Coloane e le palafitte magiche di Chiloè
di GIORGIO OLDRINI*
Era l’anno 2000, tornavo in Cile dopo qualche anno di assenza e un giorno andai a trovare Volodia Teitelboim, uno dei grandi intellettuali latinoamericani, scrittore, poeta e dirigente del Partito comunista. Si era salvato dal golpe di Pinochet perché proprio in quei giorni del settembre 1973 si trovava in Italia per partecipare alla festa nazionale dell’Unità. Ma ormai era tornato da tempo nel suo Cile ed era stato anche Segretario nazionale del Pcch, dopo Luis Corvalan. Quel giorno col suo parlare pausato Volodia mi aveva chiesto: “Perché non vai a parlare con Francisco Coloane? E’ un amico carissimo e se vuoi lo chiamo per prenderti un appuntamento”.
La casa di Coloane era una sorta di repubblica marinara nel bel mezzo di Santiago del Cile. Modellini di barche e di navi ovunque, libri di mare, sembrava quasi di sentire odore di oceano in quei locali. Lui era un uomo bellissimo, alto e forte nonostante i suoi 87 anni, con una gran barba bianca e occhi vispi. Quando scoprì che mi chiamo Oldrini si mise a ridere. “Sono dell’isola di Chiloè, ma sono stato allevato da una mia zia e dal marito. Era un marinaio italiano, anzi romagnolo di Rimini, che era naufragato nella zona dell’isola che si chiama Caucahue, e che si era trovato così bene che aveva deciso di restare e di farsi una famiglia. Si chiamava Lorenzo Boldrini”. Coloane era stato marinaio, baleniere, poi scrittore di quella zona veramente alla fine del mondo. “Il mio padre letterario” diceva di lui Luis Sepulveda.
I suoi racconti sono duri, aspri come quelle zone del mondo strette tra una natura difficilissima, un mare sempre in tempesta, ghiacci che schiacciano le navi. E una umanità che alla natura si assomiglia, uomini e donne, poche, duri e eroici e spietati nella loro capacità di resistere. Senza che lui lo sapesse, è stato uno scrittore di quel genere che il cubano Alejo Carpentier ha definito “il reale meraviglioso” . Diceva infatti che in America latina la natura e i fatti sono così straordinari che uno scrittore deve limitarsi a descrivere quello che vede e che succede. La fantasia è inferiore alla meraviglia del reale.
Francisco Coloane e la sua Chiloé ne sono una dimostrazione. E’ un arcipelago, con un’isola maggiore e tante piccole o piccolissime a 1100 chilometri a sud di Santiago. Un altro mondo. Perché qui tutto è magico. E’ la terra dei pirati con i loro tesori nascosti e degli stregoni. C’è anche una nave fantasma che si aggira per il mare, soprattutto quando scende la notte o la nebbia confonde la vista. Si chiama la Caleuche e sembra avere un equipaggio di maghi o di donne bellissime e ingannatrici. E tutti assicurano che le grotte marine o le piccole isole nascondano tesori immensi sotterrati dai pirati che hanno vissuto a lungo. Il più famoso fu Pedro Maria Nancupel Alarcon che venne giustiziato il 6 novembre 1888 con un solo rimpianto: che per un solo morto non era riuscito ad assassinare nella sua carriera 100 persone. Aveva chiesto alla giustizia di lasciarlo libero per qualche giorno in modo da fare cifra tonda. Ma le autorità gli avevano negato questo ultimo desiderio.
Se volete cercare un “entierro” dove si nasconde un tesoro dovete seguire una procedura precisa. “Si prende una pallina di acciaio vuota. Si riempie di mercurio e dopo la mezzanotte si porta in un luogo dove si immagina ci sia il tesoro. Si lascia cadere la pallina che, spinta da una forza misteriosa, corre senza sosta fino al luogo preciso del entierro”. Ma gli abitanti di Chiloé cercano i tesori soprattutto la notte di San Giovanni Battista, quando dalla terra escono rumori misteriosi e luci come lampi. Lì c’è sicuramente da scavare.
L’arcipelago è terra di maghi e stregoni che sanno volare e che per farlo devono indossare il Macun, una giacca di pelle umana o, in subordine, di pelle di pesce. E che distribuiscono maledizioni o tolgono malattie e malocchio a richiesta.
Chiloé oggi è Patrimonio dell’umanità, con le sue case palafitte coloratissime e le sue chiese di larice. Ma è stata terra di balenieri, come Francisco Coloane, coraggioso come un marinaio del Capo Horn e dell’Antartico. Fu lui ad avere l’ardire di parlare con la sua voce tonante ai funerali di Pablo Neruda, assassinato dai golpisti di Pinochet il 23 settembre, pochi giorni dopo il colpo di stato contro il governo legittimo del Presidente Salvador Allende. Davanti a pochi familiari, a qualche amico e a molti militari e spie armati di mitra. Fu lui alla fine del suo discorso ad intonare l’Internazionale che poteva voler dire la tortura e la morte.
Quando incontrai Coloane nel 2000 la dittatura era finita, e lui mi spiegò che suo zio Boldrini spesso gli raccontava che se ci si bagna le ginocchia con il sangue di un cervo, si correrà come lui. La stessa favola che mi raccontava mio nonno Finn, anche lui di Rimini. Poi Coloane si alzò, si accertò che la moglie, l’unica persona di cui aveva paura, non lo ascoltasse. E mi disse “alla mia età sto bene, cammino e faccio persino qualche corsetta. Vado da solo in barca a vela”. Si guardò in giro per essere sicuro che la moglie non lo potesse ascoltare. “Certo, l’erezione non l’ho più” e rise come rideva mio nonno romagnolo quando ci propinava qualcuna delle sue battute piccanti.
*GIORGIO OLDRINI (Sono
nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo
da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come
corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama.
Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto
alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto
“Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)
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