Capitale italiana della cultura - PIEVE DI SOLIGO / il progetto
di VITTORIO RAGONE*
La corsa di Pieve di Soligo a capitale della cultura nazionale ha un carattere di vera impresa. Stretto fra Treviso, che fu sconfitta da Parma nel 2020, e Verona - bocciata alle selezioni 2022 nonostante l'indiscutibile peso -, a rappresentare il Veneto (e l'intero Nord insieme con Verbania) sarà alla fine il piccolo borgo della Marca trevigiana che diede i natali a Andrea Zanzotto. Cose da outsider.
LO SPOT DI PIEVE DI SOLIGO
Impresa nell'impresa: Pieve di Soligo aveva puntato sul centenario della nascita del poeta, che cade quest'anno, per dare forma alla candidatura nel 2021. E quando il Covid ha congelato il titolo la cittadina ha temuto che l'occasione svanisse. Poi, fra un ritardo e una dilazione del contest, il dossier è stato rilanciato provando a immaginare modelli di sviluppo che prefigurano queste terre come saranno fra trent'anni, se l'uomo saprà governarle con criterio. Così la candidatura di Pieve di Soligo è diventata una sorta di Davide provinciale diffuso, contro i Golia centralistici delle città d'arte. Una riscoperta aggiornata del "piccolo è bello" degli anni Ottanta. Basterà? Di certo "tenacia e originalità", così ama ripetere il sindaco Stefano Soldan, non sono mancate.
leggi: ZANZOTTO E IL CUORE DEL MONDO di MARZIO BREDA
Innovazione digitale e gioventù, cooperazione e comunità, sostenibilità e inclusione. Intorno a queste parole-chiave Pieve di Soligo ha elaborato il suo dossier. Il riferimento più nitido sono le colline del prosecco e l'intera area delle Terre alte della marca trevigiana (30 comuni riuniti in una Intesa programmatica d'Area). Patrimonio Unesco dal 2019, in queste terre si promette di combinare vita ordinaria, enogastronomia e cultura con la tutela del paesaggio e della morfologia dei luoghi - boschi e ciglioni, dorsali e paesetti - superando scempi che nel corso dei decenni non sono mancati. Il territorio è già ameno e fonte di ricchezza, milioni di bottiglie di bollicine italiane.

Il verde dei vigneti, l'azzurro dei canali e delle vie d'acqua sono rappresentati nel logo della candidatura di Pieve di Soligo. E il movimento grafico del simbolo sta a significare le tante idee degli organizzatori (coordinati dalla fondazione Fabio Fabbri) riunite intorno a progetti-guida: la decostruzione generativa, cioè l'eliminazione di manufatti obsoleti per liberare spazi e creare funzioni innovative, gli alberghi diffusi, la creazione di distretti del cibo e parchi letterari, la messa a regime delle vie turistiche e della memoria (l'Acqua, la Grande Guerra, il Sacro, la Bellezza). In una Italia minore che abbandona - assicurano gli amministratori - la periferia del passato e attraverso le tecnologie trasforma l'area in un polo del futuro decentralizzato e costantemente connesso.
La corsa di Pieve di Soligo a capitale della cultura nazionale ha un carattere di vera impresa. Stretto fra Treviso, che fu sconfitta da Parma nel 2020, e Verona - bocciata alle selezioni 2022 nonostante l'indiscutibile peso -, a rappresentare il Veneto (e l'intero Nord insieme con Verbania) sarà alla fine il piccolo borgo della Marca trevigiana che diede i natali a Andrea Zanzotto. Cose da outsider.
LO SPOT DI PIEVE DI SOLIGO
Impresa nell'impresa: Pieve di Soligo aveva puntato sul centenario della nascita del poeta, che cade quest'anno, per dare forma alla candidatura nel 2021. E quando il Covid ha congelato il titolo la cittadina ha temuto che l'occasione svanisse. Poi, fra un ritardo e una dilazione del contest, il dossier è stato rilanciato provando a immaginare modelli di sviluppo che prefigurano queste terre come saranno fra trent'anni, se l'uomo saprà governarle con criterio. Così la candidatura di Pieve di Soligo è diventata una sorta di Davide provinciale diffuso, contro i Golia centralistici delle città d'arte. Una riscoperta aggiornata del "piccolo è bello" degli anni Ottanta. Basterà? Di certo "tenacia e originalità", così ama ripetere il sindaco Stefano Soldan, non sono mancate.
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Innovazione digitale e gioventù, cooperazione e comunità, sostenibilità e inclusione. Intorno a queste parole-chiave Pieve di Soligo ha elaborato il suo dossier. Il riferimento più nitido sono le colline del prosecco e l'intera area delle Terre alte della marca trevigiana (30 comuni riuniti in una Intesa programmatica d'Area). Patrimonio Unesco dal 2019, in queste terre si promette di combinare vita ordinaria, enogastronomia e cultura con la tutela del paesaggio e della morfologia dei luoghi - boschi e ciglioni, dorsali e paesetti - superando scempi che nel corso dei decenni non sono mancati. Il territorio è già ameno e fonte di ricchezza, milioni di bottiglie di bollicine italiane.

Il verde dei vigneti, l'azzurro dei canali e delle vie d'acqua sono rappresentati nel logo della candidatura di Pieve di Soligo. E il movimento grafico del simbolo sta a significare le tante idee degli organizzatori (coordinati dalla fondazione Fabio Fabbri) riunite intorno a progetti-guida: la decostruzione generativa, cioè l'eliminazione di manufatti obsoleti per liberare spazi e creare funzioni innovative, gli alberghi diffusi, la creazione di distretti del cibo e parchi letterari, la messa a regime delle vie turistiche e della memoria (l'Acqua, la Grande Guerra, il Sacro, la Bellezza). In una Italia minore che abbandona - assicurano gli amministratori - la periferia del passato e attraverso le tecnologie trasforma l'area in un polo del futuro decentralizzato e costantemente connesso.
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