Bicentenari - L'Elba e Napoleone, la strana coppia / 1

di BRUNO MISERENDINO*

Dieci mesi. Tanto è durato il dorato esilio di Napoleone all’Elba, prima della fuga e della fatale Waterloo, e tanto è bastato all’isola per diventare famosa e entrare nei libri di storia. Una manna, per l’Elba, quell’esilio. Ma nonostante molto si sia scritto e romanzato sulle vicende che hanno accomunato l’isola e il più grande,  discusso e discutibile condottiero dell’epoca moderna, non tutto è lineare in quel legame. Strano e ambiguo, da una parte e dall’altra. Terminato con una ancor più strana fuga. Non è stato un vero grande amore, si direbbe piuttosto un matrimonio d’interesse. Ognuno ha preso quel che poteva, tra infatuazione iniziale, assuefazione e poi rimpianto, persino una certa indifferenza postuma da parte dell’isola.

Quest’anno si celebra il bicentenario della morte di Napoleone e ogni luogo toccato dalle turbinose imprese del personaggio si prepara all’evento in pompa magna, compresa L’Elba che è stata una delle tre isole del destino. Dopo l’amata Corsica, in cui il generale è nato, e Sant’Elena dove è morto, il 5 maggio del 1821 (“ei fu, siccome immobile…”). A Sant’Elena ci vanno in pochi perché è sperduta in mezzo all’Atlantico, invece Corsica e Elba possono e vogliono sfruttare l’evento. Da indagare e studiare c’è molto e pare si faranno le cose in grande. Covid permettendo.

L’Elba un suo bicentenario napoleonico l’ha già ricordato sette anni fa, perché l’Imperatore sconfitto arrivò sull’isola nel 1814: convegni, replica dello sbarco in costumi d’epoca, figuranti che si aggiravano sui traghetti vestiti da attendenti dell’Armèe, un attore identico a Napoleone che bazzicava con aria sussiegosa il centro di Portoferraio e iniziative in tutti i luoghi dell’isola frequentati dal Generale. Quest’anno si replica perché si è capito che l’evento attira visitatori e valorizza un’immagine culturale di cui l’isola ha bisogno per non rassegnarsi al turismo di massa mordi e fuggi.  

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(L'incoronazione, di Jacques-Louis David)

Se si va sul posto o si leggono epistolari, biografie, romanzi, aneddoti che parlano e straparlano dei dieci mesi passati dall’imperatore sull’isola, comprese due perle come il libro “N” di Ernesto Ferrero e il film di Virzì che a quel romanzo si ispira, si capisce quanto l’Elba deve a Napoleone, al di là del giudizio storico sull’uomo e le sue guerre. Le ha dato molto. Non per calcolo o necessità, ma per carattere. Ha dedicato attenzione, ha lasciato un’impronta, simboli, residenze, un teatro, strade, persino la bandiera. Riportato all’oggi, in dieci mesi ha fatto più Napoleone di quanto un grande sindaco farebbe in dieci anni. Non era obbligato, in fondo era in esilio. Assediata dal turismo, da decenni l’isola lo ricorda meno di quanto dovrebbe. E di quanto le converrebbe.

E’ vero, la scelta dell’Elba fu un ripiego per Napoleone. Dopo la ritirata di Russia e la sconfitta di Lipsia, provò a farsi mandare nella sua Corsica. Ma non si poteva, ovviamente. C’era già chi voleva spedirlo molto più lontano, alle Azzorre o a Sant’Elena. Su pressione dello zar Alessandro, al grande sconfitto fu lasciata la scelta tra l’Elba e Corfù. Ovviamente Napoleone scelse la prima. Era mezzo italiano, la madre era una nobildonna di origini toscane, si sentiva a casa. Il trattato di Fontainebleau ratificò la scelta non senza contrasti. Talleyrand, ex ministro napoleonico, poi suo avversario, avvertì tutti: l’isola toscana è troppo vicina e Napoleone “spierà l’Europa dal buco della serratura”. Esatto. L’Elba, baciata dalla storia e dal caso, si riempì di colpo non solo della corte privata di Napoleone, di un suo battaglione di 800 uomini e di inglesi che lo dovevano controllare (male, come si sa), ma anche di veri o presunti patrioti che volevano farlo ridiventare Re d’Italia, di delusi e sicari che volevano farlo fuori, soprattutto di informatori dello stesso Napoleone che facevano la spola col continente. Una massa di intrusi e di trame che sconvolse la vita povera e sonnolenta dei tredicimila abitanti dell’isola.

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(L'isola d'Elba)

L’Elba però, soprattutto all’inizio, vide la parte buona e utile di questa irruzione, che resiste tuttora. Conobbe il Napoleone politico, deciso a fare, edificare e migliorare, e abile non solo a costruire le sue residenze ma anche a stabilire un legame vero con l’isola. Per lui non era scontata una buona accoglienza, perché i francesi per vecchie ruggini non erano ben visti. Aspettò una notte all’àncora in rada per sondare gli umori, poi prima di sbarcare fece leggere all’allora reggente dell’Elba, il Generale Conte Dasleme, un perfetto proclama populista: spiegava come lui non avesse scelto l’isola per caso o perché costretto, ma “per la mitezza del clima e la gentilezza dei suoi abitanti”, prometteva che lui sarebbe stato un “buon padre” e si aspettava che gli isolani sarebbero stati dei “buoni figli”.

Mentre comparivano manifesti che inneggiavano all’evento più fortunato della storia dell’isola, fece issare sul pennone più alto di Portoferraio una nuova bandiera ideata e disegnata da lui stesso, che è tuttora il simbolo dell’Elba: sfondo bianco, diagonale rossa su cui insistono tre api d’oro. Si promettevano attenzione, ricchezza e celebrità, la fama di Napoleone era immensa, gli isolani erano contadini poveri, minatori, pescatori, come resistere alle lusinghe? Infatti il giorno del fatidico sbarco, alle quindici del 4 maggio 1814,  il molo era pieno di gente entusiasta. Gli furono date le chiavi della città di Portoferraio, (in realtà erano le chiavi della cantina del sindaco rivestite di porporina), e l’isola, allora divisa in tre, fu riunificata in un unico principato, di cui lui divenne padre, padrone e uomo del destino.

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(Una chiesa all'Elba)

Che davvero Napoleone pensasse di trasferirsi all’Elba come un pensionato appariva probabile come la neve d’estate. Ma dopo venti anni di guerre si combinarono due elementi: Napoleone abile a far credere che aveva scelto il “buen retiro” e le corti europee innamorate dell’idea che fosse vero. Fingere, dissimulare. Sempre. Quella dell’Imperatore fu una strategia logica, ma anche naturale, per un uomo come lui abituato a dare il massimo in ogni sfida, dalla più grande alla più piccola. Aveva un piccolo Principato, l’avrebbe reso grande. Soprattutto l’avrebbe rimpianto, come scrisse da Sant’Elena prima di morire.

Se si va sull’isola e si legge qualcosa sulla sua vita durante i dieci mesi, si tocca con mano questa doppia immagine di Napoleone. All’ingenuo colonnello inglese Campbell faceva il pianto: “L’imperatore è morto, il mondo lo dimenticherà, io non mi occupo più che della mia isola, della mia casa, delle mie mucche…”. Ma nel frattempo riceveva spie e informatori che lo ragguagliavano sulle novità in Francia e in Europa.  L’isola era inevitabilmente troppo piccola per le sue smisurate ambizioni e per la sua voglia di rivincita. Ma si vede che lui all’Elba ha voluto bene, sinceramente. Non ha mai escluso di ritirarsi lì. Ne ha amato molti luoghi, che conservano storie e aneddoti del suo passaggio, e non c’è borgo o territorio in cui non abbia fatto o migliorato, o solo progettato qualcosa. Soprattutto c’è un impronta senza la quale l’isola sarebbe diversa e più povera.

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(L'addio a Fontainebleau)

Bisogna vederlo all’opera, in quel paesaggio pigro, fatto di paesini, macchia e rocce. Il giorno dopo il suo insediamento era a cavallo per esplorare l’isola palmo a palmo e per cercarsi casa, perché quella che gli avevano trovato al Municipio non gli piaceva proprio. “Mia buona Luisa –scrisse alla moglie che non verrà mai all’Elba – l’isola è molto graziosa, gli alloggi sono mediocri ma ne farò preparare degli altri in poche settimane”. Gli bastarono pochi giorni. Scelse residenze e giardini per sè e la sua corte, avviò ristrutturazioni e ampliamenti, anche di un teatro. Vide con orrore che a Portoferraio molte case non avevano latrine con conseguenze spiacevoli per l’igiene pubblica e diede ai proprietari due mesi di tempo per farle. Fece costruire strade e anche ponti, tra la meraviglia degli isolani. Nel giro di poche settimane spinse i proprietari di terra a incrementare la produzione agricola (grano, miele, olio, vino), dotando l’ottimo Aleatico di un marchio, in pratica l’anticipazione di quella che è ora la Doc per i buoni vini. Riattivò le miniere, per esportare il ferro. Il tutto, appena le residenze furono pronte, condito da balli e feste a corte per le famiglie più in vista dell’isola, sotto la direzione della sorella Paolina. La manna, appunto.

Molte cose rimasero sulla carta, perché Napoleone faceva e distruggeva e poi rifaceva, ma la scossa ci fu, la ricchezza e i traffici aumentarono, arrivarono soldi e i primi turisti della storia elbana. Venivano per vedere lui, l’esiliato più famoso d’Europa. Appena ebbe a disposizione le residenze iniziò a riceverli, la mattina, anche se sapeva di fare la parte della bestia feroce in gabbia. Ricevette persino nobili inglesi, i nemici per eccellenza. Però portavano soldi e lui e la sua Corte ne avevano bisogno.

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(Il teatro dei vigilanti)

Le realizzazioni sono tuttora i simboli dell’isola, insieme ai resti romani e ai forti medicei. Ad esempio il Teatro dei Vigilanti, piccolo capolavoro architettonico con 4 file di palchi e una ridotta platea, ottenuto all’interno di una Chiesa sconsacrata nella parte alta di Portoferraio. Per finanziarne la costruzione Napoleone adottò una tecnica infallibile: mise in vendita i palchi prima di avviare i lavori, così le famiglie più in vista dell’isola fecero a gara per comprarli a prezzi molto alti. Fu in quel teatro che la sorella Paolina diede la famosa festa di Carnevale del 1815, che si dice sia servita a Napoleone per dileguarsi dall’isola. La vicenda, come vedremo, è più complicata. Da tempo il teatro è stato riportato alla sua bellezza originaria e viene usato per spettacoli e concerti, tra cui a settembre alcune serate del Festival “Elba isola musicale d’Europa”, il più importante appuntamento culturale dell’estate.

E poi le due celebri residenze napoleoniche, diventate musei nazionali. Sono ampliamenti di costruzioni settecentesche già esistenti, adattati con stile a un’isola semplice e rustica. La più piccola delle due è “la angusta e augusta” Villa dei Mulini a Portoferraio, nella parte alta, accanto al faro, vicina ai forti Stella e Falcone, i gioielli medicei dell’isola che qualcuno sogna di inserire tra i siti dell’Unesco. Quando arrivò Napoleone in poche settimane divenne una splendida palazzina a due piani, con vista sul mare a nord dell’isola e sull’ingresso alla rada di Portoferraio. Da lì si controlla chi parte e chi arriva: Napoleone non voleva solo fuggire, voleva anche evitare di essere ucciso.

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(Portoferraio)

La versione finale venne su a tempo di record, il Generale in persona diresse i lavori. Dormiva in tenda nel giardino, la mattina faceva colazione con uovo sodo e pane insieme agli operai che pagava personalmente. Ci andò ad abitare quando ancora i lavori non erano finiti, con l’odore della calce e l’umidità della pittura che trasudava dai muri. Iniziò a dormirci già a giugno, anche se al sonno non dedicava più di quattro ore per notte. Ad agosto arrivò la madre Letizia, l’amatissima Madame Mère, e l’inquieto figlio le trovò alloggio in una casa vicina. Lo aiutava a tenere i conti, che sarebbero diventati presto il problema principale, e la sera lei andava alla Villa dei Mulini per assicurarsi che dormisse. Lo accarezzava sulla testa: “Di quanto affetto hai bisogno, figlio mio…”. Anche alla madre l’Elba piaceva “per quei tanti colori, per quelle tenui trasparenze”, ma quando il figlio decise di tornare in Francia la madre lo capì. E lo aiutò.

Napoleone si svegliava alle cinque.  Mentre tutti dormivano lui faceva conti e progetti, pensando anche all’altra residenza, in località San Martino, a cinque chilometri da Portoferraio. E’ alla fine di una valle circondata da colline di macchia mediterranea, con lontana vista sul mare. Perché costruire due costose dimore se si pensa di stare sull’isola poco tempo? In realtà la seconda era stata pensata per ospitare degnamente la moglie Maria Luisa d’Austria, che per varie ragioni, come vedremo, non ci mise mai piede. Ma scelse il luogo anche per avere un parco e terre da coltivare. Oltre a interessarsi di storia, filosofia e ingegneria, l’Imperatore era anche un appassionato giardiniere, e infatti la residenza avrebbe un parco grande e splendido. Solo una parte è curata come merita e si confida nel bicentenario.

Gli elbani, all’inizio, hanno voluto bene a Napoleone. Una volta l’Imperatore passò a Lacona, dove c’è una delle spiagge più grandi dell’isola. Vide un contadino che conduceva i buoi e volle cimentarsi. Disastro. Una targa, affissa su una vecchia casa, poi diventata balera, bar, discoteca, recita con un pizzico di bonaria ironia: “Napoleone/ quivi passando nel MDCCCXIV/ tolto nel campo adiacente l’aratro a un contadino/ provavasi egli stesso ad arare/ ma i bovi ribelli a quelle mani/ che pur seppero infrenare l’Europa/gli fuggivano dal solco”. La brutta figura non scoraggiò Napoleone, che si era innamorato del luogo, selvaggio, quasi deserto, con una piana incolta e acquitrinosa e una corona di colline che si protendevano in mare.  

Sulla spiaggia andò più volte con qualche signora per passeggiate non innocenti, tentò di far bonificare la piana, andò a caccia su una delle due penisole (Capo Stella), gli venne in mente di creare un istmo in modo che la penisola diventasse un’isola, e poi pensò di comprarsi tutta la località. Solo fumo per le corti europee? Recitava, ma si ritagliava spazi e tempi per godersela, l’isola. La selvaggia Lacona, la famosa “sedia” su un costone di granito da cui scrutava l’orizzonte e la Corsica, la celebre Fonte di acqua minerale tra Poggio e Marciana (che tuttora si vende imbottigliata con l’etichetta Fonte di Napoleone), la spiaggia delle Viste, sotto la villa dei Mulini, dove scendeva d’estate a fare il bagno. Lo sentivano mormorare: “Che meraviglia, che meraviglia…”. 

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(Villa San Martino a Portoferraio)

E c’era anche un altro luogo speciale, per lui, quel romitorio della Madonna del Monte, immerso tra i castagni sotto la mole del monte Capanne, la vetta dell’isola, dove d’inverno arriva la neve. Lì portò in gran segreto l’amante polacca Maria Walewska e quei tre giorni di settembre del 1814 con l’unica donna che Napoleone abbia davvero amato sono diventati romanzi e film. La fece sbarcare in incognito, insieme al figlio Alexandre avuto con lei, li fece scortare in carrozza poi andò a prenderli a cavallo. Fece ripartire l’amata e il figlio di notte, temendo che le voci della visita arrivassero alla moglie Maria Luisa. Il mistero durò poco e sulle Gazzette del tempo arrivò di peggio. Si sparse la voce di una visita segreta della moglie. Difficile, quindi, che Maria Luisa non abbia saputo. Ma con la consorte i problemi non derivarono da Maria Walewska. Dopo qualche mese dal suo arrivo all’Elba i rapporti si freddarono, l’epistolario cessò, lei non venne mai e divenne ostaggio della Corte viennese e di Metternich, il gran regista del congresso di Vienna. Napoleone capì che volevano spedirlo molto più lontano, o peggio, ucciderlo.

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(Villa dei mulini)

Quando iniziò a temere le manovre dell’Europa, anche il suo legame con l’isola si fece più difficile. Le tante spie di cui pullulava l’Elba durante la sua permanenza stendevano rapporti al Granducato di Toscana in cui descrivevano gli abitanti dell’isola sempre più diffidenti nei suoi confronti, dopo gli iniziali entusiasmi.  C’era un perché. I progetti avviati da Napoleone per amministrare l’isola e farla crescere costavano, quindi tasse e tributi erano alti. E le cose erano peggiorate nell’autunno del 1814 quando gli appannaggi previsti dal Trattato di Fontainebleau non arrivarono più. Come si direbbe adesso, Napoleone non trovò altra soluzione che mettere le mani nelle tasche degli isolani. La gente si divise tra chi ancora esaltava il Generale per la svolta che aveva impresso all’isola, e chi pensava che Napoleone voleva solo sfruttarli.

Poiché allora l’opinione dei sudditi contava zero, e poiché Napoleone era prima di tutto un militare, arrivò l’occasione per usare il pugno di ferro. Un piccolo centro dell’isola, Capoliveri, si rifiutò di pagare i balzelli, ne nacque un braccio di ferro e Napoleone spedì sul posto una guarnigione minacciando di radere al suolo il paese. I capoliveresi non volevano cedere e per uscire dallo stallo, sapendo quanto il generale fosse sensibile al fascino femminile, mandarono a trattare una bellissima giovane, di nome Vantina. La leggenda vuole che al primo sguardo riuscì a convincere Napoleone a non radere al suolo Capoliveri. In effetti l’accordo ci fu, non si sa per merito di Vantina, ma i rapporti tra quella parte dell’isola e Napoleone restarono sempre piuttosto tesi.

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(Capoliveri)

L’episodio fu il segno di un nervosismo e del bisogno di soldi, che diventava assillante. Le cose peggioravano per lui sull’isola e a Vienna, molti informatori venivano all’Elba a chiedergli di fare il Re d’Italia, i francesi lo rivolevano. L’idea della fuga prese corpo. Solo che si realizzò in modo strano e romanzesco, come strano e ambiguo era stato il suo legame con l’Elba. Lo sapevano tutti sull’isola che se ne sarebbe andato, meno chi doveva controllare. E’ una storia che va raccontata a parte. Per l’Elba non fu la fine della manna. Anzi. Se ne andava un Principe ingombrante ed esoso, restava il mito. Poi l’isola avrebbe messo in cantina anche il mito.

PS. La fuga non fu una manna per un’elbana, Maria Santelli. Cuoca bravissima, Napoleone se la portò dietro perché la voleva come vivandiera. Fu la prima vittima della fatale Waterloo. La sua lapide, in francese, recita così: “Marie Santelly, née a l’Ile D’Elbe, vivandière du XVI Regiment de Borgogne, première victime de la bataille”.


BRUNO MISERENDINO (Nato a Roma nel 1951, inutile laurea in Storia, insegnante e poi giornalista all’Unità per 33 anni, inviato di politica per troppo tempo e per questo pre-pensionato felice. Amo la musica, anche se il violoncello non se ne accorge, alle città preferisco montagne, deserti e mare. Prima o poi andrò a vivere all’Elba. Ma devo sbrigarmi)

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