Un genovese a Carloforte / 2

di ROBERTO ORLANDO*

A Cala Fico c'è l'affaccio a mare più bello dell'isola, o forse della Sardegna. Quindi parliamo di uno dei posti più belli del mondo. Un po' te la devi guadagnare: si entra a piedi perché fa parte della riserva della Lipu. La spiaggia non è nemmeno comoda, è formata da grosse pietre tonde, gli spazi per sdraiarsi sono contati e per raggiungerli occorre comunque un certo equilibrio. Uno stretto sentiero battuto conduce a un moletto da cui i canoisti lanciano letteralmente le loro piccole imbarcazioni in acqua. Quattro colpi di pagaia e sei già in paradiso: i colori sono straordinari, una serie di rocce a strapiombo delimitano una stretta insenatura dove la luce cambia in continuazione.

 

E' un paesaggio a triangoli e se ti sposti la composizione delle figure geometriche si modifica rapidamente: ho una foto in cui se ne contano sette. Sette triangoli per una visione. Anche qui l'acqua è sempre calda e l'atmosfera che si crea con gli altri (pochi) turisti in ammollo è da bagno termale più che da marina. E finalmente ti spiego perché prima di essere dedicata a San Pietro questa era l'Isola degli Sparvieri. Qui, tra queste rocce chiare e piene di anfratti, nidificano alcune specie di rapaci migratori: il falco pellegrino e il più raro falco della regina che se ne parte dal Madagascar o dalle Seychelles o da Mauritius per venire a nidificare qui in primavera. Poi svezza i suoi pulcini, insegna loro a volare e via tutti insieme verso sud. Si chiama falco della regina in onore di Eleonora di Arborea, imparentata a nozze con la potente casata genovese dei Doria che per prima, verso la fine del XIV secolo, vietò con il suo codice di leggi, la Carta de Logu, scritto in lingua sarda, la caccia agli uccelli rapaci. Il suo falco ora rischia l'estinzione. A Carloforte continuano a nidificare un centinaio di coppie nell'Oasi protetta della Lipu, un territorio di 414 ettari dove trovano rifugio altre rarità avifaunistiche, come per esempio il gabbiano corso. Ma anche se ti capita di non vedere nemmeno uno di questi uccelli diciamo che la visita a Cala Fico da sola vale il viaggio, anche se abiti molto lontano da qui. 

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(foto di Roberto Orlando)

Poi risali e invece di riprendere la strada per Carloforte dirigi verso sud e dopo qualche curva ti ritrovi a Capo Sandalo. Se sei stato a Cabo da Roca, la punta più occidentale d'Europa, in Portogallo, beh insomma ai piedi di questo faro ottocentesco di Carloforte provi la stessa sensazione da "fim do mundo". Del resto questo, nel suo piccolo, è il punto più a ponente dell'isola: scogliere alte e chiare, sole accecante rinfrescato dal vento che ti scotta in modo subdolo, solo temporaneamente indolore.  Ma pendenze estreme e fenomeni climatici ingannevoli non ostacolano i preparativi per una festa di nozze che immagino indimenticabile.

E poi le chicche. A Nasca ci sono dieci piscine naturali inevitabilmente molto frequentate dai turisti, ma se la confusione ti disturba puoi sempre decidere di inoltrarti nel cuore verde dell'isola, la campagna dei carlofortini. Quasi tutti gli abitanti dell'isola hanno una seconda casa qui. Sono casette bianche, nascoste tra la vegetazione, che hanno impianti di "climatizzazione naturale", creata dalla sapiente disposizione delle finestre grazie alle quale si può far circolare l'aria e rinfrescare gli ambienti anche se soffia vento caldo di scirocco. Il mio amico Fabio Ventura, romano milanesizzato e carlofortino d'adozione, mi ha raccontato che molti forestieri che hanno comprato una villetta qui, chissà per quale motivo hanno modificato la disposizione delle finestre oppure le hanno addirittura chiuse: così poi hanno dovuto installare l'aria condizionata perché la casa era diventata una fornace. DSC_3525jpg

(foto di Roberto Orlando)

Se hai la passione dell'archeologia industriale nell'isola puoi toglierti qualche soddisfazione. Qui fino al secolo scorso si estraevano ocre di tutti i colori, dal rosso al viola, che erano considerate le più pregiate al mondo. E si trovano resti degli impianti minerari in diverse zone dell'isola: a pochi chilometri oltre Carloforte, e poi a Punta Nera , a Capo Becco e a Capo Rosso. E qualche macchinario è stato recuperato come oggetto di arredamento di una pizzeria che se non ricordo male si chiama La Nave.

L'industria estrattiva e i cantieri navali sono, appunto, soltanto ricordi, ma se proprio hai nostalgia di certi panorami fumosi puoi rivolgere lo sguardo verso levante, da dove ne sei venuto con la nave. E così vedrai, per fortuna molto in lontananza, le ciminiere delle industrie dell'alluminio e della centrale elettrica a carbone di Portovesme. Una mattina all'alba, guardando in quella direzione ho scattato una foto molto suggestiva, struggente, evocativa. Una di quelle mie foto (rarissime) che piacciono pure a me. Non mi ero svegliato all'alba per andare a fare fotografie, almeno quel giorno, ma per andare a pescare con la canna. Ecco, questa è un'altra caratteristica dell'isola. In qualsiasi punto tu abbia accesso al mare peschi di tutto, anche con la mollica di pane, per dire. Una volta era così anche a Genova. 

Dall'alba al tramonto il passo non è certo breve qui sull'isola. Ma verso sera il clima diventa ideale per esplorare il centro storico. Qui tutto è dedicato per riconoscenza ai Savoia e alle loro conquiste risorgimentali: vie, piazze, viali, corsi. Naturalmente anche il forte. Anzi soprattutto: è il primo edificio in muratura realizzato dai coloni e spiega pure l'origine del nome dell'unico comune di San Pietro: Carloforte, ossia il forte di Carlo (Emanuele III di Savoia), che aveva concesso l'isola ai "tabarchin". Il forte, costruito in cima alla rocca, risale al 1738: in origine era utilizzato come corpo di guardia, ma poi fu trasformato in carcere mandamentale: giocoforza i galeotti erano prevalentemente... nativi genovesi.

Tuttavia oggi, nonostante l'atavica riconoscenza isolana alla casata sabauda, la piazza più importante nel cuore antico della città si chiama piazza della Repubblica. E non è l'unica curiosità: in piazza ci sono quattro giganteschi ficus, ciascuno dei quali è cinto da un anello di panchine in ferro. Da una parte della piazza si siedono prevalentemente le donne per "fare due cruste" ossia spettegolare, dall'altra gli uomini. I giovani invece si ritrovano in tutt'altra zona, in piazza Pegli, un po' defilata, al centro della quale c'è l'arco dei caduti. Ricorda un po' l'arco di piazza della Vittoria a Genova, ma è molto più piccolo. Per cena ovunque tu vada ti troverai bene. Io sono stato, oltre che dal mio omonimo, anche al Tonno di Corsa, da Niccolò e al Corsaro. Ognuno propone una sua specialità figlia della tradizione carlofortina e sinceramente non saprei dire quale preferisco. So soltanto che ci tornerei.DSC_3127jpg

(foto di Roberto Orlando)

Per me qui è come essere a casa, a Genova. Una Liguria più selvaggia, ma più accogliente. Del resto Carloforte è comune onorario della Città metropolitana di Genova, l'unica località rivierasca per raggiungere la quale non sia necessario fare la coda in autostrada. L'altra differenza è che qui in realtà i cognomi degli abitanti, nella maggior parte dei casi, non sono di origine genovese, ma sulcitani, campani, siciliani, ponzesi, calabresi. Un altro modo, ottocentesco (!) di intendere l'immigrazione: basta imparare la lingua e rispettarla, perché la lingua carlofortina figlia del dialetto genovese di Pegli è già un miscuglio di tante altre e serve a capirsi in tutto il Mediterraneo. Almeno sicuramente in Portogallo, alla "fim do mundo". Ma questa è un'altra storia...

1a puntata

*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

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