Free Wheels, in hand bike sul Cammino di Santiago

di PIETRO SCIDURLO con ANGELO MELONE*

“Andare in bicicletta mi ha cambiato letteralmente la vita”. Lo ripete spesso Pietro Scidurlo. E la sua vita, da persona con mobilità ridotta sin dalla nascita, non è stata delle più semplici, anche con profondi periodi di crisi. Fino a lei, alla sua handbike lanciata sulla rotta del Camino di Santiago. La bicicletta che ha rivoluzionato il suo modo di essere e le cose che – da allora – fa, compreso l'aver dato vita a “Free Wheels Onlus”, una organizzazione che disegna itinerari accessibili a tutti. E, finora, li hanno percorsi quasi in diecimila.

Ma andiamo con ordine e lasciamolo raccontare (purtroppo dallo schermo di un computer). “La verità è che all’inizio un amico mi aveva avvicinato alla barca a vela. Mi affascinava scivolare sull’acqua con il vento tra i capelli, grande senso di libertà. Ma poi dovetti fare i conti: costava più di quanto potessi permettermi. E allora un altro amico butta lì: comprati una bicicletta”.

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(Verso Santiago)

E ecco il primo ostacolo da superare, sembra facile: “Ti scontri con la dura realtà, se tu vai in un grande emporio con qualche centinaio di euro te ne porti via una, magari brutta. Ma se Pietro vuole la bici… 5, 6mila euro. Non li avevo, ma a rate e con qualche aiuto…”

La handbike è finalmente in garage, in attesa. Fino a che non arriva un altro amico che ha appena fatto il Cammino di Santiago: “Perché non vai a farlo anche tu? A me queste robe che hanno a che fare con la religione non piacciono, lascia stare. Ma la verità è che durante un ricovero avevo letto libri e testimonianze di persone che erano tornate cambiate, e il Cammino stava già lavorando dentro di me. La bici mi permetteva di essere libero come quasi tutti gli altri e di andare quasi ovunque. Ma ora c’era un obiettivo, un sogno. E’ iniziata l’avventura e non mi sono più fermato”.

Niente sfide fisiche. Allenamento, certo, come per chiunque pensi di affrontare grandi viaggi solo con i propri mezzi. “Ma il discorso vero è che io non avevo mai accettato la mia condizione di disabilità e mi sono detto: magari lungo il Cammino trovi le risposte che stai cercando. Le ho trovate? No. Ma ho trovato la strada da seguire, che è anche provare ad aprire l'esperienza del Cammino (e di altre mete) sempre più e a più persone. Verso Santiago ho fatto pace un po' con me stesso e, insieme, penso di essere diventato uno strumento per far sì che altri possano vivere queste esperienze”.

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(Verso Santiago)

E qui viene un punto da chiarire: cosa è “andare in handbike”? Pietro lo spiega così: “Innanzitutto bisogna capire cosa significa andare a piedi per la persona con disabilità. Significa spostarsi in carrozzina, perché i miei piedi sono la mia carrozzina. La prima l’ho avuta sotto le chiappe a 5 anni. E mi metto nei panni dei miei genitori: vai tu a spiegare a un bambino che di fatto non aveva mai camminato che da quel momento si poteva spostare non nel passeggino spinto dalla mamma ma in maniera autonoma. Cadute, sbucciature, però già stavo coltivando la mia sete di autonomia e di libertà”. E, adesso, veniamo alla bicicletta. “Handbike vuol dire andare con una bicicletta spinta a forza di braccia. C’è una bella differenza che in genere non si intuisce. Non si spingono i pedali con il quadricipite femorale, che è un muscolo enorme e fortissimo, ma col bicipite del braccio che è molto più piccolo (per tutti). E infatti si pedala con tutte e due le braccia contemporaneamente, altrimenti non ce la fai”.

Pietro rompe gli indugi, si allena per centinaia di chilometri (“Fai almeno gli 800 del tragitto, mi avevano detto”) e l’avventura inizia, con il problema del tempo: non più di due settimane di ferie concesse dalla sua azienda. “Sono partito con il fantasma del tempo, con il fantasma delle salite e con l’ansia della gestione di tutti i problemi legati alla mia disabilità: le necessità fisiologiche, dove andare a dormire. Ma, insomma, ho infilato nello zaino paure, dubbi, domande e mi sono detto 'Va' con Dio' e vediamo quel che succede”.

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(Verso Santiago)

“E’ successo tutto quello che non mi aspettavo. Ho trovato nel cammino la mia ragione di vita e quindi ho fondato una realtà che vuole comunicare questa esperienza. Tengo molto a dire che non sono stato la prima persona con disabilità a fare il cammino di Santiago, se ho avuto un merito è che sono stato il primo a comunicare come lo si possa fare. Tutto quello che è venuto dopo nasce da questo. Non sono partito alla ricerca di fama, ma di perdono per me stesso, per come la mia disabilità aveva condizionato tutto il mondo intorno a me, dalla famiglia alle amicizie”.

Almeno 50 chilometri al giorno. “Difficoltà? Tante ma tutte superate. Indimenticabile la salita pirenaica, quando per 25 chilometri ti chiedi solo quand’è che finisce. Un altro momento difficile l'ho avuto nella regione della Roja quando ho scoperto che l’albergo dove dovevo arrivare non era accessibile, informazioni sbagliate, e ho dovuto fare ancora 12 km senza acqua per raggiungerne un altro, che si è rivelato un posto incantevole non solo per le strutture ma per l’accoglienza meravigliosa. E poi – sembra un paradosso – un incubo è stato arrivare al chilometro zero: sei a Finisterre ma non sai che ci sono tre chilometri e mezzo di salita per raggiungere il faro sull’oceano. Non ne potevo più”.

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(Free wheels onlus / foto ambasciatore di V. Muscella per il progetto "A ruota libera")

Al ritorno è nata l’idea della onlus Freewheels. Pietro racconta di aver avuto l’esigenza di dire agli altri “Guarda che queste esperienze, questi viaggi zaino in spalla li puoi fare anche tu. La tecnologia ha fatto passi da giganti sulle handbike, se ti serve ci sono delle biciclette a pedalata assistita anche per noi”. E con l’associazione ha iniziato a organizzare viaggi, soprattutto sperimentare percorsi e raccontarli con tutte le varianti e le strutture adatte. “C’è un solo modo per disegnare un percorso, farlo. Chi lo segue deve sapere che quando arriva a un bivio e gli dico ‘vai a sinistra’, è perché sono andato prima a destra ed era la strada sbagliata”.

“Ora questo è il mio impegno sociale, quello che ti fa andare a letto col sorriso e rispondere alla tua ragazza che sei felice perché anche in quella giornata hai viaggiato, stando fermo ma hai viaggiato costruendo percorsi per altri”. Con una battuta che Pietro ogni tanto ripete in tutta la chiacchierata: “Il destino non puoi cambiarlo, ma lo puoi almeno piegare”.


*PIETRO SCIDURLO (Classe 1978, Pietro Scidurlo studia per diventare geometra ma poi prende la strada dell'informatica. Collabora ad una startup divenuta oggi una delle piattaforme di ecommerce più conosciute per poi scoprire la sua vera passione per i viaggi. Percorre a piedi o in bicicletta più di 9000 km e nel mentre fonda Free Wheels onlus con l'obiettivo di aprire l'esperienza del cammino anche a persone con bisogni specifici. E ci riesce. Pubblica la guida "Santiago per tutti" di Terre di Mezzo Editore e permette a Free Wheels di aiutare circa 10mila persone ad incamminarsi. Pietro ha appena pubblicato "Per chi vuole non c'è destino").

*ANGELO MELONE (Nato nel '56, giornalista prima a l'Unità poi a Repubblica. Ama fare molte cose. Tra quelle che lo avvicinano a questo sito: la passione per i viaggi, tanta bicicletta e i trekking anche di alta quota)  


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