I ponti sulla Neva / 2

di ARTURO CIOFFI *

Tornammo all’Hotel Astoria. Di fianco ai cancelli liberty degli ascensori, targhette in ottone ricordavano le cosmopolite celebrità che vi avevano soggiornato, a migliaia, in più di un secolo. Mr John Reed, Mr Vladimir Vladimirovic Majakovski, Mme e Mr Curie, Mr Arturo Toscanini, Mr Chou En Lai, Mr Sting, Mr Toto Cutugno… Mancavano i nomi degli ufficiali della Wehrmacht. 

Se un giorno il mio cortese, paziente, politicamente corretto ed isolato lettore si sentisse richiedere dal figlioletto il significato di prenderla – metaforicamente parlando – in quel posto potrebbe utilmente soddisfare tale infantile curiosità raccontando di quando gli ufficiali del Comando Tedesco, che nel corso dell’Assedio erano arrivati a vedere ad occhio nudo i palazzi della città, certi di farvi ingresso, avevano stampato già gli inviti per il ballo dell’Ultimo di Carnevale, da tenersi appunto all’Astoria. Mai mano tedesca riuscì a profanare, mettendovi piede, la città cara a Lenin. Poco dopo giunse per loro il momento della ritirata e della disfatta. 

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(Ricevimento a San Pietroburgo     foto di Arturo Cioffi)

Se quelli di Leningrado fossero stati napoletani, a quel punto la Settima Sinfonia, e precisamente quella parte del Primo Movimento cadenzata ed ossessiva, ad evocare l’incedere degli invasori, gliela avrebbero suonata, ai nemici in ritirata, a pernacchie. Sempre sotto la direzione di Dimitri Shostakovic. 

Tornando a noi: “Domani abbiamo la matinée alla Filarmonica di San Pietroburgo!” E il cervello non c’era più, stava già galleggiando in un mare tiepido e lontano. Si trattava del Mar Nero, in cui il Principe Potemkin si era guadagnato il titolo, la notorietà ed i favori di Caterina Seconda, detta la Grande, come precisavano pignole le guide turistiche. Negli anni Settanta le guide in tre secondi ti facevano la Storia dalla clava al 1917 e poi la Rivoluzione, lunga come il Volga. Adesso viceversa.

 Avevano, in particolare, la fissa di Caterina Seconda detta la Grande. Di come aveva fatto accoppare il primo marito. Dei suoi 72 amanti o favoriti. Di quando aveva regalato questo o quel palazzo ai suoi stalloni. Di quanto fosse religiosa. Del fatto che fosse morta sulla poltroncina cacatoria. Di quando, non più competitiva eppur in preda ad insaziabili impulsi, usciva dai suoi ormai solitari appartamenti e passava in rivista, nel corridoio adiacente le Guardie Imperiali, scegliendo imperiosamente l’amante di una notte sulla base della estemporanea valutazione del gonfiore sulla patta delle attillatissime braghe militaresche.

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(Palazzo di Caterina II la Grande            foto di Arturo Cioffi)

Prima di andare a vedere i ponti sollevarsi, avevo partecipato ad una serata di gala, al Palazzo di Tauride, del Principe Potemkin. Tauride, Mar Nero, appunto. Buonanotte. 

La mattina dopo, alle 10, salivamo gli austeri scaloni della Filarmonica di San Pietroburgo. Alle pareti, i Grandi della musica russa. Riconobbi solo Modest Musorgskij, con la sua faccia da matto. 

La scena che seguì sarebbe piaciuta ad Orson Welles. In sala si spensero le luci, gli spettatori si schiarirono la voce prima di tacere per due ore e lo schermo s’illuminò. Iniziò un film a colori. Guglie dorate dell’Ammiragliato, Prospettiva Nevskij, la Neva mormorava calma e placida al passaggio del duca di Novgorod… sembrava un documentario di Raitre ed invece no. A due a due entrarono nel film gli orchestrali chiacchierando fitto fitto. 

L’argomento era il seguente: la Filarmonica di S. Pietroburgo si era ridotta con le pezze sul culo. Un tempo era la gloriosa Filarmonica di Leningrado. Una volta all’anno, la sera dell’anniversario della Liberazione della città, si faceva la Settima a pieni polmoni: "Nza nza nzaranza, nza nza nzanza nzaranza…" ed a fine spettacolo si sciamava nei café-bar e si beveva fino all’alba. Adesso, senza quattrini, d’estate li deportavano fino a Vladivostok a suonare Glinka e Scriabin per poco più che vitto e alloggio. Si rischiava di chiudere. 

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(Palazzo d'estate, San Pietroburgo)

 E qui entrava in scena l’Innovatore. Denti bianchi, faccia da spot, bloccava il collega con la forfora siberiana e gli diceva: "Facciamo una tournée in America. C’è già la proposta. Los Angeles, Reno, Las Vegas, Atlantic City e poi un finale clamoroso, a Disneyland!" 

"Al parco giochi?"

“Ma non fare lo scemo, ci sarà un megaschermo dove daranno Fantasia, muto, e noi dietro a fare la colonna sonora, come negli Anni Venti. Sai, Stravinskij, Musorgskij, Tchaikovskij…"

"…e Topolino". 

"Stronzo!" Non lo disse, ma fece l’espressione equivalente. Seguirono tutta una serie di siparietti sullo stesso tema, l’eterna lotta tra Modernità e Conservazione, Coerenza e Compromesso, Princìpi e Fini. Vinse il Bene: l’unico modo per non far andar perdute le gloriose tradizioni della Filarmonica era di scendere a patti con il mecenatismo un po’ burino degli yankees.  "Rimbocchiamoci le maniche, ragazzi, ci restano 30 giorni per provare Gershwin… dopo tutto era un ebreo russo!"  Il Direttore ed il Sovrintendente fanno la pace e si danno il cinque, come due imbecilli ad Happy Days. The end.

 Si accesero le luci e, come in un incubo cinematografico di Wes Craven, sul palco si materializzarono i musicisti del film, con annessi strumenti ed attaccarono: "Pirulì, piruliro pirulì, piruliro…" Un perfetto Americano a Parigi, non c’è che dire.

 A Goebbels non sarebbe riuscita meglio, la metafora. Che poi era la seguente: "Il nostro Istituto, che fu di Raffaele Mattioli, il banchiere umanista, gode di fama e prestigio internazionali, ma dalle sue casse fuggono topi in lacrime. E’ d’uopo un ménage a trois con la Cassa Lombardona ed il Banco Cattolico di Rito Ambrosiano".  "Quella del mafioso che morì col caffè?" "Non faccia lo stupido, dottor Azzurro, ha capito o no da che parte stare?" 

Certo che avevo capito. Tornai in Italia con brutti presentimenti. L’11 dicembre arrivò una posta elettronica:  "Ai Direttori delle Filiali Indipendenti. Oggetto: Benedizione natalizia delle Sedi". Dopo 38 anni e 4 mesi di banca laica ero diventato una figurina del Presepe. Nun me piace, ‘o presebbio!

(2 - FINE)


leggi la prima puntata 


*ARTURO CIOFFI (Longevo Consulente Finanziario, nasce nel 1944 sul fronte della Quinta Armata nel Sannio ma mezzo napoletano e poi mezzo veronese nell'era ginnasiale. Mancato professore in lingue morte, approda nella finanza laica della Banca Commerciale. Completa il profilo diventando pure mezzo slavo, attratto dagli eccessi terribili e meravigliosi di quella cultura. Tra nuvole e numeri, scrive per rinfrescare l'ortografia)


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