Cappelli e rose, Strasburgo mon amour

di GIGI SPINA   

Quando, nel luglio del 1997, conobbi Laurent Pernot - grecista, ora Accademico di Francia - a Saskatoon, città principale del Saskatchewan, durante un convegno della International Society for the History of Rhetoric, ero troppo concentrato sui ricordi delle Giubbe Rosse e degli album di Grande Blek per apprezzare il fatto che venisse da Strasburgo.

Eppure a Strasburgo ero già stato, sempre per vie universitarie, in gita da Nancy. Ricordavo, certo, la Cattedrale di Notre Dame, ignifuga, per fortuna, col famoso orologio astronomico, e soprattutto un ristorante lì vicino, sicuramente Chez Yvonne, dove avevo, a mia insaputa, assaggiato la lingua credendo fosse un normale pezzo di lesso. Ma non mi avevano detto che lì era nata l’Europa e che era il ristorante preferito di Chirac.


LA SCHEDA GOOGLE:  STRASBURGO



Poi, col tempo, Strasburgo è diventata una città dell’anima, uno dei miei psicotòpi esteri, insieme a Berlino e a molti luoghi della Grecia. Quando ho capito che avrei dovuto andarvi spesso, ho creduto, ingenuamente, che vi fossero voli diretti, in particolare da Bologna, per via del Parlamento Europeo e per una emiliana autorevole presenza. No, Strasburgo te la devi meritare almeno con due voli, uno dei quali può anche portarti in Svizzera o in Germania, forse per ricordarti che non puoi non essere europeo.

Quando, però, torneremo a viaggiare evitando le buche più dure, consiglierei di mescolare aereo e TGV, anche se le coincidenze non sono sempre perfette, per poter arrivare in città e fiondarti subito su uno dei meravigliosi tram che la percorrono.

strasburgo1 jpgA me piacerebbe, un giorno, usare tutte le linee da un capolinea all’altro, unicamente per ascoltare gli speaker che annunziano le fermate, voci di adulti e bambini, dolci e invitanti come sirene, immaginando naturalmente di essere legato a una barra per non rispondere al richiamo ed essere preso dall’irrefrenabile desiderio di scendere già alla prima fermata.

A Strasburgo c’è tanto, anzi, di più. Faccio solo un nome: la Petite France, dove i confini sembrano virtuali e le identità nazionali vengono continuamente messe in discussione.

Ma i miei psicotòpi dentro lo psicotòpo sono due: l’hotel Roses, a due passi dal fiume Ill, un albergo caldo e rassicurante, nel quale all’inizio dovevo chiedere io l’asciugacapelli, naturalmente stando attento a non chiedere un asciugacavalli che, certo, sarebbe servito lo stesso, ma immaginavo molto ingombrante. Poi, un giorno, il mio amico della concierge, che mi accoglie sempre con un frizzante e caloroso“Bonjour, M. Spina”, con l’accento sulla a, mi ha comunicato che in mio onore le stanze erano ormai fornite di asciugacapelli (e lui non ha sbagliato!).

Ma l’albergo è alloggio, necessario, a due passi dall’Università e dal centro, con le piazze dove compro libri, cd e dvd.

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La cappelleria a fianco di Notre Dame non è necessaria, è puro lusso, ma calamita perenne di passeggiata e di contemplazione, con un sentimento duplice. Da ragazzino, quando mi vestivano da ometto, ero costretto a mettere un cappello da uomo che odiavo dal profondo della cute. Per questo, da quando ho acquistato la mia indipendenza, odio i cappelli e con grande sopportazione indosso d’estate qualche cappellino, ma solo in caso di necessità.

A Strasburgo, invece, ogni volta avverto la tentazione forte di comprarne uno. Penso che ormai nel negozio si chiedano chi è quel signore, sempre più anziano, che di tanto in tanto sta fermo lunghi minuti davanti alla vetrina e sembra sempre sul punto di entrare per comprare ma poi se ne va con un eloquente smorfia di disappunto sul viso.

Sirene anche nella cappelleria di Strasburgo. D’altra parte, nessuno ha mai escluso che le sirene fossero in realtà cicogne. E so che per le cicogne Strasburgo è uno straordinario psicotòpo.



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