Alba Fucens, l'impero romano fra le valli e il Velino

di BIANCA DI GIOVANNI*

Fare una gita ad Alba Fucens è come entrare in un tempo sospeso, dove il presente si ferma e si fanno largo la storia e la natura. Si chiama Alba, non si sa bene se per indicare un’altura o un colore, il bianco della prima mattina. Sta di fatto che in questo fazzoletto incantato, tra valli, colline e montagne rocciose, i romani decisero di fondare una città 2.300 anni fa, e da qui “governarono” e assoggettarono tutta la regione. Oggi la “piccola Pompei” abruzzese continua a riservare parecchie sorprese ad archeologi e turisti. Tra queste, uno stupendo calendario romano dipinto su pietra, con i fasti e i nomi dei consoli ben riconoscibili.

Quando dalla provinciale che collega Avezzano - il capoluogo della Marsica in Abruzzo - con il comune di Massa d’Albe (di cui Alba Fucens è una frazione) ci si inerpica per la stradina verso la valle a circa mille metri di altitudine, subito si percepisce una diversa dimensione. Sulla destra si supera una collina appuntita, sulla cui sommità si vedono le vestigia del vecchio paesino medievale, abbandonato definitivamente dopo il terribile terremoto del 1915 che qui lasciò la sua scia di devastazione. Subito dopo si attraversano mura ciclopiche, resti dell’antico limite cittadino. Da lì già si scorgono le casupole basse e squadrate raccolte attorno alla piazzetta centrale dove spicca la facciata di San Nicola con il suo magnifico rosone medievale, trasportato nella nuova sede dopo il sisma. L’impressione è di arrivare in una Lilliput agricola, dove i piccoli animali domestici “governano” il passaggio in ogni vicoletto.

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(foto di Bianca Di Giovanni)

A questo punto è meglio lasciare l’auto, e godersi la vista della seconda collina che “incornicia” il paese, quasi “gemella” rispetto alla prima. È sovrastata dalla chiesa di San Pietro, uno splendido esempio di architettura romanica benedettina, costruita sui resti di un antico tempio di Apollo. Vale la pena affrontare la salita e raggiungere il portale d’ingresso di San Pietro. Non solo per la bellezza degli interni dell’edificio, che ingloba colonne romane con capitelli corinzi, e un ambone del XIII secolo. Da quel punto, il più alto dell’area, in un colpo d’occhio si abbraccia un panorama che mozza il fiato. Sulla destra in basso si apre la grande piana del Fucino, che ai tempi della città romana era un lago, con un clima molto più mite di quello attuale e una vegetazione più “mediterranea”: ulivi, mandorli, vitigni. Di fronte cominciano a svilupparsi le pendici del monte Velino, che in quell’area formano strane stratificazioni, quasi come il suolo lunare. Poi a sinistra il Velino si sviluppa in tutta la sua maestosità: un gruppo montuoso che somiglia a una cattedrale di pietra, piazzato lì come un fondale teatrale. L’impatto è magnifico.

Se dalle vette del Velino si abbassa lo sguardo, si riattraversa con la vista il paesino e si guarda più in fondo, ecco l’antica città romana. Ci si arriva per una discesa che sta subito dietro la piazzetta centrale. Proprio accanto all’ingresso degli scavi, nel giardino di una villetta, staziona Alfio, mezzo cane e mezzo lupo, con due occhi selvaggi e il pelo bianco e morbido. Con gli uomini è mite e un po’ tutti lo salutano.

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(foto di Bianca Di Giovanni)

La città romana fu fondata attorno al 300 avanti Cristo per controllare le popolazioni italiche riottose al governo di Roma. La posizione era strategica: a metà strada tra il Tirreno e l’Adriatico lungo il tracciato della Tiburtina Valeria. Roma mandò in quell’avamposto seimila coloni. A ciascuno fu assegnato un appezzamento di terreno facilmente coltivabile grazie al clima mite garantito dal lago del Fucino. Intorno all’anno 89 avanti Cristo gli abitanti diventarono cittadini romani a tutti gli effetti. Il centro cittadino è circondato da una massiccia cinta muraria, aperta in quattro porte. La porta di Massa a est è quella che si percorre per entrare in auto dalla provinciale. La porta Massima a ovest era quella da cui si accedeva dalla Tiburtina Valeria.

Nel sito archeologico si possono visitare i resti di una basilica, dove si amministrava la giustizia, una strada dove si affacciano varie tabernae, il macellum dove si vendeva la carne e il grano. Da lì si accede alle terme, con i pavimenti rialzati da colonnine in mattoncini. Tra le due strade parallele che delimitano l’area di visita c’è il santuario di Ercole. C’è anche una considerevole rete urbana sotterranea: antiche prigioni e l’impianto della cloaca maxima.

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(foto dal sito archeologico Alba Fucens)

Bisogna uscire dal centro cittadino e percorrere un sentiero verso un avvallamento nascosto, a metà altezza della collina di San Pietro, per raggiungere l’anfiteatro, costruito nella prima metà del I secolo dopo Cristo. Nella parte inferiore si distinguono gli ingressi per i gladiatori e le fiere. Oggi ospita le rappresentazioni estive dell’estate albense. Di solito anche quando il termometro raggiunge temperature infuocate all’anfiteatro di Alba Fucens bisogna portarsi la giacca.

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(foto dal sito archeologico Alba Fucens)

Il villaggio di oggi ormai è quasi fantasma, i residenti sono una settantina e vivono di agricoltura e turismo. Nei ristoranti locali si gusta davvero la cucina a chilometri zero, con patate della piana, carni dei greggi che pascolano nell’area, verdure selvatiche della zona. Qui storia e natura si intrecciano di continuo. Le casupole sono il lascito delle vecchie baracche post terremoto. Le falde del Velino ricordano ai più anziani i bombardamenti a tappeto che la zona subì per via della presenza del comando tedesco durante la seconda guerra mondiale. I resti medievali che ridisegnano le cime delle colline, la piana del Fucino con la sua doppia storia di lago e latifondo dei Torlonia, e infine le antiche lastre delle vie romane. Ogni fotogramma rivela un frammento di storia locale, e ogni inquadratura racchiude un paesaggio naturale che resta nel cuore.

*BIANCA DI GIOVANNI (Ha frequentato per 30 anni i Palazzi del potere economico per seguire i numeri della finanza pubblica per l’Unita’. Oggi si dedica alla natura estrema e incontaminata e alla lotta al riscaldamento climatico seguendo un progetto di sviluppo sostenibile su arte e natura nell’Abruzzo interno, Regione in cui è nata)


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