Atene, Sparta e l'Ucraina. Secondo Tucidide

di ANNA DI LELLIO e GIGI SPINA* 

Tutto è cominciato venerdì scorso, alla presentazione del bel libro di Gigi Spina L’isola degli dèi. Procida capitale della Diacultura (Liguori 2021), libro nel quale si intrecciano personaggi e spunti tratti dalla mitologia greca e un’ immaginaria contemporaneità procidana.  Avendo accettato il generoso e inaspettato invito di Spina a presentare il libro insieme a Michele Napolitano, professore di letteratura greca all’università di Cassino, mi sono chiesta cosa mai avrei potuto dire in presenza di due eccellenti classicisti. 

Lo spunto me l’ha dato il divertente dialogo tra gli Ischitani e i Procidani che l'autore propone nel libro, ispirato dal dialogo tra i generali ateniesi e i Melii che Tucidide presenta nella sua Guerra del Peloponneso.  Ho immaginato nuovi protagonisti di quel dialogo antico, del quale parlo da anni durante la prima classe del corso su etica della guerra che insegno al programma di master in relazioni internazionali alla New York University. Certo, non insegno Tucidide in greco, ma nella lettura che ne fa il filosofo politico Michael Walzer nel suo Just and Unjust War (1977) pubblicato in Italia da Liguori (1990) e da Laterza (2009) come Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche



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Pensando a Melos ed Atene, mi sono venuti subito in mente l’Ucraina e la Russia. Come Melos, colonia spartana che restava neutrale e nonostante questo fu minacciata di estinzione se avesse rifiutato di assoggettarsi all’impero ateniese, l’Ucraina si è trovata di fronte ad un aggressore non intenzionato a ragionare. Come i Melii, ho immaginato Zelensky chiedere, e qui parafraso, “Ma perché vuoi la nostra completa soggezione, non ti basta che non siamo una minaccia per te?” E Putin, come gli Ateniesi: “Perché sono forte e posso fare quello che voglio, mentre voi, che siete deboli, dovete accettare quello che vi viene fatto.” 

Walzer suggerisce che questo scambio, interpretato nei secoli come un brillante insegnamento di realpolitik, o di forza bruta, contiene invece un insegnamento morale, un monito sui rischi dell’arroganza imperiale per Atene. Il pensiero mi ha rincuorato in questi giorni orribili: magari l’aggressione russa, così sorda alle sofferenze imposte agli Ucraini, sarà l’alba della fine definitiva dell’imperio (sic) di Putin. Ho quindi proposto a Spina questo mio tentativo di adattamento di un classico all’attualità, e qui chiedo scusa a Walzer che dice molte più cose brillanti su Tucidide e i Greci, ma sarebbe troppo lungo scriverne. 

Spina ha raccolto la mia provocazione con la sua solita gentile ironia, dicendo che la mia lettura di Tucidide era l’opposto di quella data da Luciano Canfora sul Corriere della Sera proprio quel giorno. Riassumendo brevemente, il professor Canfora dice che al di là di chi abbia dichiarato guerra per primo nella guerra del Peloponneso (gli Spartani), la responsabilità di quella  guerra sia da attribuire a Spartani e Ateniesi in modo uguale. Né la Russia né l’Ucraina vengono nominate nell’articolo, e tanto meno gli Stati Uniti, ma un lettore accorto capisce che il punto è di stabilire un’equivalenza tra Sparta/Russia e Atene/Stati Uniti con il loro stato cliente ucraino. 

Sono in completo disaccordo con questa tesi, ma non potendo discutere alla pari con il professor Canfora, lascio la parola a Gigi Spina. 

“Vedi, Anna, un filologo classico ha un vantaggio rispetto a Tucidide: conosce (almeno) sia il greco che la propria lingua. In teoria anche Tucidide avrebbe un vantaggio, quello di aver visto da vicino la guerra che descrive, la guerra cosiddetta del Peloponneso, e di conoscere, per così dire, il suo pubblico. 

Ma è un vantaggio irrilevante, perché non può comunicarlo in italiano e deve affidarsi all’italiano di un filologo classico. Dico italiano, ma vale per tutte le lingue del mondo. Il filologo classico può tradurre, interpretare, parafrasare, riassumere, sottolineare. Tucidide, quello che voleva fare lo ha già fatto. Per il resto è in balìa degli studiosi, i quali al massimo possono beccarsi fra loro, su Tucidide, ma non con Tucidide anche lui on line. E possono anche parlare di Tucidide perché altro si intenda. Mentre Tucidide non può parlare, per esempio, dell’invasione russa dell’Ucraina, per parlare di Pericle. 

È quella che Emanuele Narducci definì la sfortuna dell’antico.



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Allora, se un filologo classico vuole parlare, quasi sentendo di essere Tucidide, dell’invasione russa dell’Ucraina, può subito paragonarla proprio alla guerra del Peloponneso; quindi non un’invasione in quanto tale, ma una guerra fra due potenze abbastanza in equilibrio, destinate a guerreggiare per cause e concause remote. Ovviamente un filologo/Tucidide tralascia l’affermazione (I 23,6) che il conflitto aveva come motivazione più profonda e vera, mai dichiarata a parole, il crescere dell’impero ateniese che incuteva paura agli Spartani, sì da costringerli alla guerra. Questa logica, trasportata all’attualità, si tradurrebbe in questo scenario: l’Ucraina sta per invadere la Russia, e meno male che Putin se n’è accorto e ha invaso l’Ucraina preventivamente.

E invece un filologo/Tucidide sottolinea l’affermazione dello storico che la guerra la avviarono Ateniesi e Spartani, ma aggiunge, di suo, un insidioso entrambi. Solo che Tucidide usa un modesto kai (e) invece di quel -te che dovrebbe legare i nomi delle due città contendenti e renderle davvero entrambi. Quel -te che funziona come il famoso -que latino (ricorderai Arma virumque, all’inizio dell’Eneide). No, Tucidide dice solo che Ateniesi e Spartani diedero inizio alla guerra, pur sapendo che la prima mossa offensiva la fecero gli Spartani. 

Invece, un filologo/Tucidide fa notare che nella posizione incipitaria di Ateniesi rispetto a Spartani si vorrebbe rimarcare quasi una responsabilità più uguale per gli Ateniesi. Responsabilità della quale, però, Tucidide  sembra non tenere conto quando, proprio all’inizio del I libro, parla della guerra degli Spartani e degli Ateniesi, proprio in quest’ordine. Allora, chi è stato il più responsabile? 

Per questo l’analogia scricchiola, quando la usano i filologi classici, perché questo paragone non si può applicare all’invasione ben precisa e drammatica dell’Ucraina da parte della Russia. Insomma, l’Ucraina non è né Atene né Sparta, così come non lo è la Russia. Meglio chiamare le cose (o gli Stati), col loro nome, per individuare le attuali responsabilità. 

E poi un filologo classico sottolinea la propaganda, parola forte che Tucidide avrebbe imparato e usato volentieri. 

Perché il povero Pericle, capo di Atene, oligarca, principe e premier a un tempo, in questa analogia modernizzante; Pericle, che non scriveva sui giornali né parlava a reti unificate, ma si rivolgeva con competenza all’assemblea, in un primo discorso invitava i suoi a non darla vinta agli Spartani (I, 140-144, in particolare 140,2), da sempre nemici degli Ateniesi, inclini alla guerra e non alla discussione, agli ultimatum e non alle richieste; ma poi, in un successivo discorso, cercava di spronare alla resistenza dopo l’invasione e le distruzioni. Male per lui, perché viene sgamato da un filologo/Tucidide. Il quale, però, lungi dall’illustrare l’impianto argomentativo dell’intero discorso, coglie in flagrante l’oratore bellicoso a rivendicare i vantaggi dell’arché, dell’impero, e la necessità di difenderlo (II 63).



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 Perché si sa che la parola impero, anche se minuscola, per un italiano è sempre maiuscola, e fa venire la pelle d’oca, e bisogna contrastarla a tutti i costi. E quindi, se un filologo si sente di essere quasi Tucidide, allora Pericle non è un uomo d’onore, e l’assalita Atene diventa chiaramente assalitrice, in quanto Imperiale.

Anche in questo caso l’analogia scricchiola, ma Tucidide nulla può, non sapremo mai cosa avrebbe risposto e cosa pensava veramente. Sapremo come tradurlo, e anche bene. Il che, però, non risolve la questione.

E quindi, dal momento che il filologo classico che è in me - ma io al massimo riesco a essere Tolomeo Efestione, detto Chenno - non può neanche attingere, come facilmente fa Tucidide, ai mezzi che diffondono quotidianamente il suo pensiero tradotto in bella prosa, mi affido a questo amichevole dialogo su foglieviaggi e facebook, che mi guarderei bene dal considerare, per analogia, come una pietra su cui incidere, a mano, queste parole. La tastiera, per fortuna, è molto più veloce.”      


*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente) 


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