La fame, quel terribile crimine di guerra

di ANNA DI LELLIO*

(foto d'apertura:  Holodomor18 di  Alexander Wienerberger)


Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è discusso martedì della crisi alimentare su scala globale creata dalla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, che con la Russia produce il 30% del grano necessario al mondo e l’80% dell’olio di girasole. A parte l’impatto della guerra sull’agricoltura, la Russia sta bloccando l’accesso ai porti ucraini sul Mar Nero e quindi l’esportazione del grano. E poi c’è la scarsità di approvvigionamenti per circa la metà della popolazione ucraina. In un intervento su The Guardian, Alex de Waal e Catriona Murdoch dicono che bisogna aggiungere un altro crimine di guerra alla lunga lista compilata finora: la fame.

Da anni de Waal cerca di allertare il mondo sul fenomeno della fame come un fenomeno che oramai non ha più nulla a che fare con disastri naturali come la siccità. Invece di fame si dovrebbe parlare di affamare, verbo transitivo: un soggetto depriva un altro di nutrimento. Anche la parola italiana carestia è passiva, non rende l’idea. La fame, per de Waal, è diventata uno strumento di guerra. Lo spiega molto bene nel suo bel libro Mass Starvation. The History and Future of Famine (Polity 2018).

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Quando il sindaco di Mariupol descrisse come si viveva nella sua città martoriata, senza gas o elettricità, sperando nell’arrivo della neve per ottenerne un po' d’acqua da bere, era il 9 marzo. Sono passate tre settimane. I Russi continuano ad impedire l’arrivo di soccorsi e a rendere la vita impossibile ai civili. La mediazione politica è vitale in questo momento, ma ancora più urgente è l’apertura dei corridori umanitari.

La Russia deve essere ammonita. Nel 1977 il Comitato Internazionale per la Croce Rossa (ICRC) riuscì a introdurre un nuovo articolo nel Protocollo aggiuntivo (I) alle Convenzioni di Ginevra. È l’ articolo 54: “È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili”.  Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale conferma con l’articolo  8(2)(b)(xxv) questo crimine di guerra: “Affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, ed in particolare impedire volontariamente l'arrivo dei soccorsi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra.” E l’articolo 7 (2) (b) dello stesso Statuto è chiaro su cosa significhi “sterminio” come crimine contro l’umanità: “il sottoporre intenzionalmente le persone a condizioni di vita dirette a cagionare la distruzione di parte della popolazione, quali impedire I'accesso al vitto ed alle medicine.” 

Quando scrive de Waal, bisogna leggere e prestare attenzione. Lo seguo dal 1991, quando si dimise da Human Rights Watch perché l’organizzazione appoggiò l’intervento umanitario di George Herbert Bush in Somalia, afflitta dalla fame e da una guerra civile. Anche se motivato da ragioni umanitarie, disse de Waal all’epoca, l’intervento non è che la proiezione dell’imperialismo americano, ma quel che più importa è che non risolverà nulla, anzi aggraverà la crisi umanitaria nella regione. Sul momento pensai che esagerasse. E invece aveva ragione, come si dimostrò quasi immediatamente. Gli USA, entrati a Mogadishiu carichi di aiuti umanitari come Babbo Natale nel Natale del 1991, si ritirarono nell’ottobre del ’93 dopo la battaglia nel cuore della capitale somala che costò la vita a 18 rangers e più di un migliaio di somali. Lasciarono la Somalia in condizioni se possibili peggiori di quelle che avevano trovato.



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(foto WFP -  Tigray -  Serie We want to stay alive)



Nonostante la lezione della Somalia, ci sono voluti molti anni per far emergere la fame come fenomeno politico e legato alla guerra. Nel 2017 il Sottosegretario Generale dell’ONU per gli Affari Umanitari /Emergenze Stephen O’Brien pronunciò un discorso al Consiglio di Sicurezza nel quale disse che in Yemen, nel Sud del Sudan, in Somalia e in Nigeria, la guerra affama milioni di persone. O’Brien raccontò dei suoi incontri con tutte le parti coinvolte nei conflitti che affliggono quei paesi e delle assicurazioni ottenute ma mai mantenute. La realtà è che in tutti quei conflitti si continua a negare l’accesso agli aiuti umanitari, a fare terra bruciata come tattica contro i ribelli, e perfino a uccidere intenzionalmente coloro che portano gli aiuti umanitari.

La fame non è un fenomeno statico, scrive de Waal in un rapporto recente sulla crisi in Tigray. È un processo. E neanche tanto facile da capire o risolvere come problema. Pensiamo allo Yemen. O’ Brien era riuscito ad arrivare nella città di Taizz, assediata dai ribelli Houti  e priva di soccorsi da un anno. Fu un gesto bello e coraggioso, gli avevano anche sparato contro. Ma la situazione nello Yemen è vischiosa. Il porto di Husaydah è chiuso da un blocco navale richiesto dall’Arabia Saudita e appoggiato da tutti i paesi dell’occidente, non solo gli USA. Prima della guerra da quel porto entrava l’80% delle derrate alimentari che dovevano sfamare lo Yemen. Dal blocco navale attuale sono esenti le derrate alimentari, ma ne arrivano sempre meno e sono smistate con lentezza esasperante. I Sauditi hanno bombardato tutti i moli, e quindi lo scarico si fa a mano, con sempre meno braccia. La Banca dello Yemen, ritiratasi a Sana’a, zona controllata dal governo provvisorio, non paga salari.

Alla World Peace Foundation, organizzazione fondata da de Waal, si tiene il conto delle crisi della fame che nella storia hanno ucciso più di 100 mila persone: dal 1870 sono 61, per un totale di 105 milioni di morti. E non pensiamo sempre all’Africa. I due terzi di queste crisi sono avvenute in Asia,  il 20% in Europa e Unione Sovietica, e solo il rimanente in Africa. Se si esclude il genocidio degli Armeni, la fame durante la guerra civile in Cina e i 25 milioni di morti negli anni 1958-62 sempre in Cina grazie al Grande Salto in Avanti di Mao, le crisi più importanti hanno coinvolto l’Ucraina e la Russia: la guerra civile durante la rivoluzione bolscevica, l’Holodomor (che in ucraino significa “infliggere la morte mediante la fame”) di Stalin nel 1932-34, e il piano tedesco per affamare l’Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale. 


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(foto WFP     Annabel Symington  Medium res)


Tutte queste grandi crisi sono state provocate, ma solo i nazisti hanno lasciato prove scritte della loro responsabilità: l’Hungerplan del 2 maggio 1941. Scritto da Herbert Backe, segretario di stato del Reich per l’Agricoltura, il piano prevedeva che le truppe tedesche requisissero il necessario per il loro sostentamento dai contadini russi. “Non c’è dubbio che ‘X’ milioni di persone  [zig Millionen Menschen] moriranno di fame”, scrisse Backe, tra parentesi. Backe commise suicidio a Norimberga perchè temette di essere consegnato ai sovietici. 

Ovviamente i nazisti non usarono la fame solo per uccidere Russi. Affamare gli ebrei fu una politica precisa: nei campi dei prigionieri, nei ghetti e nei campi di sterminio. A Norimberga, Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz dal maggio 1940 al dicembre del 1943, disse al tribunale che nella sua stima solo nel suo campo 2 milioni e mezzo di persone erano state uccise, ma un buon mezzo milione era morto di fame. E se ci fossero dubbi sull’innocenza dei democratici, de Waal ci ricorda che il blocco navale della Germania da parte della Gran Bretagna durante la Prima Guerra Mondiale provocò la morte per fame di circa 750 mila civili Tedeschi. Quel blocco durò per otto mesi dopo l’armistizio per costringere la Germania a firmare il Trattato di Versailles. E nel 1942 Churchill rinunciò solo dopo forti pressioni al blocco della Grecia. L’orrore di quella politica portò alla fondazione dell’ Oxford Committee for Famine Relief, che tutti conosciamo come Oxfam.

 

 

*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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