La crociata dell’ortodossia russa contro la Gayropa

di ANNA DI LELLIO*

Conosciamo già la giustificazione di Putin alla guerra di aggressione contro l’Ucraina: non è aggressione, ma difesa dai nazisti ucraini che stanno commettendo il genocidio di russi nel Donbas, e difesa dalla minaccia di eventuali missili NATO in Ucraina. Il patriarca della Chiesa Russa Ortodossa Kirill, amico suo, ha aggiunto un’altra giustificazione: è una guerra di difesa dalle pressioni straniere (leggi qui europee), che vogliono obbligare i russi a fare le sfilate del gay pride come prezzo per entrare nel loro club. 

È un prezzo troppo alto, dice Kirill, che fa di questa guerra una battaglia metafisica oltre che fisica, nella quale i russi devono scegliere tra la loro superiorità spirituale e la discesa in un inferno dominato dai consumi eccessivi e da una certa idea di libertà. Per uno che qualche anno fa fu fotografato con un Rolex al polso, questa dichiarazione richiede una notevole faccia tosta.

La sua retorica carica di simboli di genere e sesso è identica a quella  di Putin e più in generale della leadership nazionalista russa. Si ricordi che quando all’Eurovisione del 2014 vinse la drag queen barbuta austriaca Conchita Wurst, i russi videro quella vittoria come uno schiaffo ai valori tradizionali “normali” rappresentati dalle loro cantanti, le giovanissime, verginali e prosperose sorelle Tolmacheva. Vladimir Zhirinovsky, leader nazionalista del partito LDPR e ospite alla televisione russa, collegò il risultato dell’Eurovisione alla vittoria russa nelle province separatiste ucraine: “Può il Donbas stare con questa Europa? No, avrà la bandiera russa.”


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(Il patriarca Kirill)

Leggo tutto questo in un articolo pubblicato recentemente da  Alex Anderson, analista e osservatore elettorale che parla il russo. Nel 2014 Alex scoprì che nel Donbas associare l’Ucraina con un’Europa decadente e dominata dagli omosessuali era divenuta l’arma di mobilitazione ideologica contro la “Gayropa” che poi si trasformò in guerra aperta.

Ma tornando alla Chiesa Ortodossa, commentatori non informati su come funziona questa Chiesa hanno scritto che Kirill all’inizio non aveva preso posizione esplicita sulla guerra. Non è così. L’aveva sostenuta immediatamente, ovviamente nel linguaggio ambivalente e oscuro della propaganda, il 27 febbraio: “Dio non voglia che la situazione politica attuale nella vicina a noi e fraterna Ucraina si sviluppi in modo che le forze maligne, le quali hanno sempre lottato contro l’unità della Rus' e della Chiesa russa, vincano. Dio non voglia che tra la Russia e l'Ucraina appaia una terribile linea di divisione, macchiata del sangue dei fratelli.”

Per Kirill, le forze che dividono  i fratelli russi e ucraini non sono le truppe russe impegnate ad assediare e bombardare civili ucraini, dato che non riescono a vincere  velocemente una guerra contro un esercito meno numeroso e peggio equipaggiato, ma chi, se non l’occidente? Lo stesso occidente che l’ortodossia, e non solo quella russa, con buona pace dei riavvicinamenti con la chiesa Cattolica, considera poco Cristiana perchè troppo liberale e poco spirituale, e soprattutto già da tempo caduta nelle grinfie dell’Anti-Cristo, che altro non è se non il Papa. Chi altro potrebbe arrogarsi il ruolo di rappresentante di Cristo in terra?

Il 24 febbraio perfino il Metropolita Hilarion, capo della Chiesa Ortodossa russa all’estero che risiede a New York City, ha scritto una lettera pastorale nella quale chiama la guerra, “gli eventi nella terra Ucraina,” che da nazione indipendente è diventata “terra,” e consiglia al suo gregge di “non guardare troppa TV, seguire i giornali e l’ internet,” per non “riempirsi il cuore delle passioni che i media stanno propagandando.”  Ovviamente Hilarion sta parlando dei media occidentali, non di quelli russi.


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(Una chiesa ortodossa in Ucraina)


La Chiesa Ortodossa bulgara, serba e di Gerusalemme non menzionano affatto l’aggressione russa, si augurano solo che ci sia presto pace tra “popoli fratelli.” Ma quello è il linguaggio di Putin. Chiamare gli ucraini e i russi “fratelli “ in questo contesto ha un significato specifico che riporta alla propaganda dell’unione non solo culturale, linguistica , e religiosa, ma anche politica e territoriale, tra l’Ucraina e la Russia.

Parlando di unità religiosa, se una volta c’era, si sta velocemente disfacendo sotto le bombe che colpiscono ospedali e colonne di profughi che cercano di scappare dall’assedio russo. La Chiesa Ortodossa ucraina, che conta sul 79% del paese, è sotto il patriarcato russo dal diciassettesimo secolo. Dopo la guerra separatista del 2014, parte di questa chiesa ha cercato di affrancarsi e crearsi un patriarcato indipendente. La divisione è ovviamente politica, nazionale, e chissà, anche opportunistica; ma senza entrare troppo nel merito, non ci sarebbe nulla di male in questa separazione, dato che le chiese Ortodosse, a differenza di quella Cattolica, sono autocefale, cioè nazionali.

E infatti nel 2019 il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ha concesso alla Chiesa Ortodossa dell’Ucraina lo stato di chiesa autocefala. Sulla guerra  Bartolomeo è stato il leader religoso più esplicito nella condanna della violazione dei diritti umani degli ucraini. Secondo la tradizione canonica, solo il Patriarca di Costantinopoli ha l’autorità di concedere lo stato di chiesa autocefala. Ma secondo la tradizione è anche vero che ogni volta che una nuova chiesa nazionale si forma ci sono molte contestazioni per motivi teologici e politici, dato il carattere nazionale e nazionalista delle chiese ortodosse. Non è un caso che la Chiesa più contraria all’indipendenza di quella Ucraina sia la Chiesa serba, unita alla Russia teologicamente e politicamente.


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(Una chiesa ortodossa a Mosca)


Nella fattispecie, la Chiesa serba sostiene da sempre l’appartenenza del Kosovo alla Serbia per gli stessi motivi per i quali l’Ucraina sarebbe parte della Russia: motivi di fanta-storia, di sangue, e di religione. Alle due chiese non importa nulla di come si sentano e si dichiarino le persone fisiche che vivono oggi, e non nel medioevo,  in questi territori. Il loro disaccordo con la posizione della chiesa è segno di peccato e decadenza spirituale, o ancora peggio nel caso del Kosovo, dove il 90%  degli abitanti è mussulmano.

Dal 2019, la maggioranza degli ortodossi ucraini è rimasta nel patriarcato russo, sotto la leadership del Metropolita Onuphriy, che al tempo del collasso dell’Unione Sovietica chiese lo stato autocefalo per la chiesa ucraina ma non lo ottenne. Il 24 febbraio Onuphriy si è appellato a Putin chiedendo la fine di una guerra “fratricida” e il rispetto della sovranità e dell’integrità dell’Ucraina. Ma non è detto che questa posizione coraggiosa basti perchè le sue diocesi non decidano di passare dall’altra parte.

Le notizia che grandi diocesi, come quella di Lviv per esempio, avrebbero deciso di unirsi alla Chiesa autocefala Ucraina, sono sempre più frequenti. Impressionante, nel contesto della liturgia ortodossa, che la maggioranza della chiese ucraine domenica scorsa non abbiano ricordato il patriarca Kirill nelle loro preghiere.

Brucia il ruolo che parte del clero ortodosso leale a Mosca sta giocando in questa guerra. Accademici ucraini ascoltati l’altro giorno via zoom dalla città assediata di Kherson e da Kiev hanno raccontato di notizie diffuse tra la gente che riferivano della presenza di preti ortodossi tra i sabotatori russi armati impegnati nel fronte interno. Non ci sono finora prove che questo sia effettivamente successo, ma è comunque significativo che vengano sospettati di connivenza con gli aggressori.

 

*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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