Campari, l'impero rosso su cui non tramonta il sole

di GIORGIO OLDRINI*

Naturalmente è il rosso il colore dominante, ma dentro quell’edificio del 1903 incastonato nella più grande costruzione del 2008 degli architetti Mario Botta e Giancarlo Marzorati a Sesto San Giovanni c’è uno dei musei d’azienda più belli d’Italia. Il rosso è il colore della Campari, che ha sempre unito il gusto e il buon gusto e che ha amato essere in controtendenza.

La storia dell’azienda scorre appena entrati nella lunga galleria con le immagini del primo Campari, un corposo Gaspare con panciotto e famiglia a lato, che aveva cominciato come garzone in uno dei bar storici di Torino, e poi era arrivato a Milano nel 1865 aprendo una bottiglieria in piazza del Duomo, in quello che era il Coperto dei Figini. Quando si realizzò il progetto dell’architetto Giuseppe Mengoni e il Coperto venne abbattuto per dare spazio alla Galleria Vittorio Emanuele II, Gaspare acquistò lì un negozio, il Camparino, e un appartamento, nel quale nacque Davide, il primo a venire al mondo in Galleria.

Proprio Davide, dopo un interregno della madre Letizia Galli, Carotolin per i capelli rossi, prese le redini di quel negozio che in cantina produceva soprattutto “il Bitter al sapore d’Hollanda” e altri aperitivi secondo le ricette scritte su un quadernetto con grafia incerta dal vecchio Gaspare.

Adolf Hohenstein Bitter campari 1901        Galleria camparijpg

(Adolf Hohenstein, Bitter Campari, 1901       Galleria Campari)

Ma Davide fu il vero primo motore della Campari. Inventò la pubblicità in Italia e nel salone al pianterreno della Galleria si possono ammirare gli originali dei manifesti che sono ormai parte della storia dell’arte italiana, e non solo. I “Gentiluomini” di Adolfo Hohenstein del 1901 insegna anche a bere con lo spruzzo del seltz. Marcello Dudovich nel suo “Ricevimento” (1913) ci offre l’immagine di signore eleganti e libere al tempo della Belle epoque e con la “Coppia al tabarin” (1920) una immagine per i tempi molto “osé” di due amanti che si baciano appassionatamente in una atmosfera di rosso soffuso. Leonetto Cappiello propone il “Folletto” (1921) che sembra più un diavolo tentatore avvolto in una lunga buccia d’arancio e con la bottiglia in mano. Ma l’artista che più ha legato il suo nome a Campari è stato soprattutto il futurista Fortunato Depero che nella Galleria è presente con molti lavori e che era diventato amico di Davide. Fu proprio Depero a disegnare nel 1932 la bottiglietta per il primo aperitivo monodose mai inventato. Un calice rovesciato in vetro, senza etichetta, perché il nome è inciso nel vetro, e che per la sua forma si incastra perfettamente, mettendo nelle casse una bottiglia a testa in su e l’altra a testa in giù. C’è una cassa con tutte le bottiglie ben inserite, che non lasciano nemmeno un piccolo spazio inutilizzato.

Quando l’ho vista mi è venuto in mente che ai vecchi comunisti avevano raccontato che nell’Urss l’agronomo Trofim Lysenko produceva mele cubiche, così ce ne stavano di più nelle casse. Quando lo raccontai ai miei figli mi guardarono increduli: “Ma erano cretini a crederci?”.  Non so se Depero conoscesse la leggenda sovietica, ma guardando la cassa con le bottigliette del Campari sembra di vederne la realizzazione pratica.

Fortunato Depero Presi il bitter campari fra le nuvole  1928     Galleria Camparijpeg

(Fortunato Depero, Presi il bitter Campari fra le nuvole, 1928   Galleria Campari)

Oggi diremmo che Davide era un genio del marketing. Aveva ingaggiato i migliori pittori e cartellonisti, sul Corriere affidava la sua pubblicità settimanale a un sonetto di Renato Simoni, e nel Camparino in Galleria aveva posto “el Angiulin”, una scultura in marmo di Giovanni Spertini che raffigurava un putto con sulla testa una sorta di cestino nel quale amanti clandestini o uomini d’affari depositavano i loro bigliettini per appuntamenti segreti.

Ma aveva un carattere difficile Davide. Bisticciò via via con tutta la famiglia, si innamorò di una signora sposata in tempi in cui il divorzio non esisteva e inseguì per mezzo mondo Lina Cavalieri, la cantante che fu “la donna più bella del mondo” di cui in Campari c’è un ritratto splendido.

All’inizio del ‘900 acquistò a Sesto San Giovanni la Casa Alta, che era la villa dei marchesi Arese Lucini. Vi aveva soggiornato anche Ugo Foscolo che ne aveva approfittato per sedurre la nobildonna Antonietta, cantata nella sua “L’amica risanata”. Nella villa visse Davide, ma nell’immenso giardino costruì nel 1903 la fabbrica. Per entrare e soprattutto per uscire dall’azienda si doveva percorrere una scala rigorosamente senza corrimano. Davide alla fine del turno vi si sedeva davanti e osservava gli operai che uscivano. Sospettava che molti bevessero più Campari di quello che producevano e se scendendo qualcuno barcollava era licenziato.

Marcello Dudovich Dame e ufficiali 1913      Galleria Camparijpg

(Marcello Dudovich, Dame e ufficiali, 1913     Galleria Campari)

Nei decenni la Campari ha continuato la sua scelta di unire ai prodotti una pubblicità di qualità che nella Galleria si vede risalire il tempo. Con il quadro di Bruno Munari inventato per le prime metropolitane o con i Caroselli televisivi, uno persino con la regia di Federico Fellini che scorrono su decine di schermi, mentre percorrendo la lunga stanza cambiano i colori e anche i profumi.

Nel piano superiore poi sono esposti gli infiniti oggetti della pubblicità. Le pubblicazioni, i calendari, posacenere, le maniglie per attaccarsi al tram che a ogni scossone facevano scattare il nome di un prodotto diverso, un divertente robot barman che versa all’infinito il bitter in un bicchiere e le opere moderne di artisti che per Campari hanno prodotto oggetti o idee.

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Ma è in una sala del palazzo degli uffici che ci sono le bottiglie di tutti i marchi che oggi sono di proprietà Campari. Dal Glen Grant al Grand Marnier, dal Braulio allo Jagermeister, dalla vodka statunitense Sky al rum giamaicano, dal Cinzano all’Asti spumante, dalla Wild Turkey all’Aperol, dal limoncello all’Averna.

Il Museo di Sesto San Giovanni è l’esposizione della storia di una azienda che, come dicono con orgoglio nel palazzone di Botta e Marzorati, è presente in più nazioni di quelle rappresentate all’Onu. La versione moderna di un impero sul quale non tramonta mai il sole. Rosso, naturalmente.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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