I miei santuari, un autogrill per l'aldilà

di ARTURO CIOFFI*

…Modello di Santità, prega per noi.

La vettura risaliva la Valnerina sul far della sera, col suo variegato carico di umanità e di aspettative. C’ero io, mia moglie e, sul sedile posteriore, 172 anni variamente suonati: le nostre rispettive mamme, al momento armate di Rosario, il cui salmodiare era la sola forma di colloquio, visto che la mia era sannita e mezza sorda e la suocera originaria della zona montuosa al confine tra Verona e Vicenza. Ora che scrivo, le due bimbette sono ormai da tempo nella Sezione Mamme Italiche del Canto III bis (con uso di cucina, taglio e cucito) del Paradiso.

Che ci faccio qui? La vegetazione, sui fianchi scoscesi dell’angusta valle, era fitta, e, chissà perché, mi ricordava la descrizione che James G. Frazer, all’inizio de “Il Ramo d’Oro”, ci ha lasciato della zona del lago di Nemi, “tutta soffusa da quella aurea luminescenza d’immaginazione” tipica della pittura del Turner. Ma che ci faccio qui?

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Beh, prima tappa Santa Rita, la Santa dell’Impossibile. Una donna moderna, nata nel 1371 o nel 1381, trapassata il 1447 o il 1457 (attendibilità da biografia su Facebook), moglie e madre per una decina d’anni, ma tanto desiderosa (nella preghiera e basta) di ricongiungersi a Cristo che nel luttuoso biennio 1406/1407 il Volere Divino la mise alla prova orbandola del marito e dei due figli, il primo accoltellato, i secondi mortalmente appestati.

…Vergine degna di ogni lode…

Tutto era iniziato alla fine di luglio del 2001 (Azz… l’anno dell’Odissea!) con quel doloretto al fianco sinistro, appena accennato, mentre andavo in Azienda. La facoltosa vedova, di nome e di fatto Desolata, si era premurata di farmi sapere che era il suo ennesimo, tristissimo compleanno e si aspettava da me un raggio di luce che rischiarasse le tenebre che l’avvolgevano, un dardo fiammeggiante che cauterizzasse le sue piaghe dolenti, uno scrupoloso esame della sua situazione patrimoniale, insomma! Si faceva chiamare Dessy, congiuntivo molto imperfetto.

…Virgo Prudens, ora pro nobis!

Il doloretto era diventato una fitta lancinante. Nel frattempo ero arrivato alla mia scrivania, e sudavo freddo. Presto Desolata mi chiamò, chiedendomi con tono mesto se desideravo dare una occhiata veloce alle sue carte. No che non lo desideravo! Neanche se fossero state le carte di Scarlett Johansson, perché nel frattempo ero quasi piegato in due dal dolore. Glielo dissi con voce strozzata, e Desolata, immagino, rimase  senza poter bere alla fontana, visto che non c’ero io, per citare liberamente una composizione dell’immortale Lucio Dalla..

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Quel giorno, finii per perdermi nei meandri del Servizio Sanitario Nazionale. Ne riemersi sul far della sera con una novità: la formazione vegetante.

…Gloria della stirpe di Davide…

Vegetante, inquietante, parassita allarmante. Mancava il bisturi tagliente. Era il momento di far ricorso a Ferdy. Ferdinando Consortino, amico, compagno e Primario della Clinica Urologica dell’ ospedale di Bovolone, prossimo alla chiusura nel quadro della razionalizzazione della presenza sul territorio e blablabla…

Lo trovai, nell’umida sera d’estate, in completo coloniale, che stava facendo il cassiere alla Festa de “L’Unità” del suo paese. Feci regolarmente la coda, in quell’atmosfera densa di odori veri: salamelle alla brace, zucchero filato, stracotto d’asino, ascelle sudate e zampironi giganti. C’erano infatti zanzare suicide, consapevoli certamente del loro sterminato numero e della nostra fiaccata resistenza, che avanzavano ad ondate successive. Per parlare col primario si fa sempre la coda. Arrivato al suo cospetto mi diedi una calmata, ordinai risotto, rane fritte e vino rosso e gli esposi il mio problema. Pagai lire 27.000, per il mangiare, ovviamente.

…Salute degli infermi…            

Ferdinando, se lo guardavi ad occhi chiusi, te lo immaginavi con la retina sui capelli, la vestaglia e la sigaretta col bocchino ricevere amabilmente gli amici forse troppo tempestivi nella visita mattutina, offrendo loro il caffè sulla veranda ombrosa, al riparo dal già molesto sole delle 11. A Santa Caterina Villarmosa, nel bel mezzo della Sicilia, nel posto più lontano dal mare (e da tutto, a dir la verità). Amabilmente è l’avverbio che ti viene spontaneo per Ferdy. Nando aveva infatti quella naturale cortesia da gentiluomo siciliano che spesso i nordici sospettosi scambiano per insinuante insularità, quando hanno letto romanzi siciliani di impegno civile, se non per molle ambiguità nelle amicizie virili, da Magna Grecia insomma, se hanno letto Vitaliano Brancati. Né l’una né l’altra, cancellate! Ferdinando era amabile di suo, oltreché di famiglia. Infatti era lì, tra le rane fritte e le zanzare vive, con la naturalezza di Giuseppe Tomasi di Lampedusa mentre versava un cucchiaino di zucchero nella tazzina di Alexandra Wolff, al solito Bar Mazzara di Palermo.

Amabilissimo. Ho sempre tentato di spiegarmi, leggendo romanzi siciliani, il senso di quell’assurdo diminutivo che questi indecifrabili compatrioti adoperano nelle occasioni più impensate: spiatina, fuitina, ammazzatina, che so… carneficina. Forse perché in quella sfortunata terra baciata dal sole e schifata dal progresso economico succedono cose così grosse che, per sopportarle, è consigliabile ridimensionarle, a partire dalla definizione lessicale.

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Ferdy infatti fu dolcissimo. Problemino, interventino, papillomino, un po’ urgentino… dopodomani vieni da me che ti ricovero e il giorno dopo ti opero. Cazzo! E’ anche “urgentino”. Sono proprio fottuto, anzi fottutino. Dal destino.

…Rifugio dei peccatori… Consolatrice degli afflitti… Vergine potente contro il Male… sotto il peso e tra l’angoscia del dolore… a Voi che tutti chiamiamo la Santa dell’Impossibile…

…concedi a noi tuoi servi di godere la pace dell’anima e del corpo, ed aiutaci a raggiungere la gioia eterna!            

Amen, amen! Ecco con chi ero, con tre filandere, che per vincere la noia del viaggio stavano dipanando monotone il filo della mia vita. Tra poco, inevitabilmente, sarebbero arrivate al nodo, al groviglio inestricabile, al dunque. E volevano scioglierlo a giaculatorie, prima che arrivasse la Parca che fa zac! Avevo capito. Era una congiura.

…nella fiducia di presto aver soccorso… e ridonate la calma a questo spirito che geme sempre pieno di affanni…

Uscito dall’interventino, mentre ero ancora frastornato per la fulmineità del susseguirsi degli eventi, le due mamme spinsero mia moglie a vendermi, come loro ultimo desiderio, il Grand Tour dei Santuari: Santa Rita da Cascia, Pietrelcina e la Madonna di Montevergine, dalle mie parti,  e poi dritti alla tomba di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo, con la puntatina d’obbligo alla Grotta di San Michele Arcangelo. Al ritorno, per l’Adriatica, pit stop alla Madonna di Loreto, patrona dei traslochi. Si era d’autunno incipiente e ancora non sapevamo che lo squisito Ferdinando Consortino mi aveva già salvato la vita.

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…se sono di ostacolo al compimento… ravvedimento e perdono… non permettete ancora ch’io sparga lacrime di amarezza… premiate la mia ferma speranza… ed io darò a conoscere ovunque… la Vostra grande Misericordia…

La realtà era che almeno una di queste Santità doveva “farmi la grazia” e quello erano decise ad implorare. Ed io facevo finta di niente, non per laica strafottenza, ma perché rimuovevo il problemino. Ero stranamente felice, però, di tutte queste cure intorno a me.

Del resto, pur ferocemente agnostico (cioè un ateo che bestemmia, nella mia limitata visione teoretica) ero sempre stato attratto da quei grumi di fede popolare che sono i santuari, dove più l’umana devozione sfiorava il paganesimo e più ne ero affascinato. Salvo l’imminente Santuario di Santa Rita, tutti gli altri li avevo già visitati, ed altri ancora, negli intervalli di vacanze tradizionali.

…o ammirabile Sposa del Crocifisso… intercedi oggi e sempre… per tutti i miei bisogni!

E più il contorno fieristico era multicolore, chiassoso e sudaticcio e più lo trovavo autentico. A Benevento, un tempo terra di conquista di longobardi capelloni e imbriaghi che di notte venivano scambiati per streghe dai suggestionabili ma fieri Sanniti, mi diede il benvenuto nel raccordo autostradale l’inquietante Padre Pio - Jeeg Robot pronto ad essere sparato in orbita. Ne fui rassicurato, esprimeva potenza intercessoria. Pietrelcina,  Preta Pucina di un tempo con tutti i suoi pucinari era prossima, con i suoi torroncini morbidi e le statue del Santo in vendita per tutte le tasche e tutte le taglie, dall’ottavo nano da giardino al gigante afroamericano della NBA. E la morgia, la pietra, costituente essenziale del carattere del manesco cappuccino minore Francesco Forgione, sui cui fianchi aderivano in simbiosi povere case, tra cui quella del Santo.

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…Regina concepita senza peccato originale…

Il giorno seguente, in Piena Valle Telesina, in una trattoria mangiammo tra l’altro ‘mbrugliatielli, detti pure ammugliatielli,o più semplicemente abboti, dei deliziosi, affusolati involtini di budello d’agnello, prima lessati e poi passati alla brace, qualche volta preventivamente lavati. Roba di cui ai nordici non si dichiara l’origine, come per il sanguinaccio, spacciato per budino al cioccolato “Cameo”.

Fu qui, alle quattro del pomeriggio che mia suocera prealpina veneta, alla vista di una chiassosa tavolata di soli uomini, fece una acuta osservazione di stampo sociologico:

-         Ma questi signori quando tornano a lavorare?

Tornano, capite? La santa donna, in giorni feriali, concepiva solo il fugace pranzo di lavoro!

Ma fu lei, il giorno dopo, a fare il fenomeno. In un hotel, nei pressi di San Giovanni Rotondo, a cena versò, come sua abitudine, mezzo bicchiere di vino rosso nei tagliolini in brodo. E oppose ferma resistenza alla gentile cameriera che, scambiando la performance per un incidente, tentò di cambiarle il piatto. Era Nero di Troia, altro che balle!

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Nei santuari andavo subito a vedere la stanza degli ex - voto. Mi commuovevo a vedere le parti anatomiche in argento, i quadretti raffiguranti cadute da carri agricoli, barchette naufraganti, coltellate e pistolettate miracolosamente non andate a segno, gravidanze felicemente concluse da vecchie, a 35 anni!

Una sola volta ebbi un brivido diverso. Quel giorno, in Alto Adige non si sciava per il maltempo e trovai rifugio nel Santuario di Pietralba, Weissenstein. C’era un ex - voto strano, una lista di nomi sudtirolesi, in gotico funerario. Erano 33, quelli della Ordnungpolizei, Battaglione Bozen, saltati in aria a Via Rasella, prologo delle Fosse Ardeatine.

…Mamma del conforto… Mamma del Conforto… Mamma del Conforto…

Mamma che palle! Non ero ancora arrivato alla prima tappa e, come per divincolarmi dalle “suocere” premurose quanto il Santo Eremita di Frankenstein Junior ero in piena fuga in avanti…

È di fonte letteraria che a Napoli, in un noto ristorante, un serissimo posteggiatore con chitarra stazionasse silente nei pressi di nutrite tavolate e, quando i commensali erano ben sedati dal digestivo, porgeva loro un bigliettino stampato e consunto:

-         Non ho ritenuto di doverVi disturbare. Grazie!

E così faccio io, risparmiandoVi il resto del Pellegrinaggio della Speranza, tralasciando la allora quasi ultimata astronave di Renzo Piano per Padre Pio, le altre firme illustri, ma di mezzo millennio prima, della Basilica di Loreto, le allegre sovrapposizioni edilizie dovute al crescente successo di pubblico, ché la critica, quando c’è odor di Santità, può anche morire.

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Avrei già voluto essere sulla via del ritorno, immaginandomi su uno di quei vecchi camion carichi di pellegrini rurali che avevo visto partire negli anni ’50 dal mio paese, col telone sostituito da un addobbo di rose selvatiche, felci, ginestre fiorite, rami di alloro… tutti carichi di mappatelle di panelle, capicolli, soppressate e pecorino, non senza il conforto di vinello che volava di mano in mano nei tipici cìceni o pisciarielli di terracotta. E avrei voluto risentire il canto femminile, all’andata languido e speranzoso:

-         Maria, fancella, la graaazziaaa…

Mentre al ritorno, grazie all’apporto di voci virili e fisarmonica, diventava più festoso:

Simme jute e simme venute

quanta grazie c’avimme avute

da ‘a Madonna de Moonteveeeeeergine…

Concludo con un doveroso updating: dopo 19 anni di crescita delle disuguaglianze, deforestazione, cotton fioc nei calamari, global warming e persino una pandemia, sono ancora qui, bello e vendicativo come il Conte di Montecristo, ad affrontare il mondo a viso aperto, ma forse è meglio non fare lo sborone, visto che stanno per farmi un tampone esplorativo sui miei potenziali rapporti col Covid - 19.

Modello di Santità, prega per noi…



* ARTURO CIOFFI (Longevo Consulente Finanziario, nasce nel 1944 sul fronte della Quinta Armata nel Sannio ma mezzo napoletano e poi mezzo veronese nell'era ginnasiale. Mancato professore in lingue morte, approda nella finanza laica della Banca Commerciale. Completa il profilo diventando pure mezzo slavo, attratto dagli eccessi terribili e meravigliosi di quella cultura. Tra nuvole e numeri, scrive per rinfrescare l'ortografia)

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