La recensione - La meglio gioventù di via Cervantes
Fare
il giornalista è bello. Fare politica lo è altrettanto. Se nella vita ti capita
o, meglio, riesci a fare tutt’e due mettendo l’impegno delle parole al servizio
della militanza e viceversa, non c’è che dire, ti è andata bene. Ed hai un sacco
di fatti, persone, delusioni, avventure, gioie da raccontare.
Lo
ha fatto questo percorso, la cronaca di un bel pezzo di vita, un giornalista di
rango con un passato intenso da politico, anche se non si smette mai di essere
né giornalista né politico. Matteo Cosenza, classe 1949, che da Castellammare
di Stabia dov’è nato ha compiuto il suo percorso prima nella sua città, poi a
Napoli e poi in Calabria. E lo racconta nel libro “Casomai avessi dimenticato”
edito da Narratori Rogiosi, che è un condensato di ricordi personali e vicende
politiche dagli anni ’60 a venire in avanti.
Nelle quasi duecento pagine scorrono le
vicende del ragazzo Matteo all’ombra del grande (in tutti i sensi) padre,
il compagno Saul, l’operaio con la mente politica, cui il discolo di casa
riservò tante preoccupazioni ma altrettante soddisfazioni. L’impegno dell’uomo
Matteo militante e gran professionista. Ma anche la storia, col Vesuvio come
quinta, di un partito, il Pci, dei suoi dirigenti, molti figure di spicco nel
panorama nazionale. Da Giorgio Napolitano a Gerardo Chiaromonte, da Maurizio
Valenzi ad Andrea Geremicca e Antonio Bassolino. Si incontrano in quelle pagine
anche i socialisti Francesco De Martino e Giacomo Mancini. E anche Antonio
Gava, un nemico di quelli in grado però di riconoscere le capacità
dell’avversario politico.
Il
viaggio di Matteo Cosenza è partito da un fatto pratico. La necessità di fare
spazio. Di liberarsi (per affrontare più leggero un trasloco) di gran parte
delle carte, appunti, lettere, biglietti, accumulati fin qui, praticamente una
vita. E’ un fatto strano che un giornalista conservi in un modo così accurato
le tracce della sua professione. Ma a volte capita. In questo caso si può dire
fortunatamente, dato che sono sopravvissute con i libri di casa all’assalto
delle termiti.
Cosenza ha fatto diversamente dai più, e ora
chi vuole si ritrova a leggere e a ammirare, ispirati da “tutte le carte della
mia vita”, tredici affreschi di vita, evocati con l’acuta penna del cronista ma
anche con il cuore di chi ha creduto nelle sue battaglie. In sintonia, ma a
volte anche no, con quelle del Pci, un partito destinato a restare per
sempre dentro chi ne è stato militante. E’ lì, magari in un angolino,
confuso tra mille cambiamenti. Ma c’è.
Quella che Matteo racconta è la storia di un ragazzo avventuroso, anche ribelle, capace di andare a scoprire tra grandi difficoltà la Torino del nord operaio, per poi tornare al suo sud e dare sfogo all’ autentica passione per il giornalismo. Per la carta fondamentalmente, vale lo stesso per i libri, anche se le tecnologie alla fine hanno piegato lui e quanti di noi sono stati molto resistenti a cedere ad esse. Impaginare, sfogliare, la tipografia…
(Matteo Cosenza foto da facebook)
Da
“Gioventù democratica”, il primo giornalino in ciclostile fino al “Quotidiano
della Calabria”. Passando per “La voce della Campania”, “Paese sera” e “Il
Mattino”. Una lunga carriera, anche con incarichi di direttore, per avere ora
l’impegno di editorialista del “Corriere del Mezzogiorno”.
Sono
affascinanti i racconti di Matteo. Ci sono i tempi della Napoli conquistata
dalla sinistra, un evento impensabile solo pochi anni prima. Il gusto
dell’individuare l’essenza dei personaggi attraverso quanto è meno pubblico, le
loro case, guardando con loro i panorami che sono stati compagni di vita e di
pensieri mai resi pubblici. Ci sono le dispute giornalistiche. I confronti
politici con i compagni di un’avventura indimenticabile. L’essenza dell’essere
giornalista e comunista, di cui c’è testimonianza in un breve carteggio con
Enrico Berlinguer.
Ci
sono curiosità e testimonianze. Il ricordo di chi non ce l’ha fatta, come Mimmo
Maresca, e si è lasciato andare lasciando come eredità ai sopravvissuti la
sensazione di non aver compreso una richiesta di aiuto. L’indignazione per la
morte violenta, l’omicidio vigliacco di Giancarlo Siani, giovane precario ma
già giornalista di grande coraggio e spessore.
Dal
mio punto di vista sono le persone, i colleghi che l’autore cita nelle pagine
del libro a suscitare il più affettuoso interesse e tanti ricordi. Via
Cervantes 55 è stato il recapito di un sogno per più di una generazione di
giornalisti napoletani. Noi stavamo all’Unità, altri alla Voce, poco distante
Paese Sera. L’elenco è lungo, l’autore ne ricorda tanti. Antonio Polito e Gigi
Vicinanza, i ragazzi di Castellammare scesi in campo poco prima della
generazione dei Ragone. Eleonora Puntillo, Sergio Gallo, Ennio Simeone, i
maestri. Franco Barbagallo l’avamposto dei professori, Fulvio Milone, Enzo
d’Errico, l’indimenticabile Peppe D’Avanzo. Com’è stato bello ritrovarli
assieme a tutti gli altri. Assieme ai politici con cui abbiamo condiviso
l'appartenenza e la passione. Grazie Matteo.
*MARCELLA CIARNELLI (Romana di ritorno, napoletana per sempre. Giornalista per passione
sempre all’Unità. Una vita a seguire le istituzioni
più alte fino al Quirinale senza perdere la curiosità per ogni altro
avvenimento. Tante passioni:
il cinema, il teatro, i libri, il mare, i viaggi, la cucina, gli umani nelle loro
manifestazioni più diverse…e la squadra del Napoli)
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