Dizionario istriano d'un sannita

di ARTURO CIOFFI*


Abbazia (Opatija)

Splendore asburgico di ville e palazzi, fruscìo di antiche principesse danubiane dai delicati polmoni e col vitino di vespa frutto di sevizie ancillari, giardini esagerati, effluvi di torte viennesi, caffè e cioccolata calda. C’era la gvèra e dagli hotel requisiti uscivano, per furtive passeggiate, ex prigionieri dei Serbi, in convalescenza, scheletri semoventi a capo chino, vergognandosi del proprio aspetto, e fors’anche di quello che avevano combinato nella Bosanska Krajina, al pari dei loro odiati ex cugini agli ordini di Slobodan Milošević.

Banana (Fratelli)

A Pola, dalle parti di Stoja, in una delle mille insenature che frastagliano quel tratto di costa, passato il Cimitero Marino, dopo una sosta presso la bottega dove vendono la biska che bevi a prezzi socialisti,superata che hai la vecchia villa liberty di Alida Valli (una comitiva: Baronessa Alida Maria Laura Altenburger von Marckenstein-Frauemberg) arrivi dove ti hanno mandato, dai fratelli Banana, in realtà gemelli, uno elettricista e l’altro idraulico, una coppia di indispensabili e complementari artigiani.

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Una villetta lunga e bassa, a piano rialzato, con due appartamenti separati dalla solita entrata balaustrata in gesso bianco e con scivolosi gradini. Li stava lavando la nodosa signora alla quale chiesi se ero arrivato dai ricercatissimi Banana Brothers. Da queste parti tutti parlano l’italiano ma si incazzano in croato. E troppo tardi compresi che non potevano chiamarsi veramente Banana e dai ripetuti kuraz di Mme Banana Uno o Due dedussi pure che non erano appassionati di frutta esotica. Il vecchio Zoran Lilić, che conosce tutti, mi raccontò in seguito della loro esuberanza e di come fino a gioventù avanzata usassero alternarsi quando andavano in camporella con le ragazze senza declinare con le malcapitate le giuste generalità. Malcapitate non so.

Bene, facevano Miniussi di cognome ed il padre era originario di Monfalcone. Alla Liberazione e poco dopo, un numero considerevole di operai comunisti dei Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico varcò il confine per concorrere alla costruzione del Socialismo in Jugoslavia. Molti trovarono lavoro ai Cantieri Uljanik di Pola.

Poi accadde l’impensabile. Tito ruppe con Stalin e i comunisti italiani no. Gli edificatori del socialismo monfalconesi, comunque la pensassero individualmente, vennero assimilati agli stalinisti e caddero in disgrazia. Nessuno, a livello internazionale, si curò di loro, per opposte convenienze. Disgrazia tremenda, perché gran parte di loro fu internata a Goli Otok, l’Isola Calva ( Goli – Golgota – Monte Calvo) un luogo orrendo di espiazione, che induce chi la visita, oggi è disabitata, a profonde riflessioni sui nostri disinformati sogni giovanili. Il compagno Miniussi ne sopravvisse, fu riabilitato e lì restò. Mise su famiglia, ebbe i citati due gemelli a metà degli anni Cinquanta. Come accennavo in esordio, costoro mal intesero il diritto alla rivalsa del genitore, applicandosi a fiocinare con metodo e ardore intere brigate di Giovani Comuniste Titine.

Cimitero Marino di Pola (breve spin – off dal precedente)

In un terso Due Novembre, mi trovavo a Pola e volli onorare i miei defunti al Cimitero Marino. Un familiare cenotafio, insomma. Rimasi attratto da quella Spoon River di marinai, di mogli e di figli di capitani di mercantili uccisi da febbri maligne e sepolti con amore, sì da suscitare, dopo un paio di secoli, il dono di un fiore ad una sconosciuta “my beloved Elizabeth”. Attirò presto la mia attenzione una tomba quasi nuova e ben adorna.

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Era di Nazario Sauro, il patriota irredentista istriano, impiccato a Pola il giorno di San Lorenzo del 1916, non senza aver prima rifiutato i Sacramenti dal prete austriaco e poi morso la mano al boia che lo voleva bendare. Mi ricordai pure di essere stato in barca, mentre andavo a calamari, di aver evitato l’isolotto della Galiola, sui cui scogli il suo sottomarino si schiantò alla sessantaduesima  missione e il nostro eroe fu catturato prima che i due piccioni viaggiatori che aveva spedito allertassero i soccorritori.

E mi sovvenne infine, in preda a grande perplessità, di aver già visto la sua tomba al Tempio Ossario del Lido di Venezia e dissi tra me e me, senza alterare la mia compunzione: “Ohibò, dopo la bilocazione di Sant’Antonio da Padova e Lisbona non ci siamo fatti mancare nemmeno la biloculazione dell’irredentista!”. Me ne vergogno ancora…

Mušula (Školika Mušula)

L’Istria termina, a due passi da casa mia, con la penisola di Premantura, un parco naturale rimasto intatto e ricco di specie protette, vegetali e animali. La Foca Monaca, la Pinna Nobilis, la più grande bivalve del Mediterraneo, dietro la quale si può celare un sub. Termina col roccioso Kap Kamenjak, popolato da tuffatori matti di tutta Europa, in cerca del loro Mercoledì da Leoni. Tutto qui è intatto e disabitato, grazie al Maresciallo Tito che per cinquant’anni ne aveva fatto una base militare all’incrocio tra il Quarnero e il Golfo di Trieste. Coperti da vegetazione selvaggia, si intravedono ogni tanto bunker e torrette poste in modo da poter cannoneggiare a 360 gradi.

Nelle trattorie di Premantura, solo se accompagnato da un fidato istriano, ti cucinano i datteri di mare, un corpo del reato ottenuto frantumando scogliere con piccole cariche di dinamite. Se sei solo, assaggi le Mušule, e passi dalle grandi alle piccole valve. Le trovi da Giovanni, che a dispetto del nome è albanese. Hanno la vaga forma di un calcareo e corrugato cavalluccio marino, si cuociono alla piastra o spadellate con altro conchigliame. Se le affronti, le apri con facilità rimuovendo una specie di pirolino situato in un punto chiave.

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Quanto all’aspetto interiore, che sospetto vi abbia già intrigato, giocoforza devo esser laconico, se non riservato. Mi limito al color rosa carico mentre la forma, inequivocabile, è quella della sineddoche del fattore che, unitamente a Bacco e Tabacco, riduce l’uomo alla condizione del povero Lazzaro. Magari è una metonimia, ma è prudente fermarsi qui con una citazione alla Gian Maria Volonté: “Sono membro del Partito Comunista e non ho altro da aggiungere”.

Pisino (Pazin)

L’Istria non si fa incantare dal mare, è concava, attratta da misteriosa entropia verso il suo centro. Il primo despota della libera Croazia, Franjo Tuđman, fece di questo paesino millenario la capitale della zupanja istriana, a dispetto della liberal Pola, che è sempre stata una specie di Lugano Bella, ospitando tutti i fuoriusciti dei Balcani. Qui passarono i Patriarchi di Aquileia, i Conti di Gorizia, i margravi dello Grafschaf Mitterburg, di qui scapparono i napoleonici che avevano preso la rincorsa a Venezia. Su Pazin incombe un minaccioso castello, periclitante su un profondo, dantesco imbuto, di cui a stento si vede il fondo. Qui precipita e scompare, destinato ad ignoto mare, il fiume Foiba, un nome che i saggi istriani non amano più e non pronunciano mai, custodi gelosi di mille anni di misteri e sparizioni. Ora lo chiamano Pazinčica, e siete pregati di non far loro tante domande, anche perché qui, in ogni villaggio di tre case, c’è un cippo ai caduti con la rituale Crvena Svijezda (Stella Rossa) che riporta tutti i cognomi della comunità.

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Quella volta che, un po’ turbato, mi allontanai dall’inquietante buco nero, dopo pochi tornanti collinari passai la Grimalda e mi ritrovai a Cerreto. Mancava solo “Sannita” per sentirmi a casa.

Finale deboluccio, ci piazzo questa: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”  (Gabriel Garcia Marquez).


*ARTURO CIOFFI  (Longevo Consulente Finanziario, nasce nel 1944 sul fronte della Quinta Armata nel Sannio ma mezzo napoletano e poi mezzo veronese nell'era ginnasiale. Mancato professore in lingue morte, approda nella finanza laica della Banca Commerciale. Completa il profilo diventando pure mezzo slavo, attratto dagli eccessi terribili e meravigliosi di quella cultura. Tra nuvole e numeri, scrive per rinfrescare l'ortografia)


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