Alinari, e l'Italia com'era - 5) Bari, l'Acquedotto pugliese

di MADDALENA TULANTI *

(accompagnamento musicale di Mena Formato e Rossella De Ioanni) 

Potrebbe essere mio nonno quel signore a guardia del tubo dell’Acquedotto pugliese in corso d’ opera a Rutigliano, paesone agricolo alle porte di Bari, ripreso da un fotografo rimasto anonimo per i Fratelli Alinari, tra il 1910 e il 1914. Se la cercate nell’archivio dell’antica azienda fiorentina è la foto con il codice AVQ-A- 001026-0032. Ben vestito, di un’età indefinita, come spesso accade nelle foto che ci vengono dal passato, si appoggia amichevole su quella gigantesca cosa che presto o tardi sarà posta sotto terra per raccogliere l’acqua dalle sorgenti del fiume Sele, in Irpinia, e condurla verso la Puglia, la “sitibonda”, come la chiamava Orazio. 

In realtà quell’uomo sarebbe solo potuto essere mio nonno perché lui, mio nonno, Michele Lauriello, classe 1896, pur essendo stato invitato a partecipare all’”opera pugliese” da un amico del paese, Forchia, in provincia di Benevento (sì, quella delle forche caudine simbolo dell’umiliazione dei Romani), non riuscì ad andarci perché suo padre glielo impedì. Ce lo raccontava con dispiacere a noi nipoti, ma la storia ci sembrava noiosa e non ci applicavamo, preferivamo le altre, quelle che raccontavano gli incidenti che gli erano capitati al fronte della prima guerra mondiale, che, pur essendo sempre tragici, chissà perché ci facevano sbellicare dal ridere.



L’Acquedotto pugliese, noto agli autoctoni come Aqp, è il più grande d’Europa e non è esagerato dire che la sua realizzazione ha cambiato per sempre il volto della Puglia.

 Oggi in Puglia e altrove  è dato per scontato, se ne raccontano soprattutto le mancanze, tipo le condotte bucate che provocano la dispersione di una quantità immensa di acqua; oppure se ne parla durante le campagne elettorali quando la sua gestione rivela il grande potere di scambio per ottenere consensi. Ma all’epoca la sua costruzione era stata ritenuta talmente eccezionale da spingere uno dei nostri più grandi poeti, Giuseppe Ungaretti, a raccontarla in un libro, “Le vie dell’acqua”, risultato del suo viaggio nei territori coinvolti.  Per chi volesse approfondire i reportage di Ungaretti sono contenuti in una straordinaria  storia dell’Acquedotto in  tre volumi, editi da Adda nel 2019, curati da Emanuela Angiuli, per anni direttrice della Biblioteca provinciale di Bari. Veniamo a sapere così che l’idea di un acquedotto era nata fin dall’unità d’Italia, in seguito a una grave tragedia sanitaria provocata dall’ennesima epidemia di colera. Furono gli amministratori di Foggia e Bari per primi a bandire un concorso pubblico per l’ideazione e la realizzazione del progetto. Eravamo nel 1868 e questo concorso fu vinto da Camillo Rosalba, un ingegnere del Genio Civile, che per primo aveva immaginato di captare le acque delle sorgenti del fiume Sele, in Campania, e di condurle, attraverso una grande condotta, oltre l’Appennino, costruendo poi un canale lungo la sponda del fiume Ofanto, per attraversare tutta la Puglia e arrivare fino a Brindisi.

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(Calitri: case operaie     Autore non identificato        1910-1914 ca.     Archivi Alinari)


Bel progetto. Se non fosse stato che esso prevedeva la costruzione di numerose gallerie sotterranee prima che l’acqua potesse essere convogliata a destinazione, alcune lunghe anche 15 chilometri. Una difficoltà tecnica enorme per l’epoca visto che i  tunnel ben più piccoli di Starza e Cristina, sulla linea ferroviaria Foggia-Benevento, erano state completati con grande difficoltà.

 Insomma per farla breve bisognerà attendere ancora venti anni prima che il dibattito sulla costruzione dell’acquedotto torni di attualità.

Nel 1888 infatti con i soldi pubblici viene fondato il primo consorzio regionale grazie alla mediazione del parlamentare Giuseppe Pavoncelli, il cui nome sarà legato definitivamente all’Acquedotto perché ne sarà il primo presidente, una volta che la storia sarà finita. E perché così è stata chiamata la galleria che dal Sele porta l’acqua in Puglia, la stessa che si usa ancora oggi nonostante sia stata gravemente danneggiata dal terremoto del 1980 e sia stata sostituita dalla “Pavoncelli bis”. Per la cronaca costata più di 150 milioni di euro e oltre trent’anni di lavori, pronta dal 2017 e non ancora in esercizio per conflitti territoriali sollevati ora dai campani, ora dai molisani, ora dai lucani.

Se nel 1888 riparte il dibattito questo non vuol dire che si avvii anche l’opera, siamo sempre in Italia. Bisognerà aspettare infatti il 1902, quando il re Vittorio Emanuele III si esprime a favore della costruzione, solo allora l’orologio della costruzione può partire. Con la legge numero 245 del 26 giugno 1902 viene istituito ufficialmente il Consorzio dell’Acquedotto Pugliese, unito nel patto fra Stato e Province di Foggia, Bari e Lecce e, quattro anni dopo,  nel maggio del 1906, i lavori iniziano.

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(Spinazzola: costruzione del ponte sul Fosso Marchese     Autore non identificato      1910-1914 ca.        Archivi Alinari)


I numeri della più grande opera di ingegneria idraulica d’Italia sono impressionanti. Li riporta sempre Angiuli, riprendendo il lavoro del “reporter” Ungaretti.

Fra il 1906, come si è detto, la data di inizio dell’opera, e il 1939, anno del suo completamento, sono presenti nei  100 cantieri aperti, circa 22 mila operai al giorno, 60 ingegneri,  e 400 tecnici, fra geometri e disegnatori. Lungo il percorso che dalle foci del Sele porta a Leuca, dove arriva l’ultimo tratto, corrono 300 km di rete telefonica, 250 di ferrovia per il trasporto di operai, materiali e attrezzature, 250 km di tubazione per la ventilazione delle gallerie. Per la perforazione metallica si muovono 150 motori elettrici, 40 impianti per la perforazione delle pietre mentre si costruiscono 60 case canoniche, 150 smontabili, 300 baracche, 6 fornaci per i mattoni, 25 depositi di dinamite.

Partendo dal primo tratto, quello più impegnativo perché attraversa l’Appennino,  si scavano 38 gallerie per oltre 80 km, 61 nella dorsale pugliese. La galleria dell’Appennino, la citata Pavoncelli, sarà lunga oltre 15 km, quella delle Murge, con oltre 16 km, diventa la più lunga d’Europa. Saranno costruiti 5 pozzi di oltre 192 metri di profondità in quattro anni. Saranno realizzati 31 ponti canale sulla trasversale appenninica, 60 nel tratto della dorsale pugliese. “Sono vere opere d’arte in pietra squadrata, che raccordano i dislivelli, superano lame, fossati, valloni, rupi, fiumare, torrenti, resistendo alle piene invernali e alla spinta delle acque più impetuose", scrive Ungaretti.  


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(Rutigliano: tubi in corso di costruzione     Autore non identificato 1910 - 1914 ca.      Archivi Alinari)


Il 2 aprile del 1913 cade l’ultimo diaframma della galleria delle Murge e per festeggiare saranno usati i vagoncini della ferrovia usati dagli operai,  lanciati di corsa dentro il percorso.

L’azienda dei Fratelli Alinari è testimone della grande opera immortalandone i protagonisti (lavoratori, tecnici, ingegneri) e le fasi più importanti (scavi, costruzione di tubi, posa) in almeno 170 immagini. Sono tutte datate tra il 1910 al 1914, da quando cioè l’opera è appena iniziata a quando è quasi completa nella prima parte. Sono tutte identificate dal codice AVQ-A- 001026 per chi volesse andare a cercarle.  

L’acqua arriva a  Bari nel 1915. Sgorgherà per la prima volta da una fontanella di piazza Mercantile, a Bari vecchia, e ancora oggi i baresi del quartiere si mettono in fila per raccoglierla in grandi boccioni perché, sostengono, è l’acqua più buona del mondo. La vera festa però fu fatta all’inaugurazione della fontana monumentale di piazza Umberto, di fronte alla sede dell’Università,  che in quel tempo non era stata ancora costruita. Lo avrebbe fatto Mussolini nel 1925 e, incredibile ma vero, l’ateneo barese ne ha portato il nome fino al 2008.


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(Serbatoio di Bari     Autore non identificato    1910-1914  ca.    Archivi Alinari)


Pochi mesi dopo l’inaugurazione delle fontane i lavori dell’Acquedotto si interrompono, perché si devono scavare altre trincee, quelle della Prima guerra mondiale. Saranno ripresi nel 1919 e dureranno ancora venti anni.

Alla vigilia di un’altra guerra mondiale, la Seconda, Mussolini avrà il tempo di inaugurare l’ultimo tratto, a Santa Maria di Leuca, il tacco estremo della Puglia. E’ quello più spettacolare perché si trasforma, nel punto finale, in una fantastica cascata.

Un’ultima curiosità: l’Aqp si chiama così solo dal maggio del 1999, quando viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che sancisce la trasformazione dell'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese (EAAP), come si chiamava prima, durante e dopo il fascismo, in Società per azioni.

Lenti sono i cambiamenti in Italia, quasi sempre impercettibili.

*MADDALENA TULANTI (Napoletana, ha fondato nel 2000 e diretto fino al 2015 il Corriere del Mezzogiorno Puglia, dorso locale del Corriere della Sera, dopo essere stata capo redattore e corrispondente da Mosca per L’Unità. Oggi è editorialista di Telebari, la prima tv della città di Bari dove vive quando non si occupa dei suoi ulivi a Ostuni. Laureata in Russo con il massimo dei voti presso l’Orientale di Napoli è appassionata di politica internazionale e di geografia e lettrice avida e curiosa di ogni genere letterario. E’ separata, non ha figli, ha tre gatti e una splendida e geniale nipote)

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