Danke SüdTirol, omaggio a laghi, paesini e pompieri in uniforme

di TINA PANE*

Succedeva – era il 2014 e i figli appena adolescenti - che l’invito di alcuni amici per andare a passare qualche giorno di vacanza a casa loro in Trentino Alto Adige si trasformasse da vacanza in viaggio e ci facesse sentire di stare all’estero, non dico come a Londra l’anno prima, ma quasi.

Succede, oggi, che i figli si lamentino per questi viaggi fatti quando erano troppo piccoli per ricordare, e allora per ripagarli di questo vuoto ho tirato fuori le foto, l’agenda e il diario di viaggio; e a furia di ricordare e ricostruire, ho scritto questa cosa qua.

Al Colle

L’ascesa da Bolzano al Colle è una strada boschiva e di carreggiata strettissima che in dieci chilometri di kehren (tornanti) copre un dislivello di quasi 900 metri. Giù a valle lasci la vivace, afosa città e su a monte trovi l’aria già rarefatta delle cime dolomitiche.

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Quasi tutti qui ti indicano con la mano le cime, nome per nome: il Latemar, il Virgolo, il Corno Bianco…ma ho deciso di non applicarmi. Per una meridionale come me sono montagne, le montagne del Trentino Alto Adige, coperte di boschi o di neve, interrotte da valli e abitati, segnate da funivie e strade. Le prendo a scatola chiusa, come un insieme incombente e fascinoso, da cui è difficile staccare gli occhi.

Su al Colle, che è un insieme diradato di case e masi, il termometro segna anche sette, otto gradi meno che a Bolzano, una differenza che si avverte anche salendo con la Seilbhan, che vanta il primato di prima funivia al mondo per il trasporto di persone. Dalla stazione a valle, posta oltre l’Isarco nella zona sud di Bolzano, la cabina porta su in meno di 10 minuti, correndo per quasi tutto il suo percorso sopra un ripido sentiero a zigzag a tratti aiutato da corrimano.


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Al Colle ci sono case sparse, minuscoli orticelli, una stazione di pompieri che sembra uscita da una scatola Lego, un bar ristorante, due hof (alberghi), una scuola (Montessori!) e aria molto fina. Ma soprattutto c’è la natura: castagni secolari, funghi che è vietato raccogliere, camomilla selvatica che impregna gradevolmente l’aria, cespugli spinosi che nascondono frutti di bosco e improvvisi squarci di panorama: 

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verso lo Sciliar, verso Merano 2000, verso l’altipiano del Renon, che a osservarlo da qui sembra un enorme presepe col campanile sormontato da una cupola tonda che finisce a punta.

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La casa degli amici che ci ospitano è un elegante parallelepipedo regolare, dipinto di bianco, con la facciata punteggiata di piccole finestre con le imposte di legno rosso.

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La casa domina un’ampia spianata non asfaltata e vicinissima c’è una piccola chiesetta col campanile basso, che apre solo per ospitare matrimoni. Di fianco all’ingresso della chiesetta, due panche basse, comodissime, sono il pensatoio sui boschi di abeti.


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Ferragosto

La mattina del 15 agosto uno stendardo bianco e rosso, con la possente aquila tirolese, è stato issato di fianco al piccolo campanile della chiesetta, e sventola nel freddo e nelle nuvole. Dalla spianata già arrivano i rumori e le voci della gente della festa, i pompieri volontari e i loro familiari, bambini inclusi, che nei giorni precedenti hanno montato gli stand, le panche, i gazebo e il palco per la festa dell’Assunta.

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Già prima delle nove e nonostante la pioggia e i dieci gradi, la spianata è insolitamente affollata. C’è un manipolo di uomini serissimi in costume tirolese, disposti su due file, che all’ordine di un comandante stracarico di medaglie (Regiment! mi sembra che urli), armeggiano non proprio all’unisono col fucile, alternando attenti, riposo e spari in aria. C’è il prete che dice una lunga Messe in tedesco con l’accompagnamento della Musikcappelle e già un centinaio di persone che sono salite al Colle per la festa.

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Sembra una sagra ma è qualcosa di più: è lo sforzo condiviso degli abitanti della zona che si stringono intorno al corpo volontario dei pompieri con l’obiettivo di fare festa e raccogliere denaro. Ma vogliono anche divertirsi, e per farlo oltre alla Forst (chiara, scura e di frumento) a fiumi, oltre ai krapfen con la marmellata ai frutti di bosco, oltre naturalmente a wurstel e schnitzel (ahimè senza crauti ma con patate all’agro e fagioli), hanno organizzato l’intrattenimento musicale.

Alle quattro del pomeriggio, quando finalmente la pioggia smette e gli odori di brace iniziano a diradarsi, arrivano i tanto attesi Holladuo: hanno la faccia non proprio sveglissima di due bravi ragazzi tirolesi e con ammirevole impegno suonano pezzi ballabili fino a mezzanotte. A parte Una rotonda sul mare (sic) anche la musica parla tedesco come tutta la festa: la lingua con cui le persone comunicano, le insegne, la Preislist attaccata davanti al gabbiotto della Kassa, i grembiuli e le trecce annodate in testa delle donne, 

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le pettorine e i pantaloni alla zuava degli uomini, i volti rubizzi degli anziani, i ragazzi barcollanti di birra a fine serata. Qui gli stranieri siamo noi, che parliamo italiano, sentiamo freddo, riusciamo al massimo a finire la seconda birra.

Ed è tedesca infine anche la puntualità con cui la mattina dopo, in grande silenzio e sotto un sole beffardo, smontano tutto, riempiono i camion e lasciano la spianata vuota e pulita come l’avevamo trovata al nostro arrivo.

 

Süd Tirol

 

A Sterzing (Vipiteno), accanto all’ingresso del bel Municipio, c’è un manifestino che titola “Alto Adige /Süd Tirol: due nomi una realtà” e annuncia che per tutto il periodo estivo, ogni venerdì alle 18, si terrà una Conferenza sulla storia dell’alto Adige.



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Questa storia di due nomi una realtà non è faccenda da poco, da queste parti e, anche se mi sono documentata rispolverando memorie scolastiche e attingendo all’amica che ci ospita, sarei curiosa di sentire dalla viva voce del conferenziere come la doppia identità viene presentata.

Anche perchè le statistiche dicono che in tutta la provincia (autonoma) di Bolzano le persone che parlano tedesco come prima lingua sono il 70%.

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Bolzano (che subito diventa Bozen Bozen Bozen sulle note di Rawhide dei Blues Brothers) mi sorprende: non è la scialba città che mal ricordavo per averci passato un pomeriggio di oltre venti anni fa acquistando imitazioni delle Birkenstock a un terzo del prezzo delle originali. È una città quieta ma viva, attiva e affollata di turisti (quelli di Trento dicono che è caotica, punti di vista). Ha edifici bassi con gradevoli facciate dai toni pastello, qui è lì decorate con affreschi e insegne colorate. Ha portici accoglienti, una vasta zona pedonale servita da parcheggi costosi, bar e ristoranti dove si mangia a qualunque ora e negozi che però chiudono implacabilmente alle 19.



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Nella navata sinistra della cattedrale fa bella mostra di sè un grande cartellone con le foto dei “nostri bambini battezzati” mentre in fondo al transetto sta appesa una bacheca in legno con le pagelline dei morti, più donne che uomini, più nomi tedeschi che italiani. Nonostante i primati di vivibilità, mi dico, il saldo tra i vivi e i morti deve essere negativo pure qui, ed è un peccato perché ad averci un bambino da crescere lo potresti portare in bicicletta dappertutto: per le vie del centro, lungo le piste ciclabili fino al lago di Caldaro, o più semplicemente fino al Lungotàlvera, che è più di un lungofiume, è un parco immenso con il fiume da un lato e il centro storico dall’altro, steso per chilometri tra le montagne, con prati, giochi e passeggiate. Come quella fino a Castel Guncina che spunta come in un libro illustrato tra magnolie, fichi d’India, cipressi e cedri.

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Stando da queste parti, scopro la Statale 12, detta dell’Abetone e del Brennero. Sarebbe, anzi è, un’importante strada che attraversa cinque regioni italiane per un percorso di oltre 500 chilometri, ma per quello che riguarda noi è la strada del vino (Weinstrasse). Per un breve tratto, infatti, da Bolzano fino al lago di Caldaro (Kaltern), questa strada corre tra distese di vigneti - anche in quota - a perdita d’occhio.  Qui, tra il lago e le montagne, si è creato un microclima molto favorevole al vino e anche alle mele, che le guide definiscono di tipo mediterraneo.


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Nella passeggiata intorno al lago e sotto una pioggia fina scopriamo che qui le mele crescono su certi tronchetti alti un paio di metri, ordinatamente disposti in filiera, con i frutti che nascono già a 30 /40 cm da terra. È una bellissima coltivazione intensiva di Golden e Red Delicious, di Granny, di Gala, alle quali è arduo resistere senza allungare, disonesti, la mano.


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Intorno, il panorama straordinario dei vigneti pure accende il desiderio: qui si coltivano molte qualità di uva, tra le quali quelle con cui si fanno i più noti vini locali, come il Lagrein, il Pinot, il Riesling, il Cabernet e soprattutto il  Gewürztraminer che la sera stempera la stanchezza in allegria. 

Merano (Meran), anche per l’esperienza delle Terme, si conferma una cittadina molto turistica e dagli innegabili scorci asburgici. 

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Dopo una piacevolissima camminata sulla Passeggiata d’Inverno, dove un elegante porticato liberty (Wendelhalle) offre dipinti delle principali località del Süd Tirol, mentre accanto scorre tumultuoso il torrente Passirio, siamo andati a cenare nel cortile bellissimo del ristorante della Forst, dove abbiamo ceduto con vivo godimento allo stinco di maiale arrostito con patate.

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Siamo stati anche nella sterminata piazza Duomo di Bressanone



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 dove ad agosto già tengono affisso il programma dei mercatini di Natale e ad ammirare le Piramidi di Terra sul Renon, in mezzo a fiumane di turisti che forse manco a Lourdes. Abbiamo fatto il bagno al lago superiore di Monticolo (dove sarebbe vietato immergersi unti di solare e fare pipì per il rischio di eutrofizzazione del biotopo) e abbiamo mangiato torte bellissime e buonissime in tutte le Konditorei (pasticcerie) dove ci siamo fermati, ma soprattutto alla Peter di Bolzano.


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Abbiamo bevuto l’Hugo, che è la versione locale dello Spritz, e trovato ovunque, dico ovunque, indicazioni per escursioni, passeggiate, sentieri, vie ferrate e piste ciclabili. Abbiamo ammirato balconi e giardini fioriti di cura e di colori e le vetrine delle bäckerei (forni) che espongono pani speziati e conditi a non meno di 8 euro il chilo. Abbiamo visitato i mercatini di Bolzano coi finferli e i cestini di lamponi, i fiori, i formaggi e ogni altro genere alimentare, tutti tenuti da indiani, cinesi e srilankesi, e incontrato persone che pedalavano a qualunque pendenza e sotto qualunque cielo.

E abbiamo visto più legno che plastica, nella natura e nell’architettura, legno perfino sui pannelli anti rumore issati sui guard-rail dell’autostrada (del Brennero, ovviamente). 

E abbiamo incontrato gente educata, corretta, gentile, a volte un pochino rigida, ma che sorrideva, rispondeva al saluto, ringraziava.

A queste persone e al SüdTirol (Trentino Alto Adige, se preferite), 

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anch’io sorrido e dico grazie.

Anzi, scusate, danke.

 

* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)


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