La Provenza, arte in rotatoria

di MASSIMLIANO DI GIORGIO*

Conoscete sicuramente la Provenza, anche se non ci siete mai stati, per i suoi campi di lavanda, le colline dal profilo dolce, le colorate tovaglie e il vasellame, il vino rosé, la cucina mediterranea, con abbondante uso di olio di oliva - che si impiega spesso anche per saponi profumatissimi - e di aglio. Meno noti, invece, anche se si tratta di un vero prodotto di esportazione francese, come il camembert e i supermercati, i rond-point, cioè le rotonde o rotatorie stradali: quegli incroci circolari, senza semafori, dove le auto girano intorno ad ampie piazzole prima di immettersi nella direzione desiderata.

I rond-point sono certamente una conquista civile, perché riducono gli incidenti stradali e le vittime - lo attesta un rapporto della Commissione Europea di qualche anno fa - e rendono inutili i semafori, liberando gli automobilisti dai tempi di attesa. Me lo ripeto, come un mantra, tutte le volte che ci capito dentro: perché la Provenza per me, e intorno ad Aix En Provence in particolare, è il paradiso delle rotatorie: ce ne sono ovunque, anche dove apparentemente non servirebbero.


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(Rotatoria a Sisteron)


Se state viaggiando in auto con l’ausilio del navigatore GPS, la voce sintetica vi accompagna praticamente tutto il tempo, da una rotonda all’altra. Cosa che fa arrabbiare i miei figli adolescenti perché, oltre a lottare tra loro per imporre la propria playlist musicale nel corso del viaggio, devono anche fare i conti con la voce del navigatore che copre il ritornello della canzone a intervalli regolari. 

Ho un sospetto: che le rotonde servano, oltre a ridurre la velocità delle auto (insieme a dossi e zone 30 km, spuntate ovunque), anche ad alimentare l’industria francese delle infrastrutture. Perché costruire un rond-point consuma parecchio terreno e costa caro. Leggo in giro che in Francia si contano circa 65.000 rond-point, cioè circa la metà di quelli esistenti in tutto il mondo, e che il costo annuo si aggira sui 4-5 miliardi di euro, sommando le nuove costruzioni e la manutenzione per quelli esistenti.


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(Rotatoria a Aix-en-Provence)


E c’è anche un’altra industria che si è sviluppata a latere: quella dell’arte dei rond-point (art giratoire), con artisti specializzati che realizzano sculture e installazioni un po’ dappertutto, finanziati da Comuni desiderosi di abbellire le loro strade, o di usare le rotatorie come “vetrine” per i loro prodotti locali.

Del resto, il rond-point è un’invenzione franco-francese: si deve a Eugène Hénard, architetto e urbanista parigino, figlio d’arte, che li lanciò nella Capitale nel 1906, quando di auto sicuramente ne circolavano ben poche. Successivamente, il modello delle rotatorie fu abbandonato, perché ritenuto troppo costoso. Ma alcuni decenni dopo, nel 1976, i sostenitori del rond-point si presero la rivincita. Dalla Bretagna, le rotatorie cominciarono a diffondersi nel resto del Paese (tranne che a Parigi, che ne conta meno di 10). Una leggenda metropolitana attribuisce il successo alla creazione di fondi neri per i partiti grazie alle commissioni segretamente versate dalle aziende stradali incaricate dei lavori, anche se poi la legge sugli appalti ha eliminato i rischi di opacità nelle assegnazioni.


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(Rotatoria a Aubagne)


Mentre continuano a guadagnare terreno (anche negli Usa, dove si chiamano roundabout: negli ultimi 20 anni il loro numero è cresciuto fortemente, proprio grazie allo studio del modello francese), i rond-point sono divenuti anche il simbolo dei gilets jaunes, il movimento di protesta nato originariamente nel 2018, nelle zone rurali e nelle periferie, contro l’aumento delle tasse sul carburante (che doveva servire a finanziare la transizione ecologica, secondo il governo Macron, e che fu poi annullato). I manifestanti, infatti, hanno cominciato a farsi notare proprio bloccando il traffico sulle rotatorie, non-luoghi - termine non a caso inventato da un altro francese, il sociologo Marc Augé - che sembrano ormai diventati centrali nella Francia profonda. Quella dove senza auto non ci si può muovere, né lavorare. 



Come dicevo, ci sono anche gli artisti dei rond-point, un movimento vero e proprio che ha visto luce negli anni Ottanta e che è letteralmente esploso un decennio fa. In rete ho trovato anche l’intervista a Dany, un artista che ha iniziato a produrre opere sulle rotatorie nel 2016 e che nel 2018 affermava di guadagnare circa 40.000 euro netti a installazione. Ma c’è anche il caso celebre di Jean-Luc Plé, ex designer di Renault, diventato scultore di rond-point a tempo pieno nel 2001, e oggi chiamato “Le Pape des giratoires”: le sue opere costano tra i 35.000 e i 100.000 euro.

L’art giratoire è l’erede diretta dell’art autoroutière, quella delle grandi opere realizzate su autostrade e strade a grande scorrimento, commissionate spesso a firme famose, una sorta di moderni totem. Ecco, oggi le rotonde insomma rischiano di diventare i principali strumenti di sostegno finanziario pubblico all’arte. Chissà cosa ne penserebbe Hénard.


*MASSIMILIANO DI GIORGIO (Roma, 1965. Ha lavorato negli anni Novanta all’Unità, poi all’agenzia Reuters. Dal 2019 è un freelance. Scrive praticamente di tutto, tranne che di sport)

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