Grazie di Curtatone, un piccolo mondo sospeso fra sacro e profano

di FABIO ZANCHI*

Il confine tra sacro e profano è a sette chilometri dal centro di Mantova. Le sue coordinate si conoscono: 45° 09’ 14,04” N, 10° 41’ 40,2” E. Più terra terra: alla biforcazione della strada Cremonese, là dove parte la provinciale che porta ad Asola, in direzione Brescia. A 37 metri s.l.m., dove si trova il borgo di Grazie di Curtatone. Le Grazie, come tutti lo chiamano.

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(All'imbarcadero     foto per gentile concessione della Città di Curtatone)

Come ci si arriva? Come si vuole. In auto, lungo uno dei tratti più fertili e spettacolari della pianura Padana. In bicicletta, magari pedalando lungo una comodissima ciclabile che costeggia il lago Superiore, uno dei tre che fanno da cintura alla città di Mantova, formati dall’espansione delle acque del Mincio. Non c’è più, da tempo, la tranvia a vapore che venne inaugurata nel 1886 ed elettrificata nel 1926. Funzionò fino al 1953, poi venne soppiantata da una linea di autobus, che ancora collega le Grazie con il capoluogo. Infine ci si può arrivare, ed è bellissimo, in battello, facendosi accompagnare a remi attraverso i canneti e le isole di fiori di loto che crescono nel lago. Se si arriva dall’acqua, il colpo d’occhio è davvero notevole, perché il paese, rispetto al lago, è più alto: quel tanto che basta a passare dalla realtà alla poesia. Infine, alcuni spericolati arrivano dalla città e dai paesi vicini anche a piedi, per poi vantarsi dell’eroica impresa per tutto l’anno a seguire.

DJI_0352jpg(Veduta delle Grazie     foto per gentile concessione della Città di Curtatone)    


Questo paesino è famoso - relativamente, s’intende - per alcune cose.

Cominciamo dalla prima. Lì, nel giorno di Ferragosto, in piazza si mangia il cotechino: uno dei più buoni che si abbia la fortuna di assaggiare. Uno dei più lunghi, dal momento che nel 1990, con 22 metri di fumante delizia, fu stabilito il record per cui le Grazie finirono sul Guinness dei primati.


(Backstage di Novecento al santuario delle grazie di Curtatone. Si ringraziano Michele Borghi e Davide Prandini)

L’occasione che ospita tali performance è la Fiera delle Grazie, dedicata all’Assunta. Ogni anno, il 15 di agosto, sull’enorme spiazzo intorno al quale si raccoglie il paese, si tiene l’esibizione dei Madonnari che, provenienti da mezzo mondo, disegnano con i gessetti grandi e variopinte immagini di ispirazione prevalentemente sacra. Alle loro spalle, la facciata quattrocentesca del Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie. E’ lì che passa il confine. Anzi, è quello il punto in cui le due dimensioni, del sacro e del profano, coincidono, si fondono e convivono senza apparente stridore.

Ed è aprendo la porta del santuario che si ha la sensazione netta che questi due livelli siano inestricabili, impossibili da tenere separati.

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(Il coccodrillo      foto per gentile concessione della Città di Curtatone)   

Tanto per cominciare, una volta dentro, la prima cosa che si vede guardando sopra la nostra testa è un coccodrillo. Non proprio un’immagine sacra. Un coccodrillo vero, impagliato, incatenato in alto a dare il benvenuto a chi entra. Le leggende che lo riguardano sono numerose. C’è chi dice che fu ucciso da due pescatori che lo catturarono nelle acque del Mincio; che venne esposto dai frati francescani per attirare pubblico nel santuario; che venne portato da un combattente sopravvissuto alle Crociate. In un crescendo entusiastico, c’è anche la leggenda che racconta che il santuario sia stato voluto dal popolo, in segno di ringraziamento per essere stato liberato dal coccodrillo che infestava le paludi circostanti, manco fossero le rive del Nilo.

In realtà il santuario è legato alla volontà di Francesco Gonzaga che, per grazia ricevuta, lo fece costruire in segno di ringraziamento alla Madonna per aver fatto cessare la pestilenza del 1398.

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(Nel santuario. Ai lati, i manichini e gli ex voto       foto per gentile concessione della Città di Curtatone)   

Superata la meraviglia per l’incontro con il coccodrillo, ce ne sono altre a colpire il visitatore. Infatti, lungo i lati dell’unica navata, sui pilastri di legno è tutto un rincorrersi di cuori, mani, occhi, bubboni pestiferi e seni femminili. Sono tutti ex voto, che riguardano guarigioni, più o meno miracolose, comunque degne di un segno di ringraziamento. Una decorazione continua fatta in cera, che arricchisce i pilastri che delimitano, su due file, ottanta nicchie. In quelle, a grandezza naturale, manichini di cartapesta che raffigurano a grandezza naturale i vari miracolati. Uno spettacolo unico nel suo genere. Le statue superstiti sono 40. Vestite di panni ottocenteschi, grazie a un restauro deciso per il Giubileo del 2000, non dimostrano tutti i secoli che hanno. A ogni statua corrisponde un medaglione sul quale è ricordato il miracolo. Quasi un fumetto, scritto in italiano volgare, anche se si pensa che le didascalie originarie, del 1400, fossero in latino.fiera 2018-sagrato serajpg

(I madonnari dell'Assunta   foto per gentile concessione della Città di Curtatone)   

La statua più popolare è quella di Giuanìn dla mazoeula (Giovannino con la mazza). Il testo recita: “PER MIO DELITTO CONDANNATO A MORTE, E INVAN DATOMI UN COLPO IL GIUSTIZIERE L'ALTRO SOSTENNE POR TUA DESTRA FORTE”. Il giustiziere in questione è il Giovannino della vulgata più diffusa. C’è anche la statua del disgraziato gettato in un pozzo con una pietra al collo e salvato per intervento della Madonna: “FUOR D'ESTO POZZO USCII LIBERO E SCIOLTO COL GRAVE SASSO, CHE PENDEA DAL COLLO, PERCHÉ FUI DA LE TUE BRACCIA ACCOLTO”. E poi c’è l’impiccato, poi quello appeso per le mani… Insomma, le storie più raccapriccianti avvolte da un alone di mistero e meraviglia, che nei secoli hanno tenuto banco, conquistando l’attenzione dei visitatori. Queste statue sono anche entrate nella storia del cinema, grazie a Bernardo Bertolucci, che proprio qui girò la scena del patto tra agrari e fascisti contro lo sciopero dei contadini e dei mungitori che chiude l’atto primo di Novecento.

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(foto per gentile concessione della Città di Curtatone)   

Non è finita. In una delle cappelle più vicine all’altare, sulla destra, c’è il magazzino della devozione popolare, così come è venuto accumulandosi negli anni. Una miriade di stampelle di legno pende dal soffitto e dalle pareti, a testimonianza dei guasti della prima guerra mondiale. Protesi di tutti i tipi e dimensioni. Disegni, quadri e quadretti, cuori disegnati e ricamati, ex voto di produzione seriale o familiare. C’è persino il pallone portato in dono e processione dopo che nel 1961 il Mantova, inteso come squadra di calcio, approdò in serie A. E c’è poco da ridere, perché dall’A.C. Ozo Mantova in quegli anni allenato da Edmondo Fabbri, non uno qualsiasi, uscirono calciatori come il portiere della nazionale William Negri, Angelo Benedicto Sormani, Karl Heinz Schnellinger, Gustavo Giagnoni. Ma che ve lo dico a fa'?DSC00139JPG

(foto  per gentile concessione della Città di Curtatone)  

Il corredo di ex voto, almeno fino a qualche anno fa, era completato da una prodigiosa galleria di tavole in legno dipinte o fatte dipingere dai miracolati. Ricordo che le avevo fotografate tutte, con una Olympus OM-10, con pellicola Ilford in bianco e nero. Un giorno ritroverò quelle foto, finite chissà dove. Erano, quei quadretti, piccoli capolavori di straordinaria forza narrativa. Avevano ben poco da invidiare a certe opere di Ligabue o Cesare Zavattini. Un patrimonio preziosissimo di cultura popolare, custodito con noncuranza nelle stanze dietro la sagrestia.

Un luogo a metà strada tra terra e cielo come questo santuario, nato dalla volontà di un signore come Francesco Gonzaga e tenuto in vita dalla sensibilità della gente comune, non poteva non attrarre anche chi nella vita aveva respirato aria di corte. E infatti. Addirittura alla mano di Giulio Romano si deve il progetto per la cappella mausoleo, appena entrati a destra, dedicata all’umanista Baldassarre Castiglione. La commissionò, “superstite al figlio contro il suo desiderio”, la madre Luigia Gonzaga. Mica paglia.


*FABIO ZANCHI (Da piccolo guidava trattori e mietitrebbie. Da giornalista, prima all’Unità e poi a Repubblica, ha guidato qualche redazione. Per non annoiarsi si è anche inventato, con Nando dalla Chiesa e altri spericolati, il Controfestival di Sanremo, a Mantova


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