Francia all'asciutto da 36 anni, la maledizione del Tour
di PAOLO BRANCA*
E i francesi che si incazzano... Ma questa volta Bartali e gli italiani non c'entrano o c'entrano molto poco, sono soprattutto gli spagnoli, gli inglesi, gli americani a fregiarsi del loro trofeo più amato, il Tour de France, dall'ormai lontano 1985. E' quello l'anno dell'ultimo successo transalpino, targato naturalmente Bernard Hinault, il suo quinto. E l'anno precedente era stato un altro francese, l'indimenticabile Laurent Fignon, il ciclista-filosofo, a conquistare la corsa.
Ma da allora più niente. La maglia gialla sugli Champs Elisees l'hanno indossata dieci volte gli americani (ma sette successi, quelli di Lance Armstrong sono stati poi revocati), dieci volte gli spagnoli (con la cinquina di Indurain), sei gli inglesi, due italiani (Pantani e Nibali), un irlandese, un danese, un tedesco, un australiano, un lussemburghese, un colombiano, fino allo sloveno Tadei Pogacar, l'ultimo giovanissimo vincitore, che si candida a diventare il nuovo "cannibale" e a tante altre vittorie, a cominciare dall'attuale edizione, la numero 108, nella quale oggi è in quinta posizione, immediatamente prima del nostro Vincenzo Nibali.
(foto A.S.O. / Pauline Ballet)
Per i francesi tutto questo rappresenta oggettivamente uno smacco. Il Tour è la manifestazione più amata e suggestiva, il simbolo della grandeur sportiva (e non solo), addirittura più del calcio: tanto più dopo la disfatta europea di Mbappè e compagni. Al punto che dagli organizzatori dell'Aso negli scorsi mesi è stata lanciata la proposta di una clamorosa riforma dei calendari diretta ad accorciare di una settimana, da tre a due, i giri d'Italia e di Spagna per rimarcare anche formalmente il primato della loro corsa. Proposta rispedita al mittente, naturalmente.
Del resto non è che ci sia bisogno di marchingegni organizzativi per ribadire quel primato. Oltre a essere la corsa più antica, il Tour è la manifestazione più importante di tutta la stagione, la più ricca e la più prestigiosa. Non è un caso se è in terra di Francia che si danno appuntamento nel torrido mese di luglio i principali protagonisti dello sport della bicicletta, i campioni - ormai è il caso di dirlo - di tutti i continenti. Anche questa volta è andata così così.
Ma di Francia se ne vede pochina. Tutta o quasi concentrata sull'idolo attuale, il campione del mondo Julian Alaphilippe un fuoriclasse capace di grandi imprese di giornata ma non il numero uno nelle grandi salite. Forse meglio in montagna pedala David Gaudu, giovane promessa bretone cresciuto alla corte di Thibaut Pinot, l'ultimo francese che è stato sul punto di sfatare la maledizione del Tour. Accadde nell'edizione pre-Covid, quella del 2019, ma un banale incidente, il ginocchio sbattuto in salita contro il manubrio, lo mise fuori gioco mentre appariva in stato di grazia e si apprestava a sferrare l'attacco decisivo al colombiano Bernal. Da allora solo altre cadute e incidenti: Pinot è così diventato l'emblema della dannazione del ciclismo francese. Un po' come Raymond Poulidor, un mito, un combatente molto amato eppure mai un giorno in maglia gialla: ma allora almeno c'era Anquetil con cui rivalersi agli occhi del mondo.
(foto A.S.O. / Charly Lopez)
Oggi così più che incazzati i tifosi francesi si scoprono amareggiati e forse rassegnati. Almeno questa volta potranno risparmiarsi altre scene di sfortuna del loro ex beniamino: Pinot ha deciso infatti di rinunciare, guarda il Tour in tv e dedica molo tempo a Kim-Goat, la capretta "adottata" alla quale ha persino dedicato un profilo Instagram. Una capretta non è proprio un simbolo di grandeur, ma sicuramente rende più simpatica tutta la faccenda.
E i francesi che si incazzano... Ma questa volta Bartali e gli italiani non c'entrano o c'entrano molto poco, sono soprattutto gli spagnoli, gli inglesi, gli americani a fregiarsi del loro trofeo più amato, il Tour de France, dall'ormai lontano 1985. E' quello l'anno dell'ultimo successo transalpino, targato naturalmente Bernard Hinault, il suo quinto. E l'anno precedente era stato un altro francese, l'indimenticabile Laurent Fignon, il ciclista-filosofo, a conquistare la corsa.
Ma da allora più niente. La maglia gialla sugli Champs Elisees l'hanno indossata dieci volte gli americani (ma sette successi, quelli di Lance Armstrong sono stati poi revocati), dieci volte gli spagnoli (con la cinquina di Indurain), sei gli inglesi, due italiani (Pantani e Nibali), un irlandese, un danese, un tedesco, un australiano, un lussemburghese, un colombiano, fino allo sloveno Tadei Pogacar, l'ultimo giovanissimo vincitore, che si candida a diventare il nuovo "cannibale" e a tante altre vittorie, a cominciare dall'attuale edizione, la numero 108, nella quale oggi è in quinta posizione, immediatamente prima del nostro Vincenzo Nibali.
(foto A.S.O. / Pauline Ballet)
Per i francesi tutto questo rappresenta oggettivamente uno smacco. Il Tour è la manifestazione più amata e suggestiva, il simbolo della grandeur sportiva (e non solo), addirittura più del calcio: tanto più dopo la disfatta europea di Mbappè e compagni. Al punto che dagli organizzatori dell'Aso negli scorsi mesi è stata lanciata la proposta di una clamorosa riforma dei calendari diretta ad accorciare di una settimana, da tre a due, i giri d'Italia e di Spagna per rimarcare anche formalmente il primato della loro corsa. Proposta rispedita al mittente, naturalmente.
Del resto non è che ci sia bisogno di marchingegni organizzativi per ribadire quel primato. Oltre a essere la corsa più antica, il Tour è la manifestazione più importante di tutta la stagione, la più ricca e la più prestigiosa. Non è un caso se è in terra di Francia che si danno appuntamento nel torrido mese di luglio i principali protagonisti dello sport della bicicletta, i campioni - ormai è il caso di dirlo - di tutti i continenti. Anche questa volta è andata così così.
Ma di Francia se ne vede pochina. Tutta o quasi concentrata sull'idolo attuale, il campione del mondo Julian Alaphilippe un fuoriclasse capace di grandi imprese di giornata ma non il numero uno nelle grandi salite. Forse meglio in montagna pedala David Gaudu, giovane promessa bretone cresciuto alla corte di Thibaut Pinot, l'ultimo francese che è stato sul punto di sfatare la maledizione del Tour. Accadde nell'edizione pre-Covid, quella del 2019, ma un banale incidente, il ginocchio sbattuto in salita contro il manubrio, lo mise fuori gioco mentre appariva in stato di grazia e si apprestava a sferrare l'attacco decisivo al colombiano Bernal. Da allora solo altre cadute e incidenti: Pinot è così diventato l'emblema della dannazione del ciclismo francese. Un po' come Raymond Poulidor, un mito, un combatente molto amato eppure mai un giorno in maglia gialla: ma allora almeno c'era Anquetil con cui rivalersi agli occhi del mondo.
(foto A.S.O. / Charly Lopez)
Oggi così più che incazzati i tifosi francesi si scoprono amareggiati e forse rassegnati. Almeno questa volta potranno risparmiarsi altre scene di sfortuna del loro ex beniamino: Pinot ha deciso infatti di rinunciare, guarda il Tour in tv e dedica molo tempo a Kim-Goat, la capretta "adottata" alla quale ha persino dedicato un profilo Instagram. Una capretta non è proprio un simbolo di grandeur, ma sicuramente rende più simpatica tutta la faccenda.
*PAOLO BRANCA (Cagliaritano, 1958. Giornalista in pensione dopo una vita professionale trascorsa interamente a l'Unità. Tra i suoi vanti aver visto il Cagliari vincere lo scudetto e aver corso sei volte l’Eroica da 135 chilometri)
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