I pappagallini del Masaya

di GIORGIO OLDRINI*

Il momento più emozionante è quando si arriva a uno degli ultimi tornanti della strada che sale da Masaya al vulcano omonimo, in mezzo a una natura ormai povera e brulla, nella quale la lava e la terra si mescolano. Ma quello che sorprende e attira è un rumore indecifrabile che viene da dentro il cratere, il cui interno ancora non si vede, mentre già si può ammirare la statua dell’indio che guarda dentro quell’enorme buco con paura e fascinazione, come sicuramente un uomo antico avrà ammirato quel fenomeno miracoloso e spaventoso. Solo quando si arriva in cima e si riesce finalmente a scorgere cosa nascondono gli orli del Masaya si vedono quei milioni di pappagallini che vivono lì dentro, mentre sul fondo continua a bruciare un fuoco lento e minaccioso. Respirano zolfo ed hanno avuto, così si dice, una mutazione genetica, per cui non escono mai dal cratere se non per pochi metri e per poco tempo. Per loro è insopportabile l’aria pura, in una apparente inversione della logica.

Del resto il Nicaragua è terra di vulcani, il più famoso si erge a pochi chilometri dalla capitale Managua e nei giorni di tempo limpido si può vedere anche dal Masaya, che dista una quarantina di chilometri in linea d’aria dal suo fratello ben più conosciuto, grazie al poeta nazionale Rubèn Darìo che fissò in un verso onomatopeico l’inizio di una eruzione: “Empezò a retombar el Momotombo”, cominciò a rimbombare il Momotombo. Poco più in là ancora un altro vulcano, il Monbacho e lì vicino il grande lago Managua. Terra di vulcani e di poeti il Nicaragua. Il ministro degli interni del governo sandinista Tomàs Borge aveva definito il suo dicastero “Custode della felicità del popolo” ed Ernesto Cardenal, ministro della cultura e sacerdote, è uno dei grandi poeti latinoamericani, autore tra l’altro di una struggente “Ode a Marilyn Monroe” .

il vulcano Ometepejpg(Il vulcano Ometepe     foto da Pixabay)

La città di Masaya è a una trentina di chilometri dalla capitale e a una quindicina da Granada ed è dunque su una strada molto importante di comunicazione con queste due città e con Leon. E’ al centro di una regione straordinaria, con il vulcano Masaya che ha un cratere principale e 4 secondari, che brontolano in continuazione. I colonizzatori spagnoli pensavano, o speravano, che eruttasse oro. Non la pensava così Bartolomé de las Casas, il frate protettore degli indios, che lo definì “La porta dell’inferno” dopo avere ammirato, spaventato, le bocche di fuoco e il lago di lava gorgogliante. Oggi il vulcano è un Parco nazionale, così come il vicino lago Apoyo, riserva naturale molto popolare tra i nicaraguensi che nelle sue acque si bagnano e pescano. Il cratere principale si può raggiungere con una affascinate camminata, magari accompagnati da una guida, la strada a volte attraversata da grossi iguana.

La città è dominata dalla Fortezza di Coyotepe che controllava la strada Granada Managua Leon fin dai tempi della colonia spagnola. Nel 1912 fu al centro di una feroce battaglia tra gli statunitensi che avevano occupato il Nicaragua con 3 mila uomini e 8 navi da guerra guidati dal comandante Butler e il generale nazionalista Benjamin Zelendòn che tentò inutilmente di difendersi nella fortezza e venne ucciso. Da lì prese l’avvio la rivolta di Augusto Cesar Sandino, un operaio che si trasformò in capo guerrigliero così valoroso che riuscì a sconfiggere e a costringere al ritiro dal suo Paese gli invasori statunitensi. Una sorta di Vietnam ante litteram.

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(La cattedrale di Granada      foto da Pixabay)

Non solo. Tutti ricordiamo Guernica, ma il primo bombardamento aereo su una città indifesa avvenne nel 1927, vittima il centro di Ocotal, colpito dall’aviazione statunitense nel tentativo di stanare i guerriglieri. Vinse la guerra Sandino, ma perse la pace e venne ucciso a tradimento dopo una cena “di riconciliazione” dal futuro dittatore Anastasio Somoza. Si racconta che il funzionario che riferì al Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt la notizia di quell’assassinio commentò “Che figlio di puttana quel Somoza”. E il Presidente “Non è un figlio di puttana, è il nostro figlio di puttana”.

Nella fortezza tanti anni dopo, nel 1979, si trincerarono inutilmente gli ultimi fedeli del dittatore Somoza, discendente dell’assassino di Sandino, assediati e sconfitti dai Sandinisti, eredi politici dell’assassinato. Per molti anni alla periferia di Masaya era rimasta la carcassa di un aereo col quale Somoza bombardava la città e che venne abbattuto dai guerriglieri. Un simbolo di quell’epopea e insieme una rivincita per Ocotal.

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(Piantagioni di caffè      foto da Pixabay)

Il centro di Masaya oggi è un grande Mercato dell’artigianato nel quale si può comprare tutto quello che viene prodotto nella zona. Oggetti in legno, strumenti musicali come la marimba e ceste coloratissime di vimini o di paglia. Un anno andai a Masaya da Cuba e comprai nel mercato una grande cesta che mi aveva affascinato con i suoi colori sgargianti. Quando arrivai sull’aereo la hostess cubana mi disse che era troppo grande per tenerla in cabina. Mi domandò: “E’ una culla per il tuo bambino?” Io mentii spudoratamente, in quel momento non avevo nessun figlio da culla, e lei si intenerì. “La tengo io con me allora” mi sorrise. Dopo qualche mese la incontrai per caso all’Avana. “Il bambino sta bene nella culla?” Non ho mai avuto il coraggio di dirle la verità.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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