Ieranto baia sacra fra Nerano e i Faraglioni

di ANGELO MASCOLO* 

Il sentiero è segnato da un cancello anonimo, poco fuori il borgo marinaro di Nerano. Frinire di cicale, macchia mediterranea e stranieri dalle facce rosate, ingolfati da pesanti zaini Quechua. Sono in tutto dodici chilometri e i ragazzi, due volontari, che ci aspettano all’inizio del percorso per cancellare i nostri nominativi dall’elenco delle prenotazioni ci assicurano che in quaranta minuti si arriva alla baia. Basta poco, però, per accorgersi che non è così. Non solo perché il sole di san Gennaro picchia con lo stesso livore di quello agostano, ma anche perché il sentiero che conduce a Ieranto è una venuzza scalfita da rocce, passaggi irti e una vegetazione domesticata dagli aliti rari di vento. Intorno sassi spaccati dalla calura, foglie di piante ingiallite dalla siccità e il mare cobalto affollato di barche e diportisti. Forse non è stata una buona idea, penso tra me e me, venire in questo posto che tutti hanno il desiderio di visitare.

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(foto di Angelo Mascolo)

Però, all’improvviso, qualcosa muta di colpo. Il sentiero scomodo e incerto cede il passo a una spianata. Gialla e trincerata da una staccionata. Tutt’intorno pannelli e tabelle, sentinelle che ci informano di essere entrati in un’altra dimensione. Qui, stretta tra le brulle montagne dei Lattari e la feritoia di mare che si sta componendo davanti a noi, il Fondo Ambiente Italiano (FAI) ha creato un’oasi. Un’oasi di purezza e natura. Uno spazio verde che abbraccia la cura per le api – la discesa che porta alla baia è costellata di arnie – e gli ulivi che marcano l’avvicinamento al paradiso di Ieranto. Tutto cambia e lo fa con la stessa velocità del vento che sale da Punta Campanella e profuma ancora di estate.

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(foto di Angelo Mascolo)

Qualcos’altro mi lega da subito a Ieranto. Ed è il mito, la storia. Mentre mi avvicino a questo mare, dal colore magico ed impossibile allo stesso tempo, rivivono nei miei ricordi mitologia ed epica, studi e passioni. La ricerca di Ulisse che qualcuno vuole ancora immaginare fermo in questa terra, sfracellato sullo scoglio delle Sirene o più semplicemente arenato qui – tra il faro di Atena a punta Campanella e Capri – a finire i suoi giorni in oblio. Non è un caso che Ieranto porti nel suo nome il proprio destino. La sacralità, dal suo etimo greco, è nella natura, nella corte di spiriti e dei che ancora abita questo luogo, negli eroi e nelle ninfe che si contendono questa lingua di mare, oggi protetta dall’aggressività volgare del turismo di massa. 

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(foto di Angelo Mascolo)

Quando metto piede sulla spiaggetta di Ieranto la sacralità è totale. C’è silenzio, un silenzio ieratico, non guastato dalle poche persone che si sono spinte fino a questo eremo. L’unico respiro è quello del mare, con le onde discrete che vanno a morire sulla battigia. In lontananza, i riflessi diafani dell’acqua allungano all’orizzonte le sagome dei faraglioni di Capri. È possibile toccarli, prenderli a due mani, fino a farli entrare per sempre nella propria vita.


*ANGELO MASCOLO (Sono archeologo, giornalista e scrittore. Ho collaborato con i quotidiani «Roma», «Metropolis» e «Il Mattino». Nel 2016 il mio romanzo "Palestra Italia" si è classificato secondo al Premio Letterario RAI «La Giara». A novembre 2017 è uscito «La primavera cade a novembre», giallo edito dalla casa editrice Homo Scrivens, arrivato alla seconda ristampa, che ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale)

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