No alla candidatura Unesco, a Napoli il caffè resta sospeso

di LUIGI VICINANZA*


Siamo tutti un po’ nervosi. Sì, l’esclusione della candidatura del caffè espresso come patrimonio immateriale dell’umanità innervosisce. Certo, sarebbe stata una nomination prestigiosa, valutata dall’Unesco che è le Nazioni Unite dei beni culturali. Ma si sa, ce lo ha insegnato Massimo Troisi, “No grazie, il caffè mi rende nervoso”. Compie 40 anni quel film che si faceva gioco di tanti luoghi comuni su Napoli. Ma il caffè no, è una cosa seria. Identitaria, come piace dire di questi tempi. L’Eduardo di “Questi fantasmi” ha reso la mistica della tazzulella qualcosa di unico. Proprio per questo imitato, copiato, saccheggiato in continuazione. Il mito è senza tempo. Con o senza Unesco.

Ha ragione Maurizio De Giovanni: a Napoli il caffè non si beve, si prende. Preferibilmente in compagnia. Prendiamoci un caffè è l’espressione quotidiana di una socialità interclassista. Amori, affari, amicizie, intese politiche, dispiaceri, pettegolezzi, la vita di un popolo si racconta intorno al rito dell’espresso. E come lo fanno qua, da nessun’altra parte; l’orgoglio partenopeo si è tinto del tricolore. La candidatura - bocciata dal ministero della Cultura - era sorretta da un dossier nazionale così intitolato: “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli”. Anche se non si capisce che cosa siano le “comunità emblematiche” (ah, il burocratese culturale!) in Italia ne sono state conteggiate ben undici, da Nord a Sud: Torino, Milano, Trieste, Venezia, Bologna, Roma, Pescara, Napoli, Lecce, Palermo e Modica. L’unità d’Italia intorno alla tazzina. Per ora però è solo un caffè sospeso. Sarà per un’altra volta.


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Toccò a una regina straniera rendere di moda la bevanda coloniale nella capitale del Regno del Sud. Fu Maria Carolina, sposa di Ferdinando di Borbone dal 1768, a contaminare Napoli con le abitudini aristocratiche in voga a Vienna. La madre, l’imperatrice d’Austria Maria Teresa, raccomandò alla figlia di restare tedesca per le cose che contano e di fingersi napoletana “in tutto ciò che non ha importanza”. Il caffè contava già. Un ricevimento dato da Maria Carolina nel 1781 nel teatro di corte di Napoli viene descritto con minuzia di particolari da un’ospite inglese, lady Anne Miller, la quale racconta come, dopo la cena, ci si trasferì nella “sala da caffè” dove gli invitati trovarono “ogni tipo di rinfreschi e di bevande”.

Due secoli dopo Nino Manfredi ci sprofonda in treni stracarichi di pendolari assonnati; “Café express” con la regia di Nanni Loy è un film amaro su un pezzo d’Italia costretto a consolarsi a stento con l’amaro di un caffè. Eppure il Sud, anzi la Campania, ha già messo sotto la tutela Unesco la dieta mediterranea e l’arte della pizza. Il tris sarebbe stato meraviglioso.


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Ma la commissione ministeriale, presieduta da Franco Bernabè, al caffè ha preferito proporre all’Unesco come patrimonio immateriale da tutelare “l’arte italiana dell’opera lirica”. Una scelta nobile. Così sulle note del “Va’ pensiero” la memoria corre a est, a Odessa, la perla del Mar Nero oggi assediata dai russi invasori. Proprio davanti al suo teatro dell’Opera è stato intonato lo struggente coro verdiano; il video ha fatto il giro del mondo. La città ucraina fu disegnata alla fine del ‘700 da un napoletano di origini spagnole, Josè de Ribas. Da un paio di anni è candidata a entrare nella lista del patrimonio Unesco. In questi giorni di sangue e di fuoco è stato più volte ricordato come a Odessa fu composta nel 1898 dal napoletano Eduardo di Capua la più famosa delle canzoni partenopee, “‘O sole mio”. Auguriamoci “n’aria serena doppo ‘na tempesta” perché la musica come il caffè ci riporta subito a casa. Linguaggi universali. Linguaggi di fraternità. Senza questi valori che cosa resta della cultura?

 


*LUIGI VICINANZA (Castellammare di Stabia 1956, amico sin dagli anni delle scuole elementari del fondatore e amministratore di questo sito, con cui ha condiviso intense esperienze umane e professionali. Terrone con la valigia, ha avuto la fortuna di collezionare più di 40 anni di giornalismo e non intende smettere nonostante si consideri un ex di molte belle esperienze)


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