Giobbe, la camorra e l’acqua miracolosa

di EMILIO RADICE* 

Chissà se quell’acqua sapeva, chissà se essendo magica, anzi divina, era consapevole del suo destino. E chissà se ogni chilometro, se ogni giro di ruota della mia moto, abbia avuto coscienza di essere un tramite, un frammento fatale, che avrebbe congiunto la fonte di Urfa, l’antica e biblica Edessa, alle labbra di un camorrista napoletano. Può darsi, sì, perché tutto di questa storia appare come il distillato del sacro, in una trama a cui ha dato un tocco persino Abramo. Anche se è Giobbe il vero protagonista e uno dei boss del Rione Sanità (clan Misso) l’inatteso beneficiario finale.

Tutto inizia quando, in sella alla mia Poderosa, tempo addietro intrapresi il mio ennesimo viaggio turco per digradare dalla severa terra di Erzurum verso Bingol, Elazig, Diyarbakir e infine Urfa passando per Siverek. Il segno di una forza suprema già si era manifestato all’altezza di Elazig, quando da dietro una collina si era profilato massiccio, dritto davanti a me, il muso di un elicottero Apache armato di missili, come nella cavalcata delle valchirie di Apocalipse Now. Avrei poi saputo che proprio il giorno prima la guerriglia curda guidata dal Pkk aveva rotto uno dei tanti effimeri armistizi attaccando e uccidendo in zona una decina di soldati turchi. Io stavo sfiorando la rappresaglia.

Diyarbakir ponte sullEufrateJPG(Diyarbakir, ponte sull'Eufrate             foto di Emilio Radice)

Ma forse per narrare questa storia bisogna andare molto, molto più indietro. Forse tutto è incomiciato quando Satana un giorno decise di mettere Giobbe alla prova. “C’era nella terra di Uz – narra l’Antico Testamento - un uomo chiamato Giobbe: integro e retto temeva Dio ed era alieno dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie , possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine…”. Intanto da noi altre pagine avrebbero raccontato di faide camorriste fra i Misso e i Giuliano, di stragi, di bombe, di morti ammazzati.

E un giorno Dio decise di mettere alla prova la fede di Giobbe servendosi del Demonio. Satana disse al Signore: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla? (….) Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai se avrà ancora fede in te!”. Allora Dio rispose: “Ecco, quanto possiede è ora in tuo potere, fanne quello che vuoi, ma non uccidere lui”. E il Diavolo giorno dopo giorno distrusse tutti i beni di Giobbe, uccidendo asini e buoi, poi i cammelli e poi ancora le pecore. Infine gli uccise tutti i figli e le figlie. Finché Giobbe si schiantò in ginocchio rivolgendosi a Dio: “Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi tornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”.

Sanliurfa casa di AbramoJPG(SanLiurfa, casa di Abramo        foto di Emilio Radice)

Intanto la mia motocicletta, lasciata la terra di Diyarbakir, scendeva verso i confini siriaci puntando su Urfa, l’antica Edessa città nativa di Abramo e di Giobbe, più recentemente chiamata “La grande” (Sanli, da cui oggi Sanliurfa) in ricordo di una vittoriosa battaglia di inizio ‘900 contro truppe coloniali francesi. Nel mentre a Napoli fazioni di questa e quella camorra continuavano ad arricchirsi e ad ammazzarsi e forse anche lì Dio stava per decidere la prova estrema con qualcuno di loro: “Pentiti, rinuncia ai tuoi beni, se vuoi che per te resti generosa la misericordia di Dio”.

Ad Urfa ogni pietra racconta la Bibbia e ogni gesto che la sua gente vi compie soppesa almeno un granello di sacro. Si compiono passi su terre e percorsi narrati da antichi profeti, si bagnano le dita in acque create direttamente dall’Onnipotente. Nel quartiere di Golbasi, cioè in pieno centro, centinaia di carpe intoccabili nuotano nelle due vasche, Balikli Gol e Ayn-i-Zeliha, che sotto una rupe raccolgono l’acqua fatta sgorgare da Dio per salvare Abramo, precipitato dal pagano re assiro Nimrod. Le donne vi lavano i piedini dei loro bimbi. Si bagnano la fronte e pregano con labbra mute e febbrili come davanti a una enorme acquasantiera. Dove l’acqua sgorga viene anche bevuta, anche condivisa con te che sei uno straniero, con tocco di dita, con mani a conca per dissetare. Vengono pronunciate parole difficili da capire ma intanto chiarissime nel loro messaggio di condivisione, in cui sembra ogni tanto di udire un suono di “amen”.

Poi, a un chilometro circa in direzione sud, c’è la Grotta di Giobbe (Eyyup Peygamber Makami), perché Satana con lui non aveva finito. Dopo avergli fatto morire figli ed armenti, lo aveva fatto abbandonare dalla moglie, lo aveva fatto ammalare di scabbia, lo aveva ridotto a vivere in una grotta, unicamente dissetato da una fonte sorgiva. Ed è lì che Giobbe consumò, nella miseria più nera, deriso e maltrattato anche dai ragazzini, i sette anni della sua infinita pazienza, la Pazienza di Giobbe. Mentre anche a Napoli l’infinita pazienza della città “fotte e chiagne” da secoli.

Sanliurfa le vasche sacreJPG(SanLiurfa, le vasche sacre        foto di Emilio Radice)

Così alla fine Satana ebbe torto e Dio ricompensò Giobbe per la sua fede. Antico Testamento: “Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima (….) ed egli possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie (…) visse ancora centoquaranta anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni”. Sulla moglie fedifraga, invece, anche la Bibbia sorvola.

Oggi la Grotta di Giobbe, al pari delle Vasche di Abramo, è un luogo di devozione intensa e popolare. In uno spazio polveroso e parzialmente conteso da architetture islamiche uno scende una rampa di gradini per andare sotto la terra, in quell’antro sacro, e condividere il silenzio e i sussurri con donne vestite di nero e barbuti uomini, spesso anziani, che sgranano i loro rosari (i turchi tesbih). La fonte sgorga copiosa, la gente beve perché l’acqua è miracolosa e ridona la vita a chi sta perdendola, la pace agli inquieti. A pochi chilometri c’è il confine della guerra siriana. Di quell’acqua ci dovrebbe essere un fiume…

Io ne presi un paio di bottiglie e me le portai appresso, nelle borse della mia motocicletta, fino al mio ritorno a Roma. E qui si salda la storia di Giobbe con quella dei Misso. Perché la prima bottiglia fu molto contesa, inaspettatamente, da mille amiche che ne vollero ognuna almeno una goccia. Ma la seconda…..

Avevo conosciuto Massimiliano Misso durante un mio lavoro sul carcere di Rebibbia, anzi per la precisione sull’opera della Cooperativa 29 Giugno, quella che di lì a poco sarebbe stata travolta dall’inchiesta su Mafia Capitale (della quale non parlo ma su cui ho sempre avuto notevoli perplessità….). Misso, semilibero, lavorava per la Cooperativa e, a suo dire, aveva consumato una profonda redenzione spirituale, oltre che giudiziaria. Disprezzava di essere stato un boss temuto, anelava a una vita comune e perbene. Credeva profondamente in Dio. Come Giobbe?

Sanliurfa pellegriniJPG(SanLiurfa, pellegrini        foto di Emilio Radice)

Non ricordo ora come parlando con lui il discorso cadde su quella mia visita a Urfa, ad Abramo e alla grotta sacra. Fatto sta che quando gli dissi della bottiglia di acqua che mi era rimasta il suo volto si illuminò: “Me la dai? Ti prego, non è per me ma per mio padre…”. Il padre di Michelangelo, uno dei capoclan, era in ospedale gravemente malato. Gli dissi di sì. E qualche mattina dopo ero alla stazione di Zagarolo, sulla linea Roma-Caserta, con la bottiglia di Acqua di Giobbe ben chiusa in una sacca di plastica. Il treno regionale si fermò, Michelangelo Misso si sporse da uno degli sportelli e io gli passai quell’acqua e un saluto. L’acqua non si nega a nessuno, come Dio non la negò nella Bibbia neanche a quel suo disgraziato fedele. In cambio della sua devozione.

Antico Testamento: “…Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni…”.


*EMILIO RADICE (Nato nel 1949 a Roma, a metà strada fra la Napoli paterna e la Livorno di mammà, ha lavorato prima a Paese Sera poi a Repubblica. Motociclista convinto, spesso si perde in lunghi viaggi solitari alla ricerca di tracce filosofiche e reali)


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