America, un elefante seduto su un coccodrillo

di FABRIZIO FUNTÓ*

Che succede se gli Stati Uniti d’America un bel giorno si svegliano e scoprono che il Dart Vader del loro immaginario collettivo non coincide più con il capo dell’Unione Sovietica, o con quello dell’Impero del Male cinese, bensì con il loro Presidente uscente (Potus, per i locali)?

La democrazia americana, la cosiddetta “più grande democrazia del mondo”, sta mostrando in questi giorni la corda. Già, perché se democrazia significa ogni tot anni andare a depositare una scheda con una X in un bussolotto, allora — e forse solo in quel caso — gli Usa possiedono la più grande democrazia del mondo.

Ma è una democrazia che si è rapidamente involuta. Forse a partire dal maccartismo, che ha definitivamente estirpato l’idea stessa di una alternativa socialista, in una terra priva di filosofia dello spirito e di profondo umanitaresimo.

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(Foto da pixabay)

Le crisi a ripetizione degli ultimi 25 anni hanno completamente cambiato lo scenario degli Usa, e dell’Europa. Anche se, assuefatti come siamo, non ce ne rendiamo più conto.

Tutto si tiene in equilibrio, nei sistemi complessi. E se bruci una componente, le pile sui piatti si sbilanciano e prima o poi cade tutto per terra. Gli americani hanno sempre orgogliosamente rivendicato il loro “empirismo”. Io aggiungerei anche il loro materialismo. Purtroppo per loro, l’uomo non è fatto di sola carne, e non si soddisfa coi beni materiali. Anche se te ne rimpinzi e ne hai a dismisura.

Infatti, se andate a chiedere ad uno statunitense medio che cosa sia per lui il “sogno americano”, vi risponderà inevitabilmente: “Fare un sacco di soldi e spassarsela”. È tutto incentrato sul denaro. Vuoi istruirti? Pagare. Vuoi curarti? Pagare. Vuoi abitare? Pagare una tombola. Così non funziona, prima o poi il banco deve saltare.

Se arrivasse una fatina con la bacchetta magica e facesse sparire di colpo il denaro, tutto il denaro,  gli americani non saprebbero più che fare. Per questo la fatina del Covid-19 (se mi passate la metafora blasfema) è stata “rifiutata” non solo da Trump, ma anche dall’enorme complesso produttivo, comunicativo e di controllo USA.

Ironicamente, noi europei guardiamo alle decine di barboni che vivono sotto i ponti su cui passano le freeway delle grandi metropoli americane come a dei potenziali ricchi momentaneamente all’addiaccio. Ma l’ossessività con cui il popolo americano viene tartassato dal binomio “democrazia più grande del mondo” e “terra del sogno americano” è quasi incomprensibile fuori dai loro confini. Ricordatevi lo sloga di Trump: Rifaremo l’America Grande! Ma grande in cosa?

La democrazia americana è come un elefante seduto sopra un coccodrillo. Finché l’elefante e grande e mangia, il coccodrillo rimane schiacciato sotto l’enorme posteriore del pachiderma. Ma appena questi accenna a dimagrire, il coccodrillo si divincola e se lo mangia.

Ma chi è in questo caso il coccodrillo? Cosa fa?

Chi ha vissuto negli Usa lo sa bene. Le isole metropolitane sono invase da poveri, da persone anche perbene che, uscite dal processo produttivo per un nonnulla, per una sorta di “singhiozzo” imprevedibile del sistema, si sono ritrovate in un attimo diseredate ed esposte a tutte le intemperie. E non c’è più verso per loro di rientrare nel sistema.

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Per gli americani di città, l’indice del benessere della nazione non è dato dai discorsi a reti unificate del Potus, né dagli indici di borsa o dalle percentuali del dipartimento del commercio. Ogni mattina, il bravo cittadino sale in macchina e si reca al lavoro, passando di fianco ad un ponte, che è il suo vero termometro sociale. Quando l’economia va male, i ponti si riempiono di homeless, quando va bene si svuotano.

Ma con le crisi che si susseguono senza sosta a partire dagli inizi di questo millennio, i sotto-ponti sono occupati stabilmente, e recentemente cominciano ad esserlo anche i parcheggi, dove iniziano a fiorire tendopoli stabili. Accampamenti.

Una democrazia che ha al proprio interno 50 o 60 milioni di persone che mangiano ogni giorno solo grazie alle tessere annonarie (foodstamp, pari ad un pranzo da McDonald), e che hanno un sistema di istruzione apparentemente libero e splendido, ma in realtà legato alle rette esorbitanti che i genitori abbienti o anche solo benestanti devono pagare, e che sforna sempre meno laureati — e quelli che sforna sono in buona parte indebitati per i loro primi venti o trenta anni di lavoro — non può funzionare.

Pochi ci credono, ma la gran parte degli americani raramente è mai uscito dal proprio stato, o dalla propria contea. Raramente è acculturata. Raramente è intelligente. Ma sente dentro una enorme rabbia per essere stata privata del “sogno americano” con il quale viene martellata, e che non vede mai.

La democrazia americana comincia a far acqua da tutte le parti. Ed è diventata un vero e proprio colabrodo perché si sa, le crisi arricchiscono chi ha più soldi, ed impoveriscono chi sta in basso. Lo impoveriscono fino ad essere buttato fuori di casa e messo sul marciapiede in un attimo.

Quando gli economisti americani strillano perché la loro middle class è stata distrutta da politiche finanziarie e monetarie neoliberiste, non stanno facendo un proclama economicista: stanno dicendo che la loro democrazia è giunta al suo atto finale.

La solidarietà sociale viene praticata in Usa dalle sette religiose. Per questo sono piene: non esiste alcun altro paracadute per chi è indigente. Trovare un riparo significa votarsi a un qualche guru. E la povera gente ha sempre bisogno di un giaciglio nel quale addormentarsi e nel quale sognare il proprio “sogno americano”, perché l’ideologia dominante permea perfino il più disastrato.

Mi chiedo se mai arriverà un giorno in cui qualcuno di loro ci dirà, una benedetta volta, in cosa consista veramente questo “sogno”. Perché attualmente, con uno scarto di pochi punti in percentuale fra Biden e Trump alle recenti elezioni, e con la rottura di tutti gli equilibri e tutte le cerimonie del politically correct da parte del non ancora deposto Potus, dobbiamo ammettere con realismo che in realtà quel sogno è oramai un incubo. E può diventare il nostro peggiore incubo.

Che succede, infatti, se un nuovo Imperatore del Male viene insediato alla Casa Bianca, con mezza nazione di straccioni infervorata e adorante nei suoi confronti? Cosa possono fare le forze armate, insieme all’impressionante apparato di intelligence interna ed esterna in grado di controllare i flussi di informazioni planetarie, e con la capacità di colpire chiunque in ogni parte del mondo nell’arco di pochi minuti — al servizio del maligno? E le grandi banche, i fondi pensione, i capitali di investimento, e per chi non ha orecchie delicati il centro mondiale della massoneria, dietro il pifferaio matto?

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No, non stiamo evidentemente parlando di “una” democrazia. Stiamo parlando di un enorme rischio. Per l’intero pianeta. Per questo le spesso labili regole che la sorreggono, l’enorme “non-detto” che chiamiamo fair play, le intese cordiali a non tirare troppo la corda, non reggono più.

Gli americani hanno oggi una occasione più unica che rara: rimettere mano alle loro regole, invecchiate logore e oramai insensate, pensate secoli orsono da un gruppo di vecchi schiavisti a loro uso e consumo, e dare vita ad una moderna democrazia, fatta di pesi e contrappesi, ma anche di un new deal che scenda per strada, tra la gente, e provveda a riequilibrare le sorti, a trasferire ricchezza e servizi, a consentire una assistenza sanitaria e una educazione per tutto il Popolo di cui la loro costituzione parla.

Se non ce la fanno, la loro democrazia tossirà ancora per un po’, illudendosi che si tratti di una mera influenza. Quando la diagnosi vera arriverà, forse sarà troppo tardi.  

Ora hanno scoperto, guardandosi nello specchio di Trump e non riconoscendosi, che lo specchio non era deformato, e che gli rimanda indietro esattamente la loro immagine: sono proprio così, deformi.

Se sono la terra della libertà e della democrazia, ora hanno l’occasione giusta per dimostrarlo al mondo intero. Ma principalmente a se stessi.


*FABRIZIO FUNTO` (Lecce, 1957. Filosofo pentito, docente mancato, è stato mandato subito a fare il guru della Realtà Virtuale e dell’Innovazione Tecnologica oltreoceano. Ci ha preso gusto. Ogni tanto tossisce qualche storia inattuale)


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