Azzurro Istanbul, dove il Bosforo è dappertutto

di ANNALISA RAFFONE


A Istanbul il Bosforo è dappertutto. Dall’aereo è una massa azzurra in cui sembra quasi di sprofondare prima di toccare terra. Continuerai a vederlo girando la città in lungo e in largo, da ogni angolazione: dalla Torre Galata, dai terrazzi delle case, dai tavolini dei locali di Ortakoy; ti ci immergerai attraversandolo in battello, passando sotto gli enormi ponti che uniscono due continenti, tra le ville eleganti in stile Liberty che spuntano dall’acqua.

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Il LIBRO DA LEGGERE: ISTANBUL di PAMUK

Il Bosforo lo senti anche quando non lo vedi: nei recessi umidi della Yeretaban Sarnici, la Cisterna Basilica, dove la testa muschiosa della Medusa rovesciata ti guarda minacciosa di sbieco; nel chiuso dei bazar, lungo le stradine illuminate coi tavolini in un eterno Natale, nell’azzurro delle maioliche della Moschea Blu, anche tra l’oro dei mosaici e la porpora dei nomina sacra di Hagia Sophia. Il Bosforo entra dappertutto, ma resta chiuso fuori al cancello del palazzo Dolmabahçe e, dalle enormi grate che imprigionano cielo e mare, lo vedi bussare mentre dall’altro lato in lontananza si scorge la punta asiatica di Istanbul.

Alla partenza in valigia c’è un’idea della città ben precisa, un immaginario costruito su studi, libri, film. La chiami Costantinopoli o Bisanzio, poi diventa Istanbul e demolisce ogni congettura, sgretolando durante i primi giorni quell’ immagine da libro di storia dal fascino astratto e lontano, sostituendola con altro, una sensazione definita e viscerale che sale a galla da una memoria inconsapevole. La città si affretta a colmare la segreta delusione del bizantinista in viaggio, restituendo un inusitato sentimento di appartenenza che polverizza lo stereotipo della capitale dei Porfirogeniti e dei Sultani. Così Istanbul ti sembra Napoli, nelle vie strette e ripide, con le voci, le musiche, il sentimento dell’azzurro che ti ha accolto all’aeroporto e il tassista che ha infranto nel frattempo tre quarti del codice stradale correndo come un pazzo mentre tu ti aggrappi alla maniglia e a qualche Dio.

I FILM, DA OZPETEK A BOND

La sensazione aumenta man mano che si percorrono le stradine ripide, quando ci si ferma dinanzi alle bancarelle del pesce o ci si perde tra i colori carichi delle spezie del bazar, che declinano il giallo, l’ocra e l’arancione in tutte le possibili sfumature. Il corpo si muove con disinvoltura tra la babele di gente e i profumi; contratta sul prezzo; sceglie merci, cibi, bevande come se non avesse fatto altro prima d’ora. Ci si ritrova seduti a chiacchierare in un negozio di stoffe davanti a un tè come il più naturale dei gesti.

HAGIA SOPHIA

Poi, nelle vie larghe ed eleganti, il Mediterraneo cede il posto ad un’ allure moderna e mitteleuropea, che si riflette nella grazia dei palazzi Liberty intorbidata dalle insegne ingombranti della globalizzazione; ma, proprio mentre il disappunto si impadronisce dell’occhio, questo viene catturato in un angolo dalla vorticosa danza ascetica dei dervisci roteanti che si esibiscono per strada, piccolo assaggio del rito delle tekke nel quartiere di Sultanahmet.

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DA VEDERE: MOSCHEA BLU E GRAN BAZAR

Istanbul toglie e dà. Ripaga lo stupido stupore di chi trova un obelisco al posto dell’Ippodromo, dove Azzurri e Verdi diedero vita alla rivolta del Nika con un pezzo di Grecia antica, il Tripode di Delfi, che Costantino volle portare lì nella Nuova Roma per ricordare che dalla Grecia tutto è partito. E così l’anima greca, romana, bizantina, turca si fondono nel crogiuolo palpitante delle strade, cullati nel grembo di quel pezzo di mare instancabile, dove gli uomini e la storia hanno percorso miglia e versato sangue e fuoco greco mentre il popolo in preghiera invocava la Theotokos;  convive con la città moderna e occidentale di piazza Taksime,  del ponte Ataturk che strizza l’occhio all’Europa.

CISTERNA BASILICA, CHE EMOZIONE

Quello strano senso di familiarità continua ad accompagnarti, e non perché all’ improvviso nel quartiere Galata, dopo le stradine piene di chioschi che vendono spremute di melograni, e gatti pigri che dormono sull’uscio dei negozi di musica, nella grande strada che s’apre dinnanzi ti trovi l’insegna della gelateria Giolitti - ché il vero gelato di Istanbul è quello magico che non si scioglie, che i venditori per strada infilano in tasca ai turisti stupiti - ma perché per quelle strade, nei negozi di dolci e frutta secca, tra torri ondeggianti di mandorle e miele riconosci un pezzo di te, portato chissà quando dai Greci, dai Turchi o dagli Europei; e puoi ritrovarti a tavola una sera d’estate su di una terrazza con le luci tremolanti del Bosforo in lontananza a mangiare un pezzo di asado a casa di un argentino che ti racconta di un gabbiano predatore che poc’anzi s’era involato il pollo messo a cuocere sulla brace. Un pollo volante nel blu scuro della notte sul Bosforo.



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