Carnevale, tre manifesti a Sa-Na-Bo

di GIGI SPINA*

E' tempo di maschere e sfilate, dolci della tradizione e coriandoli, scherzi e carri allegorici.

Per quanto ridimensionato e intristito dal Covid, anche quest'anno il Carnevale si presentacon eventi e appuntamenti più o meno storici.

Foglieviaggi ne propone un assaggio con racconti d'autore che ci condurranno dentro le varie "anime" e i vari luoghi della festa. 

Carnevale comincerà formalmente domenica 13 febbraio, vigilia di San Valentino, anche se in molte città è già praticamente in corso. Andrà avanti fino a domenica primo marzo. Le date clou saranno giovedì 24 febbraio, Giovedì Grasso, e il primo marzo, Martedì Grasso. Di mezzo, la domenica di Carnevale.

Il carnevale ambrosiano, invece, prosegue fino al 5 marzo.

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A Carnevale Uno Uno vale …

Proprio nel senso di semel in anno o di una tantum. Cioè: l’hai fatto adesso, e da domani scordatelo.

Visto che sto scrivendo e sono ispirato, ma non mascherato, e neanche effeffepiduato, vado avanti a spiegare: a Carnevale davvero si è tutti uguali, nel senso che si torna tutti anonimi, irriconoscibili, quindi ingiudicabili. “Lei non sa chi sono io” non significa quello che normalmente significa, bensì: “Mi dispiace, lei non può sapere chi io sia, peccato”.

Comunque, il Carnevale è davvero un viaggio nel tempo, come ora tento di spiegare.

Ho un ricordo fotografico anche se non ho la foto. Io bruco (sostantivo, non verbo) e lei farfalla, una cosa databile fra il 1949 e il 1950. Cioè io potevo avere tre o quattro anni. Lei si chiamava (e credo e spero si chiami ancora) Ofelia, un anno più di me. Non lo sapevo, allora, ma avrei incrociato l’autorevole padre negli anni successivi. Ma di più non dico. Perché del 1951 ho la foto.


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Un assembramento incredibile, a guardarlo con gli occhi di oggi, che uno farebbe subito scattare la cancel culture (questa volta alla maniera sovietica, non americana), lasciando solo poche mascherine ben distanziate. Eravamo nella sala delle scuole elementari di Salerno, le Vicinanza, immagino. Io spicco proprio al centro, simmetrico come sempre, con un sombrero che avrebbe dovuto ricoprire un cow boy (colgo ora la piccola sfasatura), perché a pistole e cinturoni ero davvero affezionato, al punto che quando, per la mia precoce carriera di attore, stroncata ma non doma, interpretai il protagonista nel dramma in cinque atti Flaviano, martire cristiano, con la filodrammatica del Sacro Cuore di Salerno, con i soldi guadagnati per una trasferta a Scafati (un tour internazionale, direi) comprai una bellissima pistola Colt. Ero più grande, ma ero ancora cowboy dentro.

Riconosco ancora molti miei coetanei e coetanee, anche chi non c’è più, mentre colgo quasi una parità numerica fra bimbi e bimbe, anche se le spettatrici/accompagnatrici sono quasi tutte mamme, non credo solo maestre, perché l’unico uomo sulla sinistra è mio padre, che non era maestro, bensì postelegrafonico.  Al centro, in alto, spicca il padre di Ofelia  e un altro signore di cui non so.

Maestra era una mia zia, invece, zia Angioletta, in un paese della Calabria, Belvedere Marittimo; una volta andammo a trovarla con mio padre e se penso che entrammo tranquillamente nella sua classe e io filmai (non ero ancora maggiorenne) alunni e alunne, mi dico che davvero vivevamo in un mondo molto più semplice, se non semplificato.

Il mio Carnevale, dunque, lo ricordo così, affollato e neanche breve, anche se lo era il secolo, proprio a metà del suo svolgersi; fra coriandoli e stelle filanti, trombettine e pistole fumanti. Mi rimane il cruccio del sombrero; avrei dovuto chiedere ai miei un bel cappellone di cuoio.

Fatto il Carnevale da bimbo (e non credo di aver mai chiesto a mio padre o a mia madre del loro Carnevale), si continua a farlo da genitore; si ritrovano usanze consolidate ma anche nuove esigenze, perché intanto hanno inventato la televisione. Le immagini si moltiplicano, anche i costumi già belli e pronti, e i modelli da riproporre. Non sono solito mettere su fb foto di minori, però foto di minori di allora e oggi maggiori (ma non à la Nino Taranto in Totò truffa 62) voglio usarle per mostrare come ci sia comunque un filo sottile fra Carnevali di epoche diverse.


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Mia figlia Sveva (che mi ha autorizzato) mostrava, sulla sinistra del trio, un meraviglioso costume da Sandokan. Il calcolo è presto fatto, doveva avere poco più della mia età da bruco e, appunto, c’era stata di mezzo la televisione e un famoso sceneggiato.


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Ma sicuramente un paio di Carnevali prima, sempre a Napoli, la stessa Sveva aveva inteso esprimere, per mettersi a posto in anticipo con i compiti, un’opposizione alla figura paterna scegliendo un costume da pellerossa (si diceva così, è una citazione innocua), per fortuna disarmata, almeno nella foto.

E non finisce qui, perché passano gli anni, ma otto son pochi (piccola licenza),


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e mio figlio Francesco, che mi ha autorizzato, sfoggia un costume un po’ indecifrabile, che fu subito battezzato, in privato, come ‘Bin Laden da giovane’. Quindi siamo sempre, grosso modo, nell’età del bruco, ma intanto, oltre la televisione, c’era stato l’11 settembre.

Ma il Carnevale non demorde, tanto si tratta di una volta sola. Faceva molto freddo a Bologna, io leggevo Repubblica, allora, e la metafora dell’attesa del bus non è voluta.

Ora che ci penso, avrei potuto intitolare questo pezzo: Tre manifesti carnevaleschi a Sa-Na-Bo, Italia, che è anche un bell’auspicio. 

   


Leggi anche:   Roma, la corsa dei moccoli e il Palio dei giudei  di ROBERTO ROSCANI

  

*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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