Bielmonte ciaspole e passeggiate, un' oasi per tutte le stagioni

testo di MANUELA CASSARA'  foto di GIANNI VIVIANI*

Non sono una habitué della Montagna. Non ho il fisico. E non so sciare. Se proprio voglio essere benevola con me stessa, posso bluffare dicendo che scio male. Scio per niente è più onesto. Idem per il trekking, e di mountain bike non se ne parla. Camminare sì, camminare mi piace, ma basta una lieve salita e boccheggio. Deve essere una cosa congenita, perché succede da sempre. In discesa però, e lo dico con orgoglio, sono una capra; saltello impavida, seguita a distanza, con malcelata invidia, da chi non osa o non può. In discesa mi riscatto, faccio la mia bella figura.

Aggiungo: non conosco i funghi, non abbraccio gli alberi e capire  la mappa di un sentiero va oltre le mie capacità intellettive.  La Montagna, si potrebbe giustamente pensare, non fa per lei.

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(Crinali)

E allora perché ne scrive, a che titolo?

A nessun titolo, se non l’amore.

Perché io amo la Montagna; mi riempie il cuore di gioia.

Se solo ci credessi, mi sarei già messa d’accordo con Chi di dovere per rinascere e imparare a sciare da subito, da piccoletta, col baricentro ancora bassotto e l'animo impavido.

Da quando ci siamo trasferiti a Torino, la Montagna si è fatta più vicina. È il nostro orizzonte. Ci sono giorni che si ha la sensazione di poter allungare la mano e toccare quelle vette innevate.

Un supplizio di Tantalo, in tempi di Covid. Dopo un anno di restrizioni la voglia d'aria, d'evasione, la ribellione alla costrizione sobbolle sotto pelle, persino sotto quella di due anziani costretti a essere pantofolai. La Valle d'Aosta, con Courmayeur e Chamonix erano off limits, ma poco male, visto che gli spostamenti interregionali ci erano concessi. (ndr: Il tempo di buttare giù due appunti e dal primo di marzo sono già revocati). Le possibilità non mancavano nella Provincia Granda, il Cuneese. O nella più vicina Val Susa, con Souze D’Oux, Bardonecchia e Sestriere, che sono poi i posti più frequentati dagli sciatori torinesi. Ambedue scartate, dopo averle considerate.

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(Crinali)

 Va ricordato che il nostro ago della bilancia pende sempre a favore del piacevole comfort, dell’atmosfera e non solo della praticità. Nel Biellese le alternative di un certo charme (non parlo di lusso, quello non ce lo possiamo permettere e comunque non ci piace) non mancavano, ma grazie all’offerta di un lungo week end a prezzo scontato avevamo optato per l’accogliente Albergo Bucaneve in quel di Bielmonte, a 1500 metri d'altezza, fulcro dell’Oasi Zegna,  crocicchio dei sentieri predisposti per piacevoli ciaspolate con vista, perché era quello il nostro intento, trovare la neve, farci delle sane camminate tra i boschi, bruciare qualche caloria e rimpiazzarla abbondantemente la sera con una sostanziosa cenetta.

Un'offerta alla quale era difficile resistere, resistenza comunque combattuta e vinta dopo aver superato in famiglia - siamo in due e le scelte democratiche pendono a favore del più dialettico, io - i rigurgiti di paura del virus. Finora tutto bene, lo dico per tranquillizzarvi.

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(Merletti)

Era il 1910 quando il primo di uno dei tanti Ermenegildi Zegna fondò, insieme ai fratelli, il lanificio omonimo  a Trivero, sperduto paesino nel Biellese, zona che la provvidenza aveva dotato di acque purissime, le più leggere d’Europa affermano gli storici aziendali, perciò adatte alla produzione di pregiati tessuti maschili dal peso piuma, in kid mohair, in cachemire, in alpaca e vicuña. Inizia così, con determinazione e una buona dose di senso strategico, il successo e il feudo della Ermenegildo Zegna, azienda da decenni nell'Olimpo del Made In Italy; una delle poche sopravvissute, per scelta di nicchia e target, il lusso, alle tante  filature che un tempo affollavano la valle, che garantivano lavoro e benessere diffuso e che ora, nel migliore dei casi, faticano a sopravvivere.

Percorrendola oggi, quella valle, rimangono le vestigia malandate o abbandonate di tante aziende e la cosa fa una certa tristezza. Negli anni '80, ricordo, erano meta di pellegrinaggi da parte dei rapaci venditori di pubblicità dell'allora rampante "sistema moda" di cui anch'io e mio marito facevamo parte, con compiti diversi ma complementari. Lui inviato dalle prestigiose testate del gruppo Vogue per fotografare aziende e imprenditori, io per raccontarne le storie, i successi, le aspirazioni, mentre i promotori pubblicitari barattavano quei "redazionali" con pagine pagate a caro prezzo. Un sistema obsoleto, che si è sfasciato per colpa del web, dei cosidetti influencers che si sono sostituiti alle pagine patinate dei giornali di settore e dei femminili; paesi lontani si sono accaparrati la produzione dei filati, senza guardare tanto per il sottile in fatto di qualità. Ma la Ermenegildo Zegna è rimasta un fiore all'occhiello del "made in Italy", dal filato al tessuto si è verticalizzata nella confezione di un abbigliamento maschile rivolto al dirigente rampante e ha inglobato nella sua costola di Adamo il marchio Agnona, destinato alla di lui Eva, una languida signora bon ton vestita di cachemire in tinte pastello. 

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(Solitudine)

Un Gruppo con grossi numeri, che dà lavoro a 7000 dipendenti, con 500 punti vendita nelle capitali mondiali, un miliardo di fatturato, diverse joint venture produttive e una diversificazione del marchio che include occhiali e profumi. Non male per questi valligiani con il pallino di fare le cose per bene. Un pallino tramandato da Ermenegildo in Ermenegildo: la voglia di celebrazione e riqualificazione del territorio sancita con la creazione dell’Oasi Zegna nel 1993, già allora accessibile tramite la “panoramica” Zegna, 26 chilometri di tornanti ben tenuti che collegano Trivero con le piccole località adiacenti. 

Un progetto pregevole, comunicato con grande dispendio di mezzi e di carta stampata. All’Albergo Bucaneve non c’è tavolino o mensola, in camera, alla reception, al ristorante e nelle zone relax, che non sia occupato con pile di mappe, cartelline e libricini esplicativi a disposizione degli ospiti per raccontare i perché e i percome dei successi del gruppo, dell’ impegno a salvaguardare il territorio, ad esaltarlo e farlo apprezzare. Un lavoro encomiabile, direi pure parecchio costoso. Che sicuramente, per l’azienda,  ha dei ritorni e non solo d’immagine.

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(In vetta)

Il processo, c’informa con dovizia di dettagli la comunicazione aziendale, era iniziato negli anni ‘30, con il rimboschimento voluto dal primo Ermenegildo, precursore di una “rivoluzione verde” diventata un bisogno diffuso, che sarebbe cosa buona e giusta venisse adottata altrove, per restituire un poco quanto sottratto. La staffetta è passata agli eredi, tramandata a tutti gli Ermenegildi subentrati nel tempo, che non si sono tirati indietro.

A oggi sono stati piantumati 500.000 alberi tra querce, faggi, betulle, conifere, su una superficie di 100 km quadrati, trenta volte quella del Central Park a Manhattan. Per celebrarli, l’ennesimo piccolo pieghevole c’invita ad abbracciarli, percorrendo il Bosco del Sorriso; un cammino contemplativo tra i loro campi elettromagnetici, le cui valenze rigeneranti, ci viene spiegato, riequilibreranno il nostro livello bio energetico; anche se non sono ben sicura di cosa significhi esattamente. Ma dato che persino la mia rozza anima laica si sente rinfrancata e in pace con l’universo dopo una bella camminata nel bosco, sono disposta a crederci sulla parola.

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(Gita a Biella)

Attendo con ansia di ritornare in primavera per godere della fioritura nella magnifica Conca dei Rododendri: piante rigogliose che seguono la strada già dalla rotonda che porta a Bielmonte, per allargarsi intorno a un comodo percorso che si snoda al suo interno, attrezzato per disabili, con area giochi e pic nic. Percorso la cui spettacolare e diversificata fioritura inizia a maggio, subito dopo quella dei ciliegi, e prosegue tutta l’estate con quella delle ortensie per finire in bellezza in un tripudio di foliage ad ottobre e di camelie a novembre. 

Nei mesi restanti si scia: cinque piste da fondo piacevolmente estese e variamente impegnative, mentre quelle per la discesa sono a misura di famiglie, con un’unica nera, peraltro breve, per i più esaltati. Oppure si ciaspola, come nel nostro caso.

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(Un posto al sole)

In tutto undici tratte - tra il facile e il medio, con dislivelli mai superiori ai 350 metri e qualche breve, più impegnativo, passaggio in salita - che d’estate si trasformano in piacevoli passeggiate nel bosco.

Noi vigliaccamente, o forse è il caso di dire saggiamente, avevamo optato per il track 5b, da Bocchetto Sessera fino ad Alpe Moncerchi, un loop di quattro km e mezzo a prova d’infanti, con pendenza da Paesi Bassi, cioè inesistente, a parte l’ultimo pezzetto in salita, dove avevo ritrovato lo sprint necessario per assicurarmi la panca, una birra e un panino al piccolo chalet preso d’assedio. 

Imbarazzante nella sua pochezza e facilità, ma su Facebook abbiamo fatto un figurone.  

*MANUELA CASSARA’ (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto) 

*GIANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)


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