Da Sidone a Tiro, il Libano dell'antica gloria

testo e foto di LUCA FORTIS*

Le onde del mare lambiscono le mura del Castello Marino di Saida, in italiano Sidone. La brezza marina e le correnti increspano il mare in mille sfumature blu e azzurre, come se rievocassero le vite che nei millenni hanno solcato questi mari e calpestato il suolo della città che fu fenicia.

Perdendosi nel centro storico si cammina là dove sono passati fenici, egizi, ebrei, persiani, greci, romani, bizantini, arabi, ottomani e francesi. Ognuno di questi popoli ha lasciato una traccia, un sedimento, qualcosa. Gli abitanti della città, come quelli più a sud, di Tiro, ne portano le tracce probabilmente anche nel dna.


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(Sidone, il suq)


Il suq, restaurato come molti altri monumenti cittadini dalla fondazione Hariri, lambisce il castello, come se fosse anche lui mare. Un mare labirintico, fatto da strettissimi vicoli e alti palazzi. Un intrico di palazzine con tanti archi, finestre, passaggi da un edificio all’altro. Le case si addossano, sono le case dei mercanti di un tempo, dimore ricche, che tutte insieme creano quasi una fortezza protettiva, che accoglie al suo interno, sotto gli archi, le botteghe del suq.

Lì dentro si può comprare di tutto, ogni vicolo è specializzato in qualche tipo di merce. Qui, al contrario di Tripoli, la crisi politica, sociale e energetica è molto più evidente. Saida è generalmente più ricca dell'altra città, e il suo suq era frequentato da turisti o acquirenti più borghesi. A seguito della crisi, molte botteghe hanno chiuso. Rimane comunque un luogo di immenso fascino. Tra un negozio e l’altro si nascondono moschee, chiese, sinagoghe, palazzi signorili, hammam e tutto quello che era necessario a una città di mercanti che commerciava con l’Asia, l’Africa e l’Europa. 

In città c’è anche il bel museo del Sapone, restaurato dalla Fondazione Audi.

Oggi la religione prevalente a Saida è quella islamica sunnita, ma sulle colline e montagne vicino vi sono villaggi cristiani, sciiti e drusi.


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(Sidone, il castello marino)


Vale la pena dormire almeno una o due notti in città, per perdersi nei suoi vicoli e assaporarne  l’atmosfera.

Salendo sulle montagne tra Beirut e Saida, nella regione dello Chouf e a pochi chilometri dal palazzo di Betedeine, vi è uno splendido villaggio dove vado sempre, Deir El Kammar. Il nome significa Convento della Luna, perché vi sorgeva un tempio romano dedicato alla Luna; oggi i resti sono sotto la chiesa e il convento di Saidet el Talle.


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(Deir el Kammar, il centro storico dall'alto)

Il paese, fortuna rara in Libano, ha delle strettissime regole paesaggistiche e architettoniche ed è rimasto perfettamente conservato. Si tratta di una comunità a maggioranza cristiana in una zona ormai a grande maggioranza drusa. Deir el Kammar era la capitale dell’emirato del Monte Libano ed ebbe molti sultani Drusi.

I cristiani e i drusi hanno vissuto per secoli pacificamente, i drusi avevano un notevole potere politico e i cristiani erano considerati ottimi commerciati. Forse per invidia o a causa dei nascenti movimenti nazionalistici in Europa e Medio Oriente, questo equilibrio si ruppe nel 1860, quando alcuni drusi iniziarono un sistematico massacro dei cristiani nella città, nella zona del Monte Libano e a Damasco. Fermati, soprattutto a Damasco, dal tardo intervento delle autorità ottomane, questo episodio portò all’intervento della Francia, che dai tempi dei crociati si considerava la protettrice dei cristiani nel mondo arabo e nelle terre bibliche. Fu così che per evitare l’intervento francese l’Impero Ottomano separò il Libano dal governatorato della Siria e vi mise un governatore cristiano.

Il massacro dei cristiani da parte dei drusi e la nascita del Libano come luogo di protezione dei cristiani, fu uno dei primi segnali, insieme alle guerre balcaniche e greche, del crollo dell’Impero Ottomano.


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(Deir el Kammar,  la moschea)

Ma soprattutto fu l’inizio di un problema ancora non risolto: come tutelare la popolazione multireligiosa e multietnica in ciò che fu il mondo dell’Impero Ottomano e dei califfati arabi. Una popolazione in cui le minoranze religiose potevano in alcune aree essere  maggioranza  o toccare, come a Istanbul, il 40 per cento degli abitanti.

Il  multiculturalismo divenne un problema perché a metà Ottocento e inizio Novecento quello che per molti ideologi rendeva una nazione un vero stato era l’omogeneità culturale e in alcuni casi religiosa. Idee che dall’Occidente, forse malauguratamente, sono filtrate in Oriente dopo le rivoluzioni europee del 1848. Moti contro i regimi e per le libertà, ma che di fatto, anche in Europa, hanno aperto le porte a nuovi nazionalismi e colonialismi.


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(Deir el Kammar, case nel centro storico)

Il genere di dilemma che dall’ex Jugoslavia fino all’Iraq e all' Egitto ancora oggi ha portato con sè conflitti, guerre, spostamenti di popolazione, e che ha prodotto il genocidio armeno.

La fine dei grandi imperi musulmani multietnici ha creato la domanda: cosa rende un turco, turco, un greco, greco, un libanese, libanese. Il risultato è stato lo scambio di popolazione greco-turco, lo sterminio degli armeni;  con tante e sanguinose guerre civili e instabilità ancora non risolte.

La pace e la bellezza così profonda di Deir el Kemmar, poco sembra rivelare di una storia così  inquieta.  Partendo dalla Moschea e dalla piazza con i principali palazzi si può salire fino al centro culturale francese e alla sinagoga o perdersi nelle stradine scendendo giù per la collina, tra chiese, conventi e splendide abitazioni private. Tutte le costruzioni sono in pietra, così come le strade. Un ruscello attraversa il villaggio e spunta fuori a tratti, mentre in altri scorre in un canale sotterraneo.

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(Deir el Kammar,  vista sulle colline dal paese)

Intorno la natura è rigogliosa e dà vita a mille prodotti enogastronomici che le signore del villaggio vendono nelle proprie case o nei negozietti.

Se capitate d’estate, tra giugno e settembre, il posto che suggerisco  per dormire è la maison d’hôte Dar Linda. Aperta da giungo a settembre, è immersa nelle splendide montagne sopra il villaggio.  Nour, insieme ai suoi due figli Karim e Kamal, sono l’anima dietro Dar Linda e come poche persone possono farvi comprendere il Libano. Nour è l'ex direttore di "L' Artisan du Liban" e come membro della National Heritage Foundation del Libano continua a essere attiva nel campo della storia e dell'artigianato.

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(Tiro)


Ritornando sulla costa e viaggiando verso Sud, si incrocia la splendida città di Tiro, in arabo Sur, uno dei luoghi più suggestivi del Libano. Nonostante i danneggiamenti subìti durante la guerra civile libanese e nei conflitti con la vicina Israele, Tiro non ha perso il suo fascino millenario.

Come Saida, esiste dalla notte dei tempi: fenici, egiziani, persiani, babilonesi, romani e secondo i vangeli perfino Gesù hanno solcato le sue vie. Fondata nel 3° millennio a.C., raggiunse ampia fioritura verso il 1400 a.C. Intorno all’814 a.C., secondo la tradizione gli abitanti della città fondarono la colonia di Cartagine. Nell’antico testamento Isaia profetizzò la distruzione di Tiro, al ritorno delle navi di Tarsis dal paese dei Kittim.

La città antica era in parte su un’isola collegata alla terraferma da un ponte. Le due città furono unite con la conquista di Alessandro Magno, che durante l’assedio riempi il mare nei pressi del ponte.  


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(Tiro, nel quartiere cristiano)

La maggior parte dei siti archeologici oggi visitabili sono di epoca romana.

Nel 636 d.C. venne presa dagli arabi per poi essere conquistata nel 1124 dai crociati. La città rimase sotto il controllo del Regno crociato di Gerusalemme per quasi due secoli. La riconquista islamica avvenne nel 1291 per mano dei Sultani Mamelucchi.

Tiro è patrimonio culturale dell’Unesco dal 1983. Nella parte periferica si trova un'ampia necropoli, un arco trionfale e l'ippodromo romano più grande e meglio conservato del mondo. Nei mesi estivi, l'area archeologica di al-Bass ospita un festival internazionale di musica e teatro.

Perdersi tra sarcofagi e tombe è un’esperienza molto profonda, bisogna farlo con rispetto perché nei sarcofagi si trovano ancora le ossa dei defunti. Purtroppo il sito avrebbe bisogno di un profondo restauro, soprattutto perché molte pietre si stanno sbriciolando per le intemperie.


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(Tiro, il faro)

La città è abitata per la maggioranza da sciiti, è uno dei bacini elettorali di Amal e nelle campagne limitrofe, di Hezbollah.

Andando sulla costa, attraversando il bazar, si giunge allo splendido quartiere cristiano. Un borgo in riva al mare fatto di casette antiche, tutte di colori sgargianti e vicoli con hotel, ristorantini e bar. Sotto il faro c’è una spiaggia in cui è possibile fare il bagno in un mare cristallino, tra sabbia, rocce e resti archeologici che si perdono in mare. Dopo la nuotata si può prendere un bicchiere di vino libanese al ristorante e bar a picco sopra la spiaggia.

Proseguendo verso la costa sud, si trova un’area archeologica a picco sul mare. Si entra dalle vie interne, dopo aver passato alcune splendide case in stile libanese, di cui una è diventata un boutique hotel.


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(Tiro, area archeologica) 


Questa zona, chiamata al-Mīnā',  è situata nella sezione anticamente insulare della città: vi si trovano una lunga strada colonnata che porta all'antico porto egizio a sud, un'arena rettangolare e un vasto complesso termale.

Le colonne si perdono nel Mediterraneo e quando le ho visitate al tramonto questo settembre vi era un dj set live con un dj italo argentino e uno libanese, senza pubblico ma ripreso da droni.

Il Libano ha una scena di musica elettronica e club culture molto importante che con la crisi politica, economica, energetica e la pandemia ha ricevuto un brutto colpo. Nonostante questo i musicisti stanno organizzando concerti e dj set in siti culturali e archeologici. Vista l’assenza di pubblico li mandano live o li filmano.

A chi vuol conoscere meglio il mondo della musica elettronica e dei club libanesi consiglio di dare un occhio il lavoro di “Factory People”, un collettivo di musicisti e creativi libanesi estremamente interessante (https://factory-people.com/Late-Knights). 


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(Tiro, l'area archeologica  di al-Mīnā')



Soprattutto in un momento così cupo per il Libano, quando si torna perfino a sparare per le strade di Beirut com’è accaduto l'altra settimana,  rappresentano lo spirito libanese che tenta di resistere contro la violenza, che forze oscure tentano di far esplodere ogni volta che si progetta un Libano "normale". Questo mondo creativo è anche il più colpito dall’esplosione del porto di Beirut sulla quale sta indagando il giudice, dalla fama di incorruttibile, Tarek Bitar.

Il magistrato ha concentrato le indagini sulla ipotesi di una responsabilità di ministri legati al partito sciita Amal. Con il risultato che Hezbollah ed l'alleato Amal sono scesi in piazza per chiedere la destituzione di Tarek Bitar.  In queste settimane d'altra parte, dopo che qualcuno (Hezbollah accusa le forze libanesi) ha sparato sui manifestanti che protestavano contro il giudice uccidendo sei persone, nessuno parla più del processo.


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(Tiro, l'area archeologica di al-Mīnā' con dj set)


I vecchi potentati temono alle prossime elezioni parlamentari di perdere molti dei loro consensi, vista la situazione drammatica in cui versa il Libano. Tentano quindi di giocare ancora una volta la carta degli scontri confessionali. Si fa intendere alle persone: “Solo il tuo capo clan, cristiano o musulmano che sia, ti proteggerà dalla violenza e saprà trattare con gli altri capi clan ed ex signori della guerra”. Una carta velenosa, che contribuisce a distruggere i sogni di quei libanesi che vorrebbero un paese in cui nessuno ti chiede più di che religione sei.IMG_2399jpeg

(Tiro, l' area archeologica di al Bass,  arco di trionfo)


Le onde lambiscono le colonne e i ruderi romani di Tiro. Ogni onda conserva la memoria di un abitante del passato che ha lambito questa terra, ogni spruzzo conserva le loro speranze, ogni increspatura del mare ha dentro di sé i segni della vitalità delle loro anime e di questo paese.

Oggi, più che mai, visitare questi luoghi è una forma di resistenza, un modo per aiutare la maggioranza sana del paese.



*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale)


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