Chillàn, i murales rivoluzionari nella terra di Pinochet

di GIORGIO OLDRINI*

Alla città di Chillàn, 400 chilometri a sud di Santiago del Cile, ci sono andato tanti anni dopo che l’avevo conosciuta. Quando vivevo all’Avana come corrispondente dell’Unità, a un paio di isolati dalla nostra casa c’era il Comitato dei cileni in esilio e quasi tutti i giorni verso le 14 arrivavano a bere il caffè Mario Gomez Lopez, uno dei grandi giornalisti cileni, Rubén Zapata, deputato, e Eduardo Contreras, deputato e sindaco comunista di Chillàn. Con lui facevo immancabilmente un gioco. “E’ meglio Sesto San Giovanni” dicevo io “abbiamo le grandi fabbriche”. “E’ meglio Chillàn” ribatteva lui “abbiamo le terme”. Io allora tiravo fuori l’asso della manica “Noi produciamo il Campari” e lui ribatteva “E noi abbiamo il murale di David Alfaro Siqueiros”.

Così quando sono tornato in Cile e pure Eduardo aveva potuto finalmente rivedere casa sua, siamo andati insieme a Chillàn con sua moglie Rebeca. Lei camminava a fatica e zoppicava. Infatti quando Contreras, che è avvocato, era tornato a Santiago aveva denunciato Pinochet, che era ancora Capo delle Forze armate e molto di più, per il rapimento, la tortura e l’assassinio del gruppo dirigente del Partito comunista. Quando lo avevo saputo gli avevo telefonato dall’Italia. “Ma non hai paura?” “Sì, ma era giusto farlo”. Solo qualche mese, dopo al ritorno da una gita al mare, la loro automobile si fermò improvvisamente sulla strada. Eduardo e Rebeca scesero per cercare di capire cosa fosse successo, ma vennero investiti da una jeep piombata a folle velocità su di loro e che se ne andò senza fermarsi. Rebeca venne salvata per miracolo ed operata ripetutamente, Eduardo ebbe più fortuna e se la cavò con qualche frattura.

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(Chillàn, sci e terme)

Ma nulla e nessuno avrebbe potuto fermarci sul cammino di Chillàn, terra di vulcani e di terremoti. Per me, sciatore appassionato, era affascinante vedere le piste di neve dalle quali ogni tanto si alzavano sbuffi di aria calda, soffioni che squarciano il bianco. O fare il bagno nelle piscine termali con l’acqua scaldata dal vulcano che sta minacciosamente sotto i bagnanti. Ma non era quello il motivo del viaggio. Aveva più a che vedere con i terremoti, fisici e politici.

Perché il 24 gennaio del 1939 ci fu in Cile un sisma devastante che colpì soprattutto la zona di Chillàn. Non si è mai saputo bene quanti siano stati i morti. Il sindaco dell’epoca sosteneva che in una fossa comune aveva seppellito in fretta e furia quasi 30 mila persone. Crollò anche il cinema e l’unica che si salvò fu una ragazza che era corsa via pochi minuti prima dalla sala per sfuggire alle avances di un ragazzo.

Il Presidente del Messico Lazaro Cardenas, in segno di solidarietà, decise di regalare una scuola a Chillàn, appunto la “Republica de Mexico” e per completare il dono inviò due dei grandi muralisti, David Alfaro Siqueiros e Xavier Guerrero, per dipingere l’edificio. In realtà l’idea di inviare a Chillàn Siqueiros venne a Pablo Neruda, che in quel momento era ambasciatore cileno a Città del Messico. Comunista l’uno e comunista l’altro. Ma Siqueiros era stato condannato per avere tentato di uccidere Leon Trotsky, in esilio in Messico, aveva scontato la pena e a Neruda e pure a Cardenas parve più conveniente spedirlo il più lontano possibile. Quando poi Trotsky venne assassinato, Siqueiros era appunto in Cile e a una domanda “lei a che fare con l’omicidio”, lui rispose “purtroppo no”.

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(Il centro di Chillàn)

Si traferì a Chillàn con la moglie Angelica e la figlia Adriana e vissero per un paio d’anni nel cantiere della scuola. Guerrero dipinse l’ingresso, “Dal Messico al Cile", a Siqueiros invece toccò la biblioteca scolastica, una grande stanza nella quale creò un enorme murale “Morte agli invasori”. E’ la rappresentazione delle lotte e dei protagonisti della epopea che dalla conquista degli spagnoli fino a quei giorni del 1940 ha segnato i sogni, le speranze, le tragedie di un continente. Nella parete nord il Messico, con l’ultimo imperatore azteca Cuauthemoc che lancia frecce contro una croce dipinta sul soffitto, che è anche spada e cassa da morto. Siqueiros, oltre che comunista, era anche massone e anticlericale e dunque la croce per lui era il simbolo della oppressione. E poi Zapata ed anche Adelita, la ribelle celebrata in una canzone popolare che divenne l’inno dei guerriglieri salvadoregni. “Se Adelita se ne andasse con un altro/la seguirei per terra e per mare/se per mare con una nave da guerra/se per terra in un treno militare” cantava il suo sergente innamorato e i ribelli del Farabundo Martì in Salvador. C’è nel murale Benito Juares e anche Lazaro Cardenas, che nazionalizzò il petrolio messicano.

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(Chillàn, chiesa)

Nel muro al sud il Cile, con l’indio mapuche Lautaro che guidò la prima rivolta contro gli spagnoli, quando venne scelto dal conquistador Pedro de Valdivia come servo e così scoprì che lo spagnolo e il cavallo non erano un unico essere, ma due, dunque si potevano battere. E il racconto di Siqueiros sale su su fino a Luis Emilio Recabarren comunista e sindacalista.

Un dipinto così impressionante ed autorevole che nemmeno la dittatura di Pinochet ebbe il coraggio di abbatterlo. Ci hanno tentato due successivi sismi, l’ultimo nel febbraio del 2010, ma ogni volta il dipinto è stato restaurato. Nato dal terremoto, più forte del terremoto.

Quando siamo usciti dalla escuela de Mexico Eduardo mi ha guardato con gli occhi furbi: “Meglio Chillàn, hai visto il murale di Siqueiros”. “Sì, però noi a Sesto abbiamo la Campari”.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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