novaresi, non è, però, quella del covid, ma le somiglia, perché è comunque un momento in cui non si può pianificare il futuro, tantomeno nuovi viaggi. Si dispone, però, questo suggerisce l’Autrice, di due elementi fondanti di un viaggio, che non comportano spostamento o incontro con nuove culture:  essere padroni del proprio tempo e novità del contesto. Andare al nocciolo della cose, cercare di capirle per quello che sono. Un modo di viaggiare concreto e metaforico insieme. Conviene provare, proprio ora. 

La domus di Teresa Monestiroli è, invece, ben definita: Milano. Ma non per questo meno selvatico è lo spirito per visitarla, trasformando una prassi di fretta e frenesia in una nuova capacità di rallentare, di accentare su lente e di sussurrare festina, in modo da annullare il famoso ossimoro o renderlo finalmente accettabile nell’unica interpretazione sensata possibile: affrettati a rallentare, subito!

Anche in questo libro l’indice tematico, che consente di saltabeccare fra le pagine, orienta bene: a spasso, buon cibo, soste d’essai, fuori porta, immergersi nel bello, nel verde, coltivare pensieri. E poi consigli specifici, di alberi, di chiese, di dipinti, di edifici, di giardini, di libri, di luoghi letterari, di sculture. Infine luoghi e fotografie, anche in questo libro originali e invitanti.

Come per il precedente libro, procedo a caso. Mi colpisce (pp. 126-127) il Cinemino di via Seneca 6 (sperando riapra al più presto, ora lavora su piattaforma), perché deve essere proprio quello «forse fatto apposta, due film in una volta cento lire. Ci siamo andati insieme ad ogni festa. Seduti in fondo là senza guardare». Sì, proprio quello vicino a Porta Romana; certo, il prezzo sarà aumentato e non più in lire e forse non sarà più l’unico posto dove due fidanzati possono incontrarsi, ma sicuramente si respirerà ancora l’aria di un tempo che è passato e che è bello almeno ricordare.

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titolo Milano adagio  autrice Teresa Monestiroli pagg. 208   prezzo 15 euro ed. Damiani


E poi, a pagina 163, il pensiero Non sappiamo più aspettare, che ho scelto forse perché non riesco ad accettare il discorso in prima persona plurale, perché tende a coinvolgere in un ‘noi’ che più spesso è un ‘voi’ accusatorio. Per questo voglio invece ricavare il succo del pensiero, traducendo mentalmente, come se fosse francese, con un impersonale ‘si’: non si sa più aspettare. Oppure, meglio: c’è chi non sa più aspettare, io invece ci provo e vi dico come, che sarebbe forse più invitante e coinvolgente. Un po’ come ne Il buio oltre la siepe (avrete capito che è una delle mie fissazioni), quando Atticus Finch suggerisce (solo nel romanzo, però: il passaggio non è nel film) alla figlia Scout, che si difende dicendo che a scuola tutti dicono niggers, di dire negros: così da domani saranno tutti meno uno!

Ecco perché mi piace molto il finale del ‘pensiero’ in cui finalmente l’Autrice usa ‘voi’, che ristabilisce il valore del consiglio e dell’esempio: «Fate caso a tutte le volte che prendete in mano il telefono per colmare un’attesa. Contatele e chiedetevi se non avreste potuto usare meglio il vostro tempo. Anche solo per pensare».

Buona lentezza, dunque: se vi interessa, io ho imparato a pensare con pazienza e a viaggiare con la mente mentre facevo le file alla mensa durante il servizio militare. Se poi non vi interessa, l’ho imparato lo stesso.


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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