Parigi, segui i passi di Jean Valjean / 2

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di ANDREA ALOI* 

Nella notte, scrive Victor Hugo, “colui che avesse volato su Parigi (…) con l’ala del pipistrello o della civetta, avrebbe avuto sotto gli occhi uno spettacolo tetro. Tutto quel vecchio quartiere dei mercati, che è come una città nella città, attraversato dalle vie Saint Denis e Saint Martin, in cui s’incrociano mille viuzze e del quale gli insorti avevano fatto la loro ridotta e la loro piazza d’armi, gli sarebbe apparso come un enorme buco tenebroso, scavato nel centro di Parigi. Quivi lo sguardo cadeva in un abisso. Grazie ai fanali rotti e grazie alle finestre chiuse, là cessava ogni luce, ogni vita, ogni rumore ed ogni movimento. La polizia invisibile della sommossa vegliava dappertutto e manteneva l’ordine, ossia l’oscurità. Annegare il piccolo numero in una grande tenebra, moltiplicare ogni combattente mediante le possibilità proprie a questa tenebra è la tattica necessaria dell’insurrezione (…). Non si moveva più nulla. Laggiù regnavano solo lo spavento, il lutto e lo stupore nelle case; e nelle vie, una specie d’orrore sacro. Non si scorgevano neppure le lunghe file di finestre e di piani, le merlature dei camini e dei tetti e i vari riflessi che rilucono sul lastrico fangoso e bagnato".


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(Jean Valjean/Hugh Jackman nel film - musical "I Miserabili")


“L’occhio che avesse guardato dall’alto in quell’ammasso di tenebre, avrebbe forse intravisto qua e là, ad intervalli, alcune luci indistinte, che facevano risaltare linee spezzate e bizzarre, profili di costruzioni singolari, qualche cosa di simile a luci erranti in mezzo a rovine: là erano le barricate. Il resto era un lago d’oscurità, nebbioso, pesante e funebre, sopra il quale s’ergevano, profili immobili e lugubri, la torre di Saint Jacques (un capolavoro del gotico, fortunatamente ancora salva dagli insulti del tempo, ndr), la chiesa di Saint Merri e due o tre altri di quei grandi edifici dei quali l’uomo fa dei giganti e la notte dei fantasmi. Tutto intorno a quel labirinto deserto e inquietante, nei quartieri in cui la circolazione parigina non era annientata e in cui brillava ancora qualche fanale, l’osservatore aereo avrebbe potuto distinguere lo scintillio metallico delle sciabole e delle baionette, il sordo rumore dei carriaggi d’artiglieria e il formicolio dei battaglioni silenziosi, che andava crescendo di minuto in minuto: formidabile cintura, che si stringeva e si chiudeva lentamente intorno alla sommossa”.

L’alba del sei giugno, è stato d’assedio. Fioccano pallottole attorno al giovane Marius Pontmercy, figlio di un colonnello che ha combattuto a Waterloo, infiammato d’ideali e innamorato di Cosette. Viene ferito. Jean Valjean, presente ai combattimenti, lo porterà al sicuro sfidando l’esercito, non prima di aver salvato da morte certa lo sbirro Javert, catturato dagli insorti.

Hugo nel romanzo dedica pagine formidabili al moderno sistema fognario di Parigi, una rete ipogea ramificata e interconnessa in cui tutto e il suo contrario sono possibili, e vi ambienta la fuga di Jean Valjean con in groppa Marius. Giusto all’uscita di un égout, di una fogna, li aspetta Javert. Sopra, tra gli spari, risuonano le parole di Enjolras: “Cittadini, vi immaginate l’avvenire? Le strade della città inondate di luce, rami verdeggianti sulle soglie, le nazioni tutte sorelle, gli uomini giusti, i vecchi che benediranno i bimbi, il passato che amerà il presente, i pensatori in piena libertà, i credenti in piena uguaglianza (…), la coscienza diventata altare, non più odi, la fraternità del laboratorio e della scuola (…), il lavoro per tutti, il diritto per tutti, sovra tutti la pace (…). Dal punto di vista politico, non esiste che un unico principio: la sovranità dell’uomo sopra se stesso. Questa sovranità sopra il proprio io ha nome Libertà (…). Questa identità di concessione che ognuno fa a tutti si chiama Uguaglianza (…). Questa protezione di tutti su ciascuno ha nome Fraternità”.


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Non è mai un buon giorno per morire. Il 5 e 6 giugno del 1832 portano con sé buone ragioni per offrire la vita. Javert non otterrà questo privilegio e saprà solo suicidarsi, combattuto terribilmente tra il dovere del poliziotto che ha dedicato anni e anni all’inseguimento ossessivo di Jean Valjean e la gratitudine verso l’ex galeotto che gli ha salvato la pelle. Si toglierà la vita gettandosi nella Senna all’angolo del Ponte di Notre-Dame, sulla rive Droite.

Scocca pure l’ora di Gavroche, figlio ripudiato dei Thénardier, ragazzino di strada tra migliaia, Hugo lo rende simbolo immortale di un’epoca e di una città. Teneramente: “Parigi ha un fanciullo e il bosco ha un uccello; l’uccello si chiama il passero e il fanciullo si chiama birichino (…). Questo piccolo essere è gaio. Non mangia tutti i giorni e va a teatro, se gli garba, tutte le sere. Non ha la camicia indosso, non ha scarpe ai piedi, non un tetto sul capo (…). Ha da sette a tredici anni, vive in gruppi, gironzola per le strade, alloggia all’aria aperta, porta un vecchio paio di calzoni del padre che gli scendono oltre i talloni, un vecchio cappello di qualche altro papà che gli ricopre le orecchie, una sola bretella di stoffa gialla, corre, spia, questua, perde tempo, fuma la pipa, bestemmia come un dannato, frequenta la bettola, conosce dei ladri, da del tu a delle Prostitute, parla in gergo, canta canzoni oscene, e non ha nulla di cattivo nel cuore. È che nell’anima ha una perla, l’innocenza; e le perle non si sciolgono nel fango (…). Se si chiedesse all’enorme città: ‘Chi è costui?’ Essa risponderebbe: ‘È mio figlio’ (…). Parigi centro, periferia, circonvallazione: ecco tutta la terra per quei fanciulli. Al di fuori di essa non si avventurano mai; essi non possono uscire dall’atmosfera parigina, più di quanto i pesci possano uscire dall’acqua”. Il piccolo, ardimentoso Gavroche, sta, per natura sua, con gli insorti. Recapita lettere, scruta, rendiconta. Di notte e da tempo trova rifugio in Place de la Bastille, tra i legni, i gessi e le impalcature di un’enorme statua in perenne costruzione. Una volta terminata i parigini potranno lustrarsi la vista con un colossale elefante in marmo, memento della mite forza del popolo francese. È un’idea di Napoleone il Grande destinata ad abortire, la statua, mai ultimata, verrà abbattuta. Hugo, sapendo che un ragazzino viveva lì per davvero, ci porta a dormire il suo Gavroche.

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(L'Hôtel de Ville il 31 ottobre 1870)


La mattina del 6 giugno lo scugnizzo senza paura è pronto sulla barricata di Rue Chanvrerie, nota in strada alcune giberne di soldati uccisi colme di cartucce inesplose, tenta di recuperarle nonostante l’operaio Courfeyrac, combattente tra i più generosi e promessa vittima insieme ai sodali dell’Abc, lo inviti a desistere: “Lo spettacolo era spaventoso e incantevole. Gavroche, preso di mira, prendeva in giro la fucileria (…). Si gettava a terra, poi si raddrizzava, si nascondeva nel vano di una porta, poi dava un balzo, spariva, riappariva, si metteva in salvo, ritornava, rimbeccava la mitraglia facendo marameo e intanto faceva razzia di cartucce, vuotava giberne e riempiva il suo paniere”. Una pallottola lo abbatte, si mette a sedere, sbeffeggia il nemico. Un altro colpo a segno. Muore.

Passa un anno. Marius e Cosette vivono felici l’uno accanto all’altra nella loro casa di rue des Filles-du-Calvaire. Cosette è cresciuta, Valjean ha dovuto accettare la separazione, dolorosissima, dalla figlia adottiva, non vuole che il suo tormentoso passato la metta a rischio. Si ammala. Precipitatisi al capezzale di “papà”, che ha loro destinato una cospicua eredità, i due giovani ne accompagnano gli ultimi istanti. Jean verrà sepolto anonimamente al Pére-Lachaise: “Soltanto, e son passati molti anni da allora, una mano vi scrisse con la matita questi quattro versi, divenuti a poco a poco illeggibili per effetto della pioggia e della polvere, e che probabilmente oggi sono cancellati: ‘Dorme. Per quanto la sua sorte fosse ben strana/ Viveva. Morì quando non ebbe più il suo angelo/ La cosa accadde da sé, semplicemente/ Come si fa notte quando il giorno se ne va’”.

Ben altra dimora ultima avrà Victor Hugo, nel Pantheon di Parigi, accanto a Dumas e Zola. È nel V arrondissement e lì attorno il flâneur curioso trova di tutto, dal Jardin des Plantes ai giardini del Luxembourg (lì Marius vede per la prima volta Cosette), dalla Grande Moschea al notevolissimo Institut du Monde Arabe al Museo di Storia Naturale, dal boulevard Saint-Germain al Musée de Cluny che è poi il Museo nazionale dell’Età Medioevale. Attraversata la Senna e tornato sulla Rive Droite, il goloso di Parigi punterà dritto su Place des Vosges, tra Marais e Bastille. In quella piazza quadrata di stordente, cartesiana purezza, la più antica della città, “varata” nel 1612, ebbe dimora dal fatidico 1832 dei “Miserabili” all’altrettanto cruciale 1848 il nostro Victor, al civico numero 6. Inviso a Napoleone III, abbandonò la città per l’esilio nel ’51, rifugiandosi prima a Bruxelles e quindi nelle isole di Jersey e Guernsey nel canale della Manica, ultime vestigia geografiche del ducato di Normandia e in capo direttamente alla Corona Britannica. A Guernsey dal ’55, Hugo scrive il suo capolavoro, al Bonaparte aveva già dedicato il pamphlet “Napoléon le petit”, a indicare un disprezzo profondo per quell’indegno nipote del leggendario corso.

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(Il cimitero di Pére-Lachaise)


Parigi torna ad alzare la voce nel ‘70 dopo i rovesci nella guerra franco-prussiana, reclama il ritorno alla Repubblica tradita da Napoleone III e lo ottiene, Hugo torna trionfalmente in terra di Francia. Intellighenzia e popolo chiedono riforme sociali e la prosecuzione della guerra, ma quando la nuova Assemblea Nazionale lascia intravedere l’ennesima resurrezione monarchica e una possibile pace con la Prussia ormai vittoriosa, la città, che mai aveva deposto le armi, caccia Thiers, capo dell’esecutivo e vecchio arnese conservatore buono per troppe stagioni: 18 marzo 1871, la bandiera rossa sventola sul pennone dell’Hotel de Ville. È la Comune. La riedizione della gloriosa Rivoluzione dell’89 si carica di ideali socialisti ed egualitari, le armi vanno al popolo, vige l’autogoverno, si vara il suffragio universale, si vieta il lavoro notturno. Due mesi dopo le truppe del generale Mac Mahon entreranno in città. Ventimila i morti, centinaia i fucilati al Pére-Lachaise, davanti al muro che aveva visto cadere gli ultimi difensori della Commune.

Il cimitero-memoriale di Parigi si trova nel XX arrondissement, sotto Belleville e Ménilmontant, quartiere cantato da Charles Trenet:  Ménilmontant mais oui madame/ C'est là que j'ai laissé mon cœur/ C’est là que je viens retrouver mon âme/ Toute ma flamme/ Tout mon bonheur. Un pezzetto di cuore ce lo lasciano in tanti, ci abbiano vissuto o ci siano stati per una passeggiata. La vita pulsa veloce, una lunga strada sale, sale e fa sognare. I popoli si mescolano a Ménilmontant e a Hugo questo sarebbe piaciuto molto.

(2 - FINE)


LEGGI LA PRIMA PUNTATA



BIBLIOGRAFIA

Emile Zola, “Il ventre di Parigi”. Ambientato nel quartiere delle Halles, lo storico mercato nel cuore della città smantellato nel 1971.

Victor Hugo, “Parigi”. È l’introduzione al libro Paris-Guide destinato ai visitatori dell’Esposizione Universale del 1867.

Walter Benjamin, “Parigi capitale del XIX secolo”. L’Ottocento nello specchio di una città onirica, colta nella sua evoluzione di metropoli e in aspetti non più marginali, come la moda e il gioco. Non manca uno sguardo ai tipici passages, gallerie coperte diventate numerose proprio ai tempi dei “Miserabili”. Ampia messe di frammenti di Baudelaire.

Jacques Yonnet, “Le vie incantate di Parigi”. Anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, ecco un’altra Rive Gauche, inquietante, popolata da un’umanità in bilico tra realtà e magia.

François Villon, “Lascito”, “Testamento”, “Poesie”. Un nobile ladrone e sulfureo studente dell’Università di Parigi, antenato dei maudit.

Bronislaw Geremek, “I bassifondi di Parigi nel Medioevo”. Ladri e bari, falsi monaci e bordelli, Parigi fra Trecento e Quattrocento.

Raymond Queneau,”Conosci Parigi?”. Una guida anomala e spassosa.


*ANDREA ALOI (Torinese impenitente, ha lavorato a Milano, Roma e Bologna, dove vive. Giornalista all’Unità dal ‘76, ha fondato nell’ '89 con Michele Serra e Piergiorgio Paterlini la rivista satirica “Cuore”. È stato direttore del Guerin Sportivo e ha scritto qualche libro) 


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