Bernal, Caruso, Yates: tre facce operaie sul podio

di PAOLO BRANCA*


C'è un colombiano, un italiano e un inglese.

Contrariamente a come va nella vita, quello con i maggiori agi è il colombiano. Ha una squadra ricca e potente, dei compagni fortissimi che lo aiutano e lo scortano, sul passo, in discesa e soprattutto in salita.

L'italiano ha fatto soprattutto questo nella sua vita ciclistica: aiutare un capitano. "Al campione di mestiere deve far da cameriere", recita la bella filastrocca di Gianni Rodari, appunto la filastrocca del gregario. Finché il suo capitano cade e si ritira, e per la prima volta si ritrova lui, l'italiano, a dover fare il "campione di mestiere". E scopre all'improvviso, già  avanti negli anni, di poterlo fare benissimo.

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L'inglese è il più imprevedibile, il più guascone, il più spettacolare. Non ci sta a fare l'outsider e ha il grande merito di provarci sempre, anche quando l'impresa non sembra possibile.

Alla fine il Giro d'Italia l'ha vinto Egar Bernal, il colombiano, e - squadra a parte - è una vittoria meritata. Bernal non è un vincitore qualunque, appena 24enne ha nel suo palmares già un Tour de France, e il suo successo serve anche a dare più lustro all'albo d'oro del Giro, che annovera i più grandi campioni di sempre ma anche qualche Carneade (Contrordine: in realtà chi porta la maglia rosa dopo 3500 chilometri in sella a una bicicletta non potrà mai essere definito un Carneade...). 

E' colombiano, ma anche un po' italiano: in Piemonte, nel Canavese, è stato adottato ciclisticamente da una squadra professional italiana, è diventato di casa, ha amici e fan, parla bene l'italiano, poi è approdato un paio di anni fa alla potentissima squadra inglese, ieri Sky oggi Ineos. E' un predestinato, ma la faccia resta da gregario, "il ciclista proletario", una faccia contadina temprata dal sole e dalla fatica.

Anche Damiano Caruso, il secondo, ha una faccia da lavoratore. Non a caso, nel ciclismo, si è sempre definito un "operaio specializzato". Sull'Alpe Motta, ultima salita della corsa rosa, sulla soglia dei 34 anni, ha ottenuto la sua prima vittoria al Giro d'Italia, se si escludono un paio di crono-squadre ai tempi della Bmc. Una vittoria straordinaria e non solo perché così a lungo attesa. Magari avrebbe potuto vincere anche il Giro, con una squadra più forte a supportarlo, ma in partenza il gregario più forte della sua "Bahrain" era appunto lui stesso...


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E una faccia tipica da operaio al pub il sabato sera ce l'ha Simon Yates, il terzo arrivato. Era nel gruppo dei favoriti, non a caso nel suo palmares c'è una Vuelta e il Tour of Alps, conquistato proprio alla vigilia della corsa rosa. Tre anni fa perse il Giro dopo averne dominato più dei due terzi, nelle ultime fatiche in salita. Questa volta ha corso all'opposto: abbastanza coperto nella fase iniziale, sfrontato e sempre all'attacco nella terza settimana. Ha vinto una bella tappa a Sega di Ala, quando Bernal è apparso per la prima volta in seria difficoltà, e in un certo senso si deve soprattutto al suo osare se il Giro è rimasto aperto sino alla fine.

Nessuno dei tre, a quanto pare, farà il Tour de France, quest'anno ancora più ravvicinato per non sovrapporsi alle Olimpiadi: troppo poco lo spazio per recuperare dalle fatiche rosa. Ma quella sarà un'altra storia. Con i suoi campioni, le sue imprese, i suoi colpi di scena e le sue facce da operai come quelle di un tempo.


*PAOLO BRANCA  (Cagliaritano, 1958. Giornalista in pensione dopo una vita professionale trascorsa interamente a l'Unità. Tra i suoi vanti aver visto il Cagliari vincere lo scudetto e aver corso sei volte l’Eroica da 135 chilometri)


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