Carnevale di Ivrea, quella Battaglia delle arance fermata dal Covid

di ROBERTO ORLANDO*

Nel 2017, proprio di questi tempi, il quotidiano londinese The Guardian lo aveva inserito nella top ten europea delle feste alternative di carnevale. Poi è arrivato il Covid e anche la Battaglia delle Arance, che dal dopoguerra in poi a Ivrea si è sempre celebrata, anche quest'anno non tingerà di rosso le vie e le piazze della città: i "lanciatori" dovranno restare a casa e i "carri da getto" non usciranno dalle rimesse per il secondo anno consecutivo. 

Stessa sorte per il corteo storico che, a quanto pare, ha origini ben più antiche  - verso la fine del XII secolo - e che subì una cura ricostituente al tempo dell’occupazione di Napoleone, in sincero omaggio agli ideali libertari della Rivoluzione francese. Tanto che il Generale che guida a cavallo il corteo carnevalesco per le vie della città, i suoi Ufficiali e le Vivandiere indossano costumi con i colori delle divise napoleoniche, ossia il rosso e il blu. 


la scheda / Ivrea e le Terre Ballerine



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(Foto di Alessio Avetta dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)


Ma la vera protagonista della celebrazione carnascialesca eporediese (incrocio di aggettivi foneticamente magico) è la Mugnaia, ossia una giovane donna del posto, rigorosamente sposata - e poi ti spiego perché - la cui identità viene rivelata soltanto la sera del sabato di Carnevale.

La leggenda della Mugnaia trova fondamento nel Medioevo più cupo e i suoi simboli evocativi si ritrovano quasi tutti nel corteo di Carnevale. La figlia del mugnaio, che in arte di nome fa Violetta, era un personaggio, decisamente pericoloso, divenuto simbolo della ribellione popolana contro il tiranno. Il quale pare fosse il marchese Ranieri di Biandrate, nominato verso la fine del XII secolo dall'imperatore Federico di Svevia signore di Ivrea, al posto del più ostile Umberto III di Savoia.


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(Foto di Franco Marino dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)

 Ranieri, secondo quanto si narra, non era esattamente un galantuomo e adeguandosi alle peggiori usanze dei feudatari dell'epoca istituì tra le prime regole del nuovo corso lo ius primae noctis. Quando venne il turno di Violetta, appena andata in sposa al giovane Toniotto, la ragazza, fedele al giuramento di nozze, salì al castello di San Maurizio, detto volgarmente Castellazzo, dove viveva il marchese, e una volta nell'intimità estorta col ricatto sfoderò dalle vesti un pugnale con il quale non soltanto uccise Ranieri, ma addirittura lo decapitò. E subito dopo si affacciò dalle mura del castello per mostrare il trofeo al popolo, segno ineluttabile che la tirannia era finita.

Questa è la leggenda, la storia su cui si basa è invece più consona alle vicende tipiche del periodo: siccome il feudatario pretendeva tasse sempre più alte dai mugnai che avevano i mulini galleggianti lungo il corso della Dora Baltea e il prezzo del pane continuava - mi viene da dire - a lievitare, ad un certo punto scoppiò una rivolta contro l'affamatore del popolo che si concluse con la liberazione dalla tirannide. 


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(Foto di Luisa Romussi dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)


Quando ti capiterà, Covid permettendo, di assistere al Carnevale di Ivrea ti accorgerai che la Mugnaia porta in corteo un lungo pugnale sulla punta del quale è conficcata un'arancia: ebbene prova a immaginare la scena di Violetta che mostra il suo macabro trofeo dagli spalti del Castellazzo, la fortificazione che sorgeva sul colle di San Maurizio. Anche questa però te la devi immaginare perché venne rasa al suolo durante la rivolta popolare di cui sopra.

Invece la Battaglia delle Arance non la puoi immaginare nemmeno lontanamente ed è pure difficile da spiegare. Soprattutto perché è incredibile che nella città dell'utopia possibile di Adriano Olivetti, nella città in cui è nata la macchina per scrivere portatile e poi il primo personal computer, nella culla ideologico/internauta del Movimento 5 Stelle (Gianroberto Casaleggio progettava qui a Ivrea software per Olivetti, mentre il figlio Davide vive nel Canavese e ha partecipato almeno una volta alla Battaglia delle Arance), nella patria della Omnitel di Carlo De Benedetti, prima compagnia telefonica a far concorrenza all'azienda di Stato, si possa organizzare una manifestazione apparentemente così folle, una rissa generale a colpi di arance cui partecipano migliaia di uomini e donne di tutte le età. 


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(Foto di Massimo Sardo dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)



Tanto per misurare le dimensioni del fenomeno, nell'ultima edizione, quella del 2020, erano state messe a disposizione 1.100 tonnellate di arance, hanno partecipato 12mila lanciatori a piedi e 51 "carri da getto" con a bordo più di 500 aranceri. I contusi alla fine della prima giornata erano stati 180, di cui 4 finiti all'ospedale. Gli spettatori, almeno centomila.

Ma come funziona la sfida e alla fine chi vince? La Battaglia dura tre giorni, da domenica a martedì grasso e si svolge nelle cinque piazze principali della città. Come ti dicevo prima, la manifestazione nasce nel dopoguerra nei quartieri abitati dagli operai che stavano crescendo proprio in quel periodo, nel 1947. E' un'iniziativa autonoma rispetto al carnevale storico, ma viene rapidamente inglobata nelle celebrazioni ufficiali. I lanciatori sono divisi in squadre (che si chiamano Asso di Picche, Morte, Scorpioni d'Arduino, Tuchini, Scacchi, Pantere, Diavoli, Mercenari e Credendari) e rappresentano i popolani che devono affrontare, come leggenda vuole, gli sgherri del tiranno asserragliati in dieci o dodici sui carri da getto trainati da pariglie o quadriglie di cavalli. Gli aranceri a bordo devono avere l'abilità di lanciare con entrambe le mani per aumentare la potenza di "fuoco", sono imbottiti come omini Michelin e mascherati tipo Hannibal the cannibal per proteggersi il volto dalle bordate dei lanciatori a piedi. I quali invece non hanno difese, indossano soltanto il costume del gruppo di appartenenza che ha un'unica peculiarità: quella di essere abbastanza largo da contenere un gran numero di arance-proiettili da scagliare contro i “carristi”.


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(Foto di Virgilio Ardy dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)



Una commissione ad hoc valuta i combattimenti e alla fine assegna una serie di premi alle squadre e ai carri che si sono rivelati migliori per tecnica, lealtà e ardore. Ma una cosa è sicura, a prescindere dalle qualità dei contendenti: la battaglia è così violenta che finisce sempre in un bagno di... aranciata. 

Gli spettatori assistono agli scontri al di là di alte reti, mentre gli eporediesi che non vogliono essere presi di mira dai lanciatori di arance indossano il caratteristico berretto frigio della Rivoluzione francese. E' un altro simbolo di libertà: già in uso già nell'antica Roma - veniva donato dai padroni agli schiavi liberati - nel Canavese si ritrova intorno al 1300, durante la rivolta del Tuchinaggio, come attestano alcune stampe dell'epoca. Nel corteo storico si notano due tipi di berretto frigio: alfieri, pifferai e tamburini lo portano corto, la Mugnaia e i cittadini indossano invece una calza rossa molto più lunga. Violetta, poi, la piega in un certo modo e la fissa con una spilla d'argento che raffigura picco e pala. 


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(Foto di Franco Marino dal sito www.storicocarnevaleivrea.it)


Se non vuoi aspettare che il Covid allenti la presa, Ivrea merita comunque di essere vista con l'occhio del turista. Intanto il nucleo originario della Olivetti è patrimonio mondiale dell'umanità Unesco. Ma poi ripagherebbe del viaggio anche solo vedere come la Dora Baltea attraversa la città: chissà, magari sono proprio queste acque tumultuose e cristalline a impregnare le sponde di una geniale tendenza verso la libera autodeterminazione, l’intraprendenza, la voglia di innovare e rinnovarsi. 

Personalmente trovo pure irrinunciabile una visita all'ex Hotel La Serra.  E' un edificio di netto stampo futuristico nato alla fine degli anni Sessanta e la sua forma è davvero sorprendente: riproduce una gigantesca macchina per scrivere, all'interno della quale un tempo si poteva alloggiare (le camere erano 55), nuotare in piscina e fare acquisti in due gallerie commerciali. C'era pure il centro congressi e sicuramente qualche "Lettera 22" da tenere sulle ginocchia per i resoconti di cronaca...

 

*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)


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