La mia Leri azzurra. E le biciclette cinesi

di GIORGIO OLDRINI*

(foto dal sito www.leribiciclette.it)


Mia moglie per Natale mi ha regalato una bicicletta a pedalata assistita, forse in considerazione del fatto che mi ostino ad andare in giro pedalando e così sfidando fatica e traffico, nonostante la mia età. All’inizio è stata una sorpresa, a cominciare dal fatto che ho imparato a non partire mai con il motorino inserito, perché la bicicletta alla prima pedalata scatta a razzo rischiando di farti cadere a terra. Poi ho capito che in salita non bisogna, come se si trattasse di una bici normale, pedalare con più forza, ma con meno impegno perché così il motore ti aiuta di più. Ma il regalo di Natale mi ha spinto a ricordare le mie biciclette, una sorta di pietre miliari della mia vita.

La prima che mi ricordo era una Leri azzurra ed io non andavo ancora a scuola. Me la regalò mio padre, forse per un Natale, e io me ne innamorai subito. Mi spiegarono che era in realtà la sottomarca della Bianchi, la bici dei campioni. Da subito sospettai che fosse di seconda mano, per via di uno sbrego sotto la canna malamente camuffato da una vernice pure azzurra, ma diversa dal resto del colore. Ma io facevo finta di non vedere quel segno che delatava un tradimento precedente e non la abbandonavo mai.

CatturacJPG


Abitavamo a Sesto San Giovanni sul viale Marelli, la prosecuzione del viale Monza di Milano in territorio sestese. La strada aveva due marciapiedi amplissimi e nessuna traccia di automobili parcheggiate. Da una parte c’erano le case, tra cui la nostra, dall’altra le fabbriche, prima la Marelli, poi l’ Osva. Noi bambini passavamo le giornate a giocare a pallone o a percorrere su e giù in bicicletta quegli spazi immensi. Io diventai presto il più bravo con quella Leri azzurra. Un giorno mia mamma mi portò al Circo Orfei e a un certo punto da dietro il sipario uscì un clown che pedalava furiosamente su una bicicletta e quando aveva raggiunto una adeguata velocità saliva con i piedi sulla sella e sul manubrio. Pensai che anche io avrei potuto fare altrettanto e tempo dopo mia mamma mi confessò che il giorno successivo si era affacciata alla finestra per controllarmi e mi aveva visto con un piede sulla sella e uno sul manubrio della mia Leri azzurra. Non aveva avuto nemmeno la forza di gridare, perché temeva che se lo avesse fatto io sarei caduto disastrosamente. Presagio non immotivato, perché qualche tempo dopo, mentre ripetevo il mio numero da circo, finii rovinosamente contro uno dei grandi platani che punteggiavano il viale Marelli.

Catturaanni trentaJPG

Quella bicicletta fu anche lo strumento della mia prima trasgressione. Un giorno senza dire nulla ai nostri genitori, il Paolo, il Massimo, l’Augusto ed io decidemmo di sfidare l’avventura. Partimmo di nascosto con le nostre biciclette dal viale Marelli, costeggiammo le mura della città delle fabbriche, la Marelli, la Breda, la Pirelli, salimmo sul ponte di Greco, un cavalcavia che affaccia sul cimitero, e tornammo a casa dopo, credo, un’ora. Oggi quel percorso mi sembra una sgambatura, ma allora a 5 o 6 anni noi quattro monelli tornammo a casa esausti per la fatica e per l’emozione della prima trasgressione.

Faccio un salto di qualche decennio e la seconda bicicletta di cui mi ricordo con piacere era cinese e l’ho avuta a Cuba quando ero il corrispondente dell’Unità. L’avevo comprata perché non riesco a stare senza un velocipede, ma non fu facile. A Cuba in quegli anni spesso mancavano i prodotti più vari. Poi arrivava una nave carica carica di… e bisognava correre cercando di essere tra i primi, pena rimanere ancora senza. Un amico, “un socio” ( Cuba terra non del socialismo ma del “sociolismo” come dicono loro), mi avvisò che era arrivata la nave giusta. La bicicletta pesava una tonnellata e io affermavo che con pochi ritocchi avrebbe potuto essere trasformata in un carro armato, se mai ci fosse stata l’invasione degli yankee. L’Avana è una città con varie colline e i cubani non amavano affatto risalirle pedalando: “Col caldo che fa e con quello che pesano le cinesi” mi diceva con una smorfia il mio meccanico dell’auto Felix. L’ho usata per anni, arrancando sulle salite dell’Avana, ma poi le biciclette cinesi sono state protagoniste di un caso politico.

A Cuba spesso le cariche ufficiali non corrispondono alla vera importanza di chi le ostenta. Avevo un amico presidente di una società statale, ma che era molto di più. Prima della Rivoluzione aveva studiato negli Usa e aveva mantenuto molte amicizie importanti lassù, per cui gli venivano assegnate missioni diplomatiche riservate quando si trattava di parlare con qualcuno a Washington.

xJPG

Dopo la fine dell’Urss e degli aiuti sovietici a Cuba la crisi fu pesantissima e vi si fece fronte con il “periodo especial”. Il mio amico un giorno mi disse: “Questa crisi tremenda può avere anche lati positivi, per esempio attivare l’iniziativa privata, almeno in alcuni settori. Per esempio, adesso, per far fronte alla drammatica insufficienza dei trasporti, importeremo molte bici cinesi. Ma non è che lo Stato deve mettersi ad aggiustare pneumatici bucati o raggi spezzati. Lo può fare un meccanico privato”.

Mi assentai per un anno e quando tornai andai a trovare il mio amico. La segretaria mi guardò con imbarazzo: “Non c’è, è stato nominato ambasciatore in un Paese africano”. Che è il modo con cui la Rivoluzione spediva lontano chi aveva qualche problema, ma era considerato ancora un uomo di fiducia. Mi chiedevo cosa avesse mai fatto il mio amico per finire in Africa. Mentre pensavo tornai all’hotel Riviera sul Malecòn , il lungomare. Proprio di fianco c’era l’abitacolo di un vecchio bus ormai senza ruote, ma trasformato in una officina di pronto intervento per le biciclette. I cubani sono maestri nel riutilizzare qualsiasi cosa.

Ebbi come un presentimento e andai diretto dal meccanico. “Compagno questa officina è privata?” “Privata? Macché è della municipalità”. Ecco spiegato tutto, il mio amico è finito a fare l’ambasciatore in Africa per colpa delle biciclette cinesi.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram

e.... clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter