Bretagna seconda patria, misteri e piaceri della marea

di MASSIMILIANO DI GIORGIO*

Se c’è una cosa che ancora mi colpisce, dopo più di vent’anni che vado in Bretagna, quasi tutte le estati e comunque molto spesso, è la marea. Non è un pensiero originale, lo so: sulla marea e il suo fascino esiste una bibliografia sterminata. Ma qui la differenza tra marea alta e bassa è tra le più forti al mondo, e per chi viene dal Mediterraneo il mistero resta, perché siamo abituati a un mare completamente diverso, uguale a se stesso a tutte le ore ( non è esattamente così: è solo che senza un occhio allenato non ce ne accorgiamo, ma ci siamo capiti).

La marea è un argomento di conversazione costante: a che ora è bassa, a che ora è alta, quando c’è la grande marea. E attorno agli orari girano tutta una serie di rituali e necessità: per esempio, quando uscire in barca, raccogliere i frutti di mare, andare a farsi il bagno. La marea nasconde, poi la stessa marea fa scoprire. E un conto è sapere cos’è la marea, un fenomeno provocato dall’attrazione gravitazionale, un altro è vederla in prima persona, in azione.

La mia Bretagna è quella settentrionale: Côtes d’Armor, più in particolare. Guardando la lunga “pinna” a nord-ovest che si spinge tra l’Atlantico e la Manica, è in mezzo tra il Finistère, il dipartimento di Brest, a occidente, e Ille-et-Vilaine (il capoluogo è Rennes). Ed è probabilmente la parte che i turisti italiani conoscono meglio e frequentano di più. Ma in quest’anno di Covid, di italiani in Bretagna se ne sono visti pochi, e non ne ho visti io.

Costa vicino a Saint Briacjpg

(La costa vicino a Saint Briac      foto di Massimiliano Di Giorgio)

Per me è un posto familiare, perché la mia compagna è francese e sono bretoni, o frequentatori abituali dei luoghi, diversi amici d’Oltralpe. In Bretagna ho trovato - e usato, ovviamente - la rucola, in francese roquette, che cresceva rigogliosa nel giardino della casa dove siamo andati per anni, a 100 metri dal mare. In Bretagna ho attraversato non so più quante volte la Barrière de la Rance, che è stato per decenni il più grande impianto di energia mareomotrice del mondo. Ho fatto jogging per anni lungo le chemin de douaniers (il sentiero dei doganieri), tra la spiaggia di Lancieux e un vecchio bunker tedesco ormai finito sott’acqua, non lontano da Saint Jacut de la Mer. In Bretagna, dove non è raro trovare le palme perché non fa mai troppo freddo né troppo caldo, ho sperimentato i 17 gradi in giornata in agosto e la neve ad aprile.

In Bretagna mio figlio ha imparato ad andare a vela e io a farmi il bagno anche con l’acqua a meno di 20 gradi (che per uno che ha nuotato solo a Ostia è un successo, dovete riconoscere). In Bretagna sono andato a un paio di matrimoni e ho fatto lunghe partite a bocce in spiaggia, fino alle 22.30 passate, perché a quella latitudine c’è luce fino a tardi, bevendo birra e pastis, che non si usa solo nel Midi. Quindi, se parlo della Bretagna con familiarità, un po’ meno da turista, concedetemelo.  

Spiaggia Saint CastJPG(La spiaggia di Saint Cast      foto di Massimiliano Di Giorgio)

Le spiagge sono spesso larghe, enormi, dilatate ovviamente anche nella fase di marea bassa. Penso alla spiaggia di Dinard e dintorni, ma anche a quelle di Brest e ancora di più di Lorient, cittadina della Bretagna del sud (che ospita un’antica base di sommergibili che vale la visita). Spiagge che favoriscono naturalmente il distanziamento, e che ospitano una popolazione molto mobile. Anche perché spesso in spiaggia non fa così caldo, e talvolta ci si va tra una pioggerella e l’altra. C’è sempre chi gioca a pallone, bocce o Molkky - un gioco finlandese di lancio che in Francia è diventato rapidamente molto popolare, specie tra i bobos (i “bourgeois bohemien) -:  chi costruisce castelli, piste per biglie e altre strutture di sabbia, chi passeggia, chi attrezza il windsurf o la barchetta.

Spiaggia DinardJPG(La spiaggia di Dinard      foto di Massimiliano Di Giorgio)

A Dinard e altrove c’è la tradizione delle piscine d’acqua salata, che si riempiono con la marea alta e poi restano a disposizione dei bagnanti anche quando il mare si ritira. Ma le coste bretoni sono spesso rocciose, dunque piene di calette. Quest’estate abbiamo scoperto un posto molto bello a Saint-Cast-le-Guildo (località da visitare anche solo per una fantastica gelateria-pasticceria che si chiama “La Belle Meunière”): spiaggia in gran parte rocciosa con una vista da lontano su Fort la-Latte, su Cap Frehél, un castello in rovina sul mare in cui hanno girato anche diversi film (in particolare “I Vichinghi”, una vecchia pellicola con Kirk Douglas).

Un altro posto interessante e meno battuto è l’isoletta di Cezembre, al largo di Saint Malo, lungo le rotte per le isole anglonormanne (di cui conosco solo Chausey, dove ho trascorso una piacevole giornata, anni fa). Ci si può andare in battello, con partenze regolari, da Dinard o da Saint Malo, altro luogo noto agli italiani, in una mezz’ora. Sull’isola, dove non abita nessuno, c’è solo un bar-ristorante che bisogna prenotare, e che merita, se vi piacciono soprattutto i frutti di mare. Cezembre è una riserva per l’avifauna e almeno metà della sua superficie è vietata al transito, perché non è stata completamente sminata dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Una passeggiata che abbiamo fatto spesso è invece quella vicino al club di golf di Dinard (uno dei più antichi, che nonostante il nome si trova a Saint-Briac-Sur-Mer), tra dune e scogliere, e bagno in spiaggia.

Ma spostandosi verso l’interno, dove il paesaggio più frequente è quello della campagna agricola, piuttosto pianeggiante, forse la bici è il mezzo migliore. Ci sono circa 2000 km di sentieri per le due ruote, percorsi lungo ferrovie dismesse o il canale navigabile che va da Nantes a Brest. Una bella passeggiata a due ruote è quella che parte dall’ex stazione di Medreac, non lontano da Dinan (cittadina medievale da visitare, la trovate in tutti gli itinerari turistici). Le bici sono unite a un carrello, in pratica si pedala sui vecchi binari. Il percorso migliore dura un paio d’ore, per circa 14 km. Ma ce n’è anche uno più breve, adatto ai bambini.

Un sito che invece è certamente turistico ma merita comunque è la Stonehenge francese, Carnac, nel Morbihan, nella Bretagna del sud (vicino alla già citata Brest), con i suoi oltre mille menhir disposti su numerose file, in aperta campagna. Un luogo piuttosto impressionante.

Bretagna in biciJPG(Bretagna in bici      foto di Massimiliano Di Giorgio)

Non posso parlare gran che della cucina bretone, ammetto, perché l’ho frequentata quasi sempre da vegetariano, e in Bretagna pesce e carne invece vanno fortissimo. Famiglia e amici si danno regolarmente a scorpacciate di frutti di mare, soprattutto in un ristorante nel retro di un bar di scommesse a cui non avrei dato due lire: coquilles Saint Jacques (la capasanta atlantica), ostriche, moules-frites, cioè cozze e patatine; astici e poi enormi granchi che si fanno a pezzi con una specie di schiaccianoci.

La Bretagna interna, meno frequentata dai turisti, conta numerosissimi paesini e paesotti - che sono sempre Comuni autonomi: in Francia si contano quasi 35.000 municipi, contro gli 8.000 italiani - e soprattutto rappresenta oltre il 50% degli allevamenti suini francesi, è la prima regione del Paese per vitello e pollame. Quindi, piatti di carne a volontà.

Io posso decantarvi però le crêpes - in particolare quelle salate, che si chiamano galettes, fatte col grano saraceno, che si riempiono con qualsiasi cosa vogliate - il sidro di mele, il burro salato di Guérande e il Kouign-amann (si pronuncia cugnaman), un dolce di pasta sfoglia con una mostruosa quantità di burro e zucchero, o un altro dolce che si chiama Far breton, oltre al caramello al burro salato.

Langudiasjpg(Languèdias       foto di Massimiliano Di Giorgio)

Mi sono anche riconciliato con la Breizh Cola, cioè la cola “nazionalista” bretone, che è meglio della Virgin Cola e di altre bevande simili da discount. In certi bar, peraltro, si trova solo quella. Niente Coke.



*MASSIMILIANO DI GIORGIO (Roma, 1965. Ha lavorato negli anni Novanta all’Unità, poi all’agenzia Reuters. Dal 2019 è un freelance. Scrive praticamente di tutto, tranne che di sport)


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