Il Tour di Balmamion, campione silenzioso: "Meglio del Giro, pronti via e si corre"

di ROBERTO ORLANDO*

"Per il mio modo di correre io preferisco il Tour de France al Giro d'Italia".

Ma come, signor Franco Balmamion, lo dice proprio lei che di Giro ne ha vinti due uno di seguito all'altro nel 1962 e nel 1963? E' vero, era salito sul podio al Tour nel 1967, però sullo scalino più basso. E comunque anche quell'anno era andato meglio al Giro, con un grande secondo posto: davanti a lui soltanto tal Felice Gimondi...

"Eh lo so, ma il Tour è il Tour. E poi a me piaceva di più, era più nel mio stile: pronti, via e si corre...".




Balmamion è quasi una leggenda nell'immaginario collettivo di molti appassionati. E' il corrispettivo ciclistico del calciatore Pizzaballa nelle figurine Panini. E ha una storia personale e sportiva davvero singolare. A partire dal cognome, che in origine era sdoppiato: all’anagrafe di Nole Canavese (Torino) faceva Balma Mion. Poi però Franco si era lasciato convincere da qualcuno dell'ambiente che gli aveva spiegato: "Nel ciclismo se vuoi sfondare davvero il cognome doppio non funziona, bisogna avere un cognome tutto d'un pezzo, anche se lungo, come Girardengo...". E così lui, appena ventunenne, senza pensarci troppo su andò in Comune, sfidando anche la madre che di ciclismo non voleva sentir parlare (gli strappò in mille pezzi persino la tessera da professionista appena conseguita), e si fece unire il cognome: da Balma Mion a Balmamion. L’idea non era del tutto sbagliata: lo zio, con il cognome ancora sdoppiato, era arrivato solo quinto al Giro d’Italia del 1931. E invece Franco non solo ne ha vinti due, come ti dicevo, ma è anche l’unico italiano ad averne vinte due edizioni consecutive.

All'epoca dei suoi successi lo chiamavano “il campione silenzioso”. Perfettamente in linea con il suo stile di corsa, mai troppo appariscente: nei due Giri d'Italia in cui si laureò campione non vinse nemmeno una tappa...  Ma era sempre lì davanti, tra i primi, tanto quanto bastava. Campione silenzioso sì, ma solo a quel tempo: ora, a 81 anni, è un torrente in piena che saltella giù di corsa dalla montagna dei ricordi.


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"Nel '62 fu la mia prima volta al Tour - racconta Balmamion - non combinai granché, soltanto un secondo posto di tappa. Nel '63 ci riprovai e di nuovo niente da fare... Sono caduto, sono finito in ospedale e ho dovuto ritirarmi perché avevo battuto anche la testa e sono rimasto ricoverato quattro o cinque giorni. E poi non sono più andato fino al '67. Al Tour partecipavano due squadre italiane. In quel periodo le squadre nazionali non c'erano già più da tempo, però c'era la Salvarani di Gimondi con i suoi compagni che avevano vinto il Giro d'Italia quell'anno lì, e c'era la mia squadra, la Primavera, considerata un po' la nazionale B, per intenderci. Però a me piaceva quel modo di correre al Tour e così arrivai terzo". Primo Roger Pingeon, Gimondi soltanto decimo. E questo lo dico io, sempre per intenderci...

Balmamion invece corre oltre. "Sono tornato al Tour nel '69, ma andò male: ho avuto un incidente con una macchina, mi hanno dato 36 punti in un ginocchio, ero tutto fracassato. Quella volta ero in squadra con Gimondi, ma insomma la mia gara finì lì, e poi comunque non è che andassi quel granché...  Ho riprovato nel '70, Gimondi non c'era e non c'erano nemmeno tanti altri grandi. Quello è stato l'anno in cui mi sono divertito di più: abbiamo vinto la classifica a squadre, che allora era importante come la classifica generale, e poi abbiamo vinto la maglia verde nella classifica a punti con il belga Godefroot che era dei nostri. Nel '71 mi andò peggio: ero caduto al Giro e mi ero ritirato, ho voluto comunque provare il Tour ma una volta arrivato sulle Alpi ho lasciato perdere e son venuto a casa: non ce la facevo proprio".

Ma signor Balmamion, a parte le sue preferenze, è vero che il Giro d'Italia soffre un po' di complesso di inferiorità rispetto al Tour?

"Ma quello sicuramente sì. Diciamo che i percorsi sono sempre stati più o meno simili, almeno ai miei tempi. Poi quando ho smesso c'è stato un certo periodo, quello di Moser e Saronni, che è durato una decina di anni, in cui il Giro è diventato meno duro, un po' più su misura per quei due corridori, che sono comunque grandissimi campioni, sia chiaro. Però se avessero corso qualche anno prima, con tutte le salite che c'erano, non so se avrebbero vinto il Giro. Invece Saronni ne ha vinti due e Moser uno. Correvano su percorsi meno faticosi: meno salite... invece del passo del San Bernardo facevano il tunnel... insomma, un'altra storia. Invece il Tour è rimasto lo stesso e infatti c'è sempre stata battaglia, come accade anche in questa edizione. E poi insomma è sempre stato più importante, non c'è niente da fare".

Signor Balmamion, però mi tolga una curiosità. Io che scrivo per un sito di viaggi mi chiedo, e ora rivolgo a lei la domanda, certo di avere una risposta definitiva: ma quando si è in sella per una corsa come il Tour, ogni tanto la date un'occhiata al panorama oppure restate concentrati?

"Ahah. No guardi, si resta concentrati, soprattutto al Tour, che è una gara veloce. In Italia è un po' diverso, perché ogni tanto ci sono dei tratti in cui devi per forza rallentare, allora magari qualcosa vedi, ma proprio poco...".


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ùQuindi non c'è un luogo in Francia dove lei sia tornato perché le era piaciuto particolarmente durante la corsa?

"In realtà uno c'è, anche se quel luogo richiama alla memoria una circostanza molto triste. Sette o otto anni fa con Italo Zilioli e un gruppo di una quindicina di ex corridori e di appassionati sono tornato sul Mont Ventoux. Eravamo andati a trovare un caro amico che correva anche lui, Vittorio Cumino, che abita da quelle parti, tra Avignon e Carpentras. Ci siamo fermai cinque o sei giorni in zona per fare veramente i turisti, poi un gruppo è salito fino in cima con la bici. Io e qualcun altro li abbiamo seguiti in auto, ahah...  Del resto l'avevo già scalato due volte il Mont Ventoux, la prima nel '67. Fu l'anno in cui durante la gara morì Tom Simpson, per questo prima le dicevo che comunque tornare lì è stato proprio triste".

Io non l'ho visto cadere Tom, ero più avanti, con Gimondi, Jansen, Pingeon che poi ha vinto il Tour. Siamo arrivati in cinque lassù, io ho fatto terzo. Ma ricordo ancora adesso il caldo di quella giornata di luglio, anche se eravamo al traguardo verso le otto di sera. Lì quando comincia la salita per un tratto c'è il bosco, ma poco dopo diventa una pietraia battuta dal sole fino alla vetta, roba da bombola di ossigeno, come del resto è successo più di una volta soprattutto se si deve combattere fino all'ultimo metro: perché quando arrivi la corsa è finita e ti fermi di colpo, così non hai modo di recuperare forze e fiato nella discesa. Era successo anche a Merckx, che vinse la tappa nel '70 dopo tre anni in cui la tappa era stata cancellata dal percorso in seguito alla tragedia di Simpson. Anch'io l'ho rifatta quella volta. E ho lo stesso ricordo: un caldo tremendo. Anche sui Pirenei è così. Le Alpi sono molto più fresche. Quando sono tornato lassù da turista ci siamo fermati davanti alla stele di Simpson e a un certo punto è arrivato anche Guidolin, sa l'allenatore di calcio? In bici. Lui è veramente forte, perché ripeto quella è una salita tremenda. E pensare che quest'anno il Mont Ventoux i corridori l'hanno dovuto fare due volte...”

Signor Balmamion qual è oggi il suo corridore preferito al Tour?

"Beh questo Pogacar è davvero molto forte. Anche se io gli preferisco Bernard, che peraltro ora non è al Tour. Diciamo che se tutti e due fossero stati in condizione poteva essere una gran bella gara. Però certo, Pogacar è bravo: è intelligente e poi si vede che corre bene. A me tuttavia piace un po' meno di Bernard. Questione di stile. Ad esempio all'ultima Parigi Nizza a un certo punto lo sloveno ha voluto strafare: alla settima tappa era a 200 metri dall'arrivo, davanti aveva quel corridore svizzero... Gino Mader. E allora lui ha accelerato e sul filo del traguardo è andato a batterlo. Non avrebbe dovuto, aveva già vinto due tappe di fila. Sono cose che si pagano sempre, perché in gara sì c'è la squadra che ti aiuta, ma poi bisogna anche farsi qualche amico...".    

E infatti Balmamion amici ne ha tanti, anche adesso che non corre più.


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

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